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«Qualcosa è andato storto nella gestione della seconda ondata in Veneto»

Nel mirino delle critiche il presidente regionale Luca Zaia. Bigon (PD): «Ospedali vicini alla saturazione». Il sottosegretario Variati: «Zaia ci dica se c'è il personale per attivare i posti letto annunciati»

«Il vero problema, che Zaia continua a eludere, è quello delle vittime di Covid-19 e delle strutture che rischiano di collassare: a dicembre ci sono state oltre mille morti, una persona su due ricoverate in terapia intensiva non ce la fa. Non è il momento di continuare ad atteggiarsi a primo della classe e polemizzare per non assumersi delle responsabilità. In Veneto, nella gestione della seconda fase della pandemia qualcosa è andato storto, indipendentemente dal numero di tamponi effettuati». La consigliera regionale del Partito Democratico Anna Maria Bigon, con questo intervento, non è stata la sola a criticare il presidente della Regione Veneto Luca Zaia per la gestione dell'emergenza coronavirus.
Il modello veneto, elogiato nella prima ondata dei contagi durante la scorsa primavera, è stato messo sotto pressione da questa seconda ondata autunnale. La deputata veronese del PD Alessia Rotta teme che il Veneto diventi la Wuhan d'Italia, riferendosi alla regione cinese da dove la pandemia di coronavirus ha avuto origine. Mentre i sindacati scaligeri sospettano che la pressione dei pazienti Covid sugli ospedali abbia superato il limite massimo e che sia ormai complicato offrire un posto letto libero ad un positivo al virus.
Il Veneto è la prima regione italiana per numero di contagi, ma il presidente Zaia si difende ripetendo che i positivi vengono trovati perché si eseguono tanti tamponi e che il rapporto tra i positivi trovati ed il numero dei tamponi effettuati sarebbe più basso se si contassero anche i tamponi rapidi oltre a quelli molecolari. Per la consigliera Bigon, però, non ci si dovrebbe concentrare sui tamponi, ma sul numero delle vittime, ancora tanto alto in tutta la regione, e sul personale ospedaliero sovraccaricato di lavoro, soprattutto nelle strutture del Veronese. «Prima dell'emergenza Covid mancavano 148 anestesisti, ne sono stati assunti 133 un numero che non riesce a coprire le carenze pre-epidemia - ha dichiarato Bigon - Ad oggi, a quanto ci risulta, su 640 terapie intensive attivate quasi 400 sono già occupate da pazienti Covid a cui se ne aggiungono 209 non Covid; la scorsa settimana su un totale di 13.820 letti, 9.797 erano occupati, quasi il 71%: siamo vicini alla saturazione. Un presidente di Regione dovrebbe preoccuparsi di questo, non di voler dimostrare ogni volta che il Veneto è migliore degli altri».

Il tema del personale è stato affrontato anche dal sottosegretario all'Interno Achille Variati. Come riportato da VeneziaToday, Variati ha chiesto a Zaia «una ricognizione dei posti letto attivabili» negli ospedali. Numeri che sono stati più volte ribaditi dal presidente regionale, secondo cui il sistema sanitario veneto può arrivare ad offrire mille posti letto in terapia intensiva e seimila negli altri reparti. Numeri che per Variati potrebbero essere non realistici perché «il personale specializzato a disposizione per attivare questi posti non sarebbe disponibile, a meno di non sottoporre a stress altri reparti».

Per il segretario regionale di Articolo Uno Gabriele Scaramuzza «la gestione veneta della seconda ondata del virus può ben dirsi una catastrofe» e per questo il Veneto dovrebbe essere trattato come un'emergenza nazionale. Scaramuzza ha infatti chiesto di «prolungare la zona rossa ben oltre il 6 gennaio e chiediamo inoltre che la Regione promuova immediatamente una massiccia campagna a favore della vaccinazione».
Ancora più deciso l'intervento della lista civica Solidarietà Ambiente Lavoro che ha chiesto le dimissioni di Zaia.

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