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Cosa fare a Verona e provincia durante il weekend dal 13 al 15 marzo 2020

I nostri consigli su come trascorrere il vostro fine settimana

Stare a casa. 

L'articolo potrebbe chiudersi qui. Ma due cose ancora le vogliamo scrivere. Veniamo da una settimana difficile, vissuta tra poche certezze e molti dubbi. Un po' di confusione in testa è normale quando si va a letto la sera e il giorno dopo si scopre che per muoversi in strada si deve avere una "comprovata esigenza lavorativa", o "motivi di salute", o altri "casi di necessità".

Fino a una settimana fa il ritornello era "salviamo il salvabile", viviamo le nostre vite serenamente ma facendo attenzione alle giuste precauzioni. Oggi siamo tutti in un'altra fase di questa vicenda, ed ammetterlo è forse la cosa più complicata da fare. Oggi si dice «#iorestoacasa», oppure si chiede senza poterlo ordinare fino in fondo «restate a casa». Bene, anche noi lo abbiamo scritto, ma forse abbiamo tutti dimenticato di spiegare davvero il «perché» di tale richiesta.

La faccenda è, banalmente, questa: chi sta leggendo in questo momento, al pari di chi queste parole le ha scritte, potrebbe a sua insaputa essere positivo al coronavirus "Sars-CoV-2". L'unico modo per escluderlo sarebbe quello di fare seduta stante un tampone, ma anche lo avesse fatto una settimana fa e fosse risultato negativo, oggi il test potrebbe dare un esito opposto. Non avere sintomi, sentirsi bene, non equivale all'essere negativi rispetto al virus, bensì corrisponde all'essere inconsapevoli e potenzialmente in grado di contagiare altre persone. Questo è il punto di partenza di ogni ragionamento in questa fase. Perché si fa questo ragionamento che parrebbe al limite del paranoico? Fondamentalemente per un motivo: nei confronti di questo coronavirus chiamato "Sars-CoV-2" non esiste un vaccino. Non avere lo strumento del vaccino, impedisce di mantenere sotto controllo il numero di contagiati, quindi il numero di persone che si ammalano gravemente, quindi il numero di persone che muoiono. Qual è l'unica arma che gli esseri umani hanno nei confronti di un qualsiasi virus per cercare di tenerlo a bada, là dove non esista un vaccino? Potrà suonare strana, ma la risposta è: evitare di contrarlo. O, nel caso lo si abbia già contratto (magari inconsapevolmente), evitare di portarlo in giro aumentando così le possibilità di propagazione del virus stesso che altro non aspetta che di insediarsi in altri corpi umani. Stare a casa, dunque, è il vaccino contro un virus per il quale non si ha un vaccino.

Poi ci sono le leggi. O meglio i decreti, quei Dpcm che tutti noi oggi ormai abbiamo imparato esistono ed hanno effetti molto concreti sulle nostre vite. A tal proposito ci sono arrivate, come probabilmente ad ogni giornale italiano, numerose richieste di chiarimento circa le norme da seguire. Abbiamo cercato di fornire risposta riferendoci alle spiegazioni ufficiali che il ministero dell'Interno ha messo a disposizione, ma una cosa deve essere chiara a tutti: non vi sarà mai legge sufficientemente dettagliata in grado di contemplare anche il più concreto dei casi pratici. Oggi la domanda da porsi non è tanto, a titolo di esempio, «posso uscire a fianco di mio marito per passeggiare attorno al quartiere di casa?», bensì: «è davvero necessario che io lo faccia?». Ricordiamoci che il nostro restare a casa è oggi l'unico vaccino disponibile sul mercato per contrastare la pandemia in atto, ecco perché uscire di casa è diventato oggi un lusso che è giusto si possa permettere solo chi ha "comprovate esigenze lavorative", "motivi di salute", o "stati di necessità". Le norme previste dai decreti firmati dal premier, pur limitando di molto le libertà individuali di ciascuno, in fin dei conti consentono ancora di fare diverse cose, come ad esempio uscire per comprare il giornale, essendo le edicole aperte, oppure portare a spasso il proprio cane, o ancora persino fare dello sport individuale come la corsa (purché non si formino assembramenti). La domanda però, prima di scendere in strada a correre, dovrebbe sempre essere: «Ma è davvero necessario che io lo faccia?». Andare a fare la spesa è necessario per mangiare e sopravvivere, meno necessario è invece scegliere di andare in un supermercato a due o tre Comuni di distanza dal proprio solo perché meglio fornito. «Evitare gli spostamenti» significa dunque questo, appellarsi al senso civico e di responsabilità di ognuno, piuttosto che vietare in modo assoluto. 

La situazione negli ospedali veneti non è così grave, dirà qualcuno. Benissimo, è forse questo un buon motivo per contribuire attivamente a far sì che peggiori e si aggravi in modo drammatico? Uscire di casa, oggi, significa questo: contribuire attivamente ad accrescere la probabilità che il conntagio si moltiplichi, dunque cresca il numero di persone che manifestino sintomatologie gravi e, infine, pure quelle che muoiano. Per questo uscire di casa deve essere fatto solo se "necessario", solo se si tratta di uno spostamento indispensabile, perché uscire di casa oggi non è un gioco, ma rischia di essere un "gioco al massacro". C'è una scena avvenuta in uno degli ospedali oggi più in difficoltà della Lombardia rimastaci impressa e che, probabilmente, si ripete ogni giorno anche in tutti gli altri ospedali: una dottoressa (o un dottore) impegnata nel reparto di Rianimazione, verso le 7 di sera, come ogni giorno, si mette al telefono per contattare i parenti dei vari pazienti ricoverati positivi al coronavirus e finiti intubati, vale a dire allettati con un tubo in gola e una macchina che gli aiuta a respirare perché i loro polmoni sono divenuti incapaci di funzionare adeguatamente. I parenti di questi pazienti non possono andare a trovare i loro cari per il rischio di infezione, per questo ogni sera attendono, con speranza ed angoscia, la chiamata del medico di turno che, di volta in volta, li informa ed aggiorna circa la situazione clinica del loro caro. La grandezza di un Paese, si vede anche da come i suoi cittadini decidono di trascorrere il loro weekend...

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