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Cronaca Legnago

Pfas, lo studio epidemiologico «desaparecido» incendia l'estate veneta

Dopo le critiche ricevute dal fronte ambientalista palazzo Balbi abbozza una difesa parlando di passi concreti già compiuti in passato: le associazioni e il centrosinistra però insorgono e parlano di replica «inutile» e fuori bersaglio

Per la vicenda dello studio epidemiologico «desaparecido» che avrebbe dovuto misurare la contaminazione da Pfas sui veneti residenti nelle aree del Veneto centrale colpite dall'inquinamento volano stracci. Dopo la denuncia della rete ecologista del 7 agosto con una nota ufficiale, è scesa in campo la Regione Veneto: secondo la quale i controlli ci sarebbero stati. In queste ore però uno schieramento trasversale composto da esponenti del mondo ecologista col rincalzo del M5S e da Vcc bolla come ridicola la replica della giunta regionale spiegando che gli studi epidemiologici che menziona la nota diramata lunedì da palazzo Balbi altro non siano che semplici piani di sorveglianza. E così dopo il caso della carenza di personale dell'Arpav, l'esecutivo veneto capitanato dal governatore leghista Luca Zaia finisce nuovamente su una graticola arroventata dalla questione ecologica.

Il preambolo

Il 4 agosto durante un breve convegno organizzato a Lonigo, il coordinamento ecologista «Mamme No Pfas» e Isde - Medici per l'ambiente avevano rilanciato una questione in sospeso da settimane. I referenti dei due gruppi si erano chiesti che fine avesse fatto il maxi studio epidemiologico incentrato sugli effetti dei derivati del fluoro («i temibili Pfas) sui residenti del Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano. Quei comprensori infatti sono stati colpiti da una maxi contaminazione da Pfas attribuita alla Miteni di Trissino, oggi fallita. Durante il processo per disastro ambientale a carico di alcune figure chiave della società è emerso come Regione Veneto, Ministero della salute e Istituto superiore di sanità - Iss, più o meno tra il 2026 e il 2018, avessero pronto uno studio epidemiologico che aveva lo scopo di capire quali e quanti fossero gli effetti avversi dei «temutissimi Pfas finiti nelle acque e nei suoli» patiti dai soggetti esposti. In aula il teste Pietro Comba, un ex alto funzionario dell'Iss, parlò di studio messo in ghiacciaia ma non fu in grado di spiegare chi al più alto livello avesse azionato il semaforo rosso. E così Mamme No Pfas e Isde nell'incontro di Lonigo avevano chiesto a gran forza di sapere chi avesse ordinato una marcia in dietro considerata come una sciagura.

Lunedì l'amministrazione (con una nota non firmata e genericamente ascritta alla «Direzione prevenzione, sicurezza alimentare, veterinaria della Regione Veneto che dipende dall'assessorato alla sanità) ha replicato. Spiegando che in realtà palazzo Balbi negli anni avrebbe dato vita a numerosi studi. «Sin dalle prive evidenze dell'inquinamento - si legge - la Regione ha avviato una serie di azioni molte delle quali per rigore e tempestività mai intraprese in Italia... Parte di queste ricerche sono state svolte direttamente dalle strutture regionali competenti, altre invece sono state condotte da autorevoli istituti di ricerca, come l'Istituto superiore di sanità e l'Università degli studi di Padova, grazie a finanziamenti regionali».

La controreplica

Non passano che poche ore e palazzo Balbi viene investito da una gragnuòla di critiche. La prima è la consigliera regionale Elena Ostanel (siede tra i banchi della opposizione di centrosinistra con il Veneto che Vogliamo - Vcc) che dalle colonne di Padovaoggi.it si scatena: «La Regione Veneto non risponde alla domanda che gli abitanti dei territori contaminati si pongono da anni: lo studio che sarebbe dovuto partire nel 2018 venne o no bloccato per decisione politica?». Successivamente è stato il turno del deputato bassanese Enrico Cappelletti del M5S che a sua volta spara a palle incatenate definendo come «completamente inutile la nota della Regione Veneto sullo studio epidemiologico» perché «colpevolmente non entra il punto centrale della questione».

Le associazioni

E non è finita. Martedì pomeriggio in una nota diramata dalle Mamme No Pfas il cauterio rimane arroventato. «Ci chiediamo - si legge nel dispaccio - come mai in nessuna delle quattordici pubblicazioni elencate compaiano studi sulle eventuali associazioni tra Pfas e malattie tumorali, o malattie cardiovascolari. Guardando però quale sia la fonte dei dati» evidenziati dalle pubblicazioni menzionate da palazzo Balbi «si legge chiaramente che sono in gran parte basate sui dati raccolti col piano di sorveglianza, che, per l'appunto, non indagava sulla comparsa clinica di eventuali malattie neoplastiche» e non è uno studio epidemiologico ma una sorta di fratello minore. Si tratta di addebiti che pesano come pietre che pesano ancor di più anche alla luce del caso ambientale deflagrato lungo l'asse Chiampo Venezia e che è riconducibile alla annosa querelle attorno alle carenze del personale di Arpav.

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