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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Legnago

Pfas, studio epidemiologico mai iniziato? Ev denuncia la Regione Veneto

Dopo le rivelazioni uscite a processo e dopo il j'accuse della rete ambientalista, la consigliera Guarda chiede lumi sulla «mancata prevenzione» alla magistratura veneziana perché si faccia chiarezza sull'operato di palazzo Balbi: eventuali indagini su Iss e Ministero della salute potrebbero essere ordinate invece dai pubblici ministeri romani

Mercoledì 9 agosto il consigliere regionale veneto Cristina Guarda, che milita tra le fila dell'opposizione in Europa verde, ha indirizzato alla procura di Venezia un ponderoso esposto, de facto una vera e propria denuncia, in cui si chiede ai magistrati di fare chiarezza sulle le circostanze che tra il 2016 e il 2018 portarono al clamoroso stop dello studio epidemiologico che avrebbe dovuto misurare nel dettaglio l'incidenza della contaminazione da derivati del fluoro («i temutissimi Pfas») che ha colpito il Veneto centrale tra Padovano, Vicentino e Veronese a causa degli sversamenti illegali nell'ecosistema attribuiti alla Miteni. Una industria chimica trissinese oggi fallita che è finita al centro di un maxi-processo ambientale ormai noto in tutta Europa.

Le avvisaglie

Per sommi capi la novità di un repentino stop allo studio era emersa già in sede di Commissione bicamerale ecomafie «il 17 luglio 2019», ricostruisce Guarda in una segnalazione inviata ai magistrati lagunari. Ancora, nella sua ricostruzione fatta di 12 pagine dattiloscritte Guarda ricorda come le stesse circostanze, arricchite di nuovi dettagli, siano state confermate da Pietro Comba, un ex funzionario dell'Istituto superiore di sanità - Iss durante la udienza del 29 giugno del maxi processo Miteni.

Primo passo

Proprio l'Iss, in una con il Ministero della salute e con la Regione Veneto avevano inizialmente completato la procedura per dare il là allo stesso studio. Come riferisce Comba, sentito come teste dell'accusa durante il dibattimento, su input di qualcuno quella iniziativa, che tanto avrebbe potuto contribuire a circoscrivere rischi e pericoli per la salute, incappò in un misterioso semaforo rosso.

Il convegno, la miccia e la deflagrazione

Sempre a processo Comba non è stato in grado di spiegare chi materialmente abbia fatto finire lo studio in ghiacciaia. Alcuni giorni fa il caso era tornato a far discutere durante un breve convegno organizzato a Lonigo. Quel convegno si è rivelata la miccia che ha fatto poi deflagrare il caso per la seconda volta.

Misura colma

Di lì a poco Europa verde - Ev ha deciso che la misura fosse colma. E ha così deciso di fare intervenire i pubblici ministeri lagunari. Che sono competenti per eventuali reati commessi dall'amministrazione regionale veneta che ha sede a Venezia. Ora non è escluso che Ev indirizzi lo stesso esposto anche alla procura di Vicenza (per accertare eventuali illeciti compiuti in terra berica) e soprattutto alla procura romana: competente invece per le condotte dell'Iss e del Ministero della salute i quali hanno sede nella capitale.

La scudisciata

«La nostra decisione - spiega Guarda in una nota diffusa giovedì - si è resa necessaria al fine di individuare eventuali responsabilità dietro la mancata attivazione dello studio epidemiologico. Parliamo di uno studio che, coinvolgendo più di 300.000 persone, avrebbe potuto confermare inconfutabilmente il nesso scientifico tra l'esposizione ai Pfas e le patologie a essa oggi riconosciute come riconducibili da parte di studi internazionali e non. Ma, nonostante il parere favorevole e l'impegno manifestati da parte dei tecnici regionali e dell'Iss, lo studio non ricevette il nulla osta dall'alto e non venne mai attivato».

Il cruccio 

Quella indagine secondo la consigliera regionale avrebbe consentito in terra veneta di rilevare «il nesso tra la contaminazione da Pfas e l'insorgenza di specifiche malattie, fattore utile alla prevenzione, oltre che di accertare il numero di malati nonché il peso sanitario dell'avvelenamento da Pfas in capo alla ex Miteni».

E c'è di più. «A convincermi della necessità e dell'urgenza di questo esposto - scrive la consigliera leonicena - sono state le recenti dichiarazioni della Regione Veneto, la quale, replicando alla richiesta di maggiore chiarezza avanzata dalle Mamme No Pfas e dalla associazione Isde Medici per l'ambiente, ha affermato che di attività di approfondimento epidemiologico da parte della Regione non ne sono mancate».

Lucciole per lanterne

Tuttavia secondo Guarda, la nota ufficiale con cui di recente palazzo Balbi ha dato conto delle sue ragioni «confonde il piano epidemiologico con il piano di sorveglianza, quest'ultimo pensato per fornire, per l'appunto, una sorveglianza sanitaria alla popolazione senza, però, cercare una relazione causa effetto. Tale piano infatti, non valuta la incidenza di determinate malattie, ma si limita a una raccolta di dati». Detto in altri termini la Regione per cercare di difendere il suo operato ha confuso, non si sa bene se volontariamente o meno, lucciole per lanterne.

Ed è per questo, incalza la inquilina di palazzo Ferro Fini, che «gli screening sanitari citati dalla Regione Veneto, nonostante il respiro difensivo della sua nota, non abbiano valenza tale da essere paragonati a reali studi epidemiologici. Le stesse dichiarazioni del dottor Comba, rese in sede processuale, sembrano smentire la tesi della Regione nel momento in cui il funzionario spiega chiaramente» quale sia la differenza «tra studi per aree geografiche, gli stessi citati dalla Regione nel suo comunicato e studi epidemiologici veri e propri».

La bordata finale 

Gravissima poi è l'accusa con cui Guarda chiude la sua nota: «Se dalle Regione non giunge risposta agli atti ispettivi da me presentati o alle richieste delle Mamme No Pfas, sia la magistratura a fare chiarezza su quanto accadde nel 2017, quando l'attivazione di questo importante studio non venne concessa, con le conseguenze che tutti conosciamo».

E ancora: «Indagini super partes sarebbero servite a garantire la tutela della salute pubblica, rendendo evidenti gli effetti della contaminazione e favorendo quindi una più efficace identificazione dei responsabili di questa contaminazione. Ma ancora una volta a prevalere è stata la scelta di adottare la strategia camomilla: rassicurare. omettere e derubricare aspetti legati all'inquinamento da Pfas. Speriamo tutto questo non sia solo la punta di un iceberg».

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