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Pfas e salute? Lo studio «desaparecido» agita il fronte ambientalista

Dopo le rivelazioni scaturite durante il processo Miteni la rete ecologista chiede di sapere chi abbia bloccato i test sugli effetti nocivi dei derivati del fluoro sulla popolazione esposta: frattanto si moltiplicano le ansie sullo stato dei terreni sotto gli stabilimenti della Fis

Chi ha deciso materialmente di bloccare lo studio epidemiologico ormai «desaparecido» pensato per misurare gli effetti negativi dei temibili derivati del fluoro, i Pfas, sulla salute dei veneti? Se lo chiedono le mamme No Pfas che il 4 agosto a Lonigo nel Vicentino, «col supporto dell'amministrazione comunale» hanno organizzato un breve convegno per fare il punto della situazione.

Il j'accuse

Il j'accuse del gruppo ambientalista Mamme No Pfas giunge a poche settimane da una drammatica udienza, quella del 29 giugno, del processo che a Vicenza vede gli ex vertici della Miteni, la ditta trissinese che per decenni i Pfas li ha prodotti, imputati di disastro ambientale: secondo l'accusa la ditta per anni avrebbe fatto finire nell'ambiente gli scarti di lavorazione dei temibili derivati del fluoro fino a contaminare la falda e fino a mettere a rischio la salute di una platea di 350 mila residenti tra Padovano, Vicentino e Veronese.

L'udienza

Ad ogni modo proprio durante l'udienza di giovedì 29 giugno il teste Pietro Comba (un alto funzionario dell'Iss oggi in pensione) incalzato dai pubblici ministeri e di riflesso da alcuni avvocati di parte civile aveva svelato come la Regione Veneto, l'Istitito superiore di sanità, ovvero l'Iss, in una col Ministero della salute, avessero messo a punto un maxi studio epidemiologico che sulla scorta di quanto già accaduto con negli Usa con la maxi contaminazione in Ohio, avrebbe dovuto misurare con precisione gli effetti dei Pfas sulla popolazione esposta. Poi però quello studio non ebbe il nulla osta definitivo. A processo Comba ha spiegato di non conoscere il nome o i nomi di chi materialmente azionò il semaforo rosso. Però quella novità aveva scatenato per giorni le ire del mondo ambientalista e non solo.

La bacchettata

Vincenzo Cordiano, il presidente veneto di Isde - medici per l'ambiente durante la breve tavola rotonda di venerdì si è detto «basito» per quanto emerso a processo e contestualmente è tornato a chiedere con forza che almeno la Regione Veneto pubblichi i dati raccolti fino ad oggi dal piano di sorveglianza sanitaria che negli anni è ha preso corpo sebbene questo sia una sorta di fratello minore rispetto ad un ben più incisivo studio epidemiologico. «Se quei dati fossero resi pubblici in maniera chiara noi dell'Isde - ha detto Cordiano - potremmo già pensare di dare vita ad un nostro studio».

La stilettata

In modo molto simile la pensa Michela Piccoli, uno dei volti più noti del coordinamento della Mamme No Pfas. «Vogliamo capire chi davvero abbia detto no allo studio epidemiologico: sia che la decisione sia giunta da Roma da Venezia e contemporaneamente da parte di più soggetti». Parole che l'associazione di cui Piccoli fa parte ha approfondito in una lunga nota pubblicata venerdì pomeriggio. Il caso peraltro sta trovando molto spazio sui media a partire dalla Rai.

La bordata di Europa Verde

Sullo stesso fronte in queste ore si è mossa anche la consigliera regionale Cristina Guarda di Europa Verde che in una nota al vetriolo diffusa venerdì spara a palle incatenate contro palazzo Balbi: «I cittadini sono stanchi della strategia della camomilla. Tranquillizzare, minimizzare e non condividere le informazioni sono espedienti che non funzionano più. Alla Regione chiediamo trasparenza. Perché lo studio epidemiologico non è mai iniziato e perché degli esiti dei test sugli abitanti delle zone rossa e arancione non sono ancora stati resi pubblici? C'è uno studio indipendente realizzato dalle Università di Bologna e Padova dal quale emergono chiaramente gli effetti dannosi della contaminazione da Pfas dei nostri organismi: infertilità, danni allo sviluppo fetale e al sistema immunitario, maggiori possibilità di ammalarsi di cancro, incidenza delle malattie cardiovascolari e altro».

Scenari giudiziari

Gli strascichi della testimonianza di Comba comunque lasciano una questione aperta sul piano giudiziario. Qualora quella testimonianza contenga tracce di un qualche profilo penalmente rilevante dovrebbe essere la magistratura (la procura di Vicenza, ma soprattutto le procure di Venezia e di Roma in primis) ad aprire un fascicolo. Ancora più importante per certi versi è il ruolo della corte d'Assise di Vicenza davanti alla quale è in corso il processo Pfas-Miteni. Da giorni una parte della galassia ecologista si domanda come mai la corte presieduta dal giudice Antonella Crea, dopo la deposizione di Comba, non abbia pensato di convocare a deporre chi all'epoca dei fatti descritti dal funzionario dell'Iss sedeva ai vertici dell'Iss, del dicastero della Salute nonché della Regione Veneto.

La «wish list» e i pezzi da novanta

In questa «wish list di pezzi da novanta» da condurre alla sbarra perché potrebbero fornire preziose informazioni in tal senso, i primi nomi circolati all'interno della galassia ecologista sono diversi. C'è quello dell'ex ministro della sanità Beatrice Lorenzin (oggi nel Pd), quello dell'ex assessore alla sanità veneta il leghista Luca Coletto, quello dell'ex direttore generale della sanità veneta, il potentissimo Domenico Mantoan, quello del governatore veneto Luca Zaia per non parlare dei massimi vertici dello stesso assessorato, a partire dalla dottoressa Francesca Russo, fino a quelli del Ministero della sanità nonché dello stesso Iss. Si tratta di una ventina di persone, alcuni peraltro sono già stati ascoltati, che potrebbe gettare una nuova luce sul processo proprio sulla scorta della testimonianza resa da Comba.

Eventualità indigesta

L'eventualità però non sarebbe ben vista in alcuni settori dell'amministrazione regionale veneta e non solo, sia per questioni di opportunità, sia per possibili problemi di natura ostativa legati alle disposizioni del codice di procedura penale: che non consentirebbe questa opzione. «Epperò se qualcuno davvero accampa un timore del genere ha torto marcio. Si tratta di un timore che non sta né in cielo né in terra - fa sapere ai taccuini di Vicenzatoday.it Renato Ellero, già docente di diritto all'Università di Padova, nonché decano tra i penalisti veneti - poiché secondo le norme che disciplinano il processo la Corte d'assise ossia il collegio giudicante, nel caso di specie formato da giudici togati e giudici popolari, non solo ha il diritto, ma ha altresì il dovere di ascoltare chiunque sia in grado di fornire elementi fattivi utili a ricostruire la verità. Ricordo ai digiuni di diritto che siamo in un processo penale e non in uno civile: quest'ultimo è regolato in modo ben diverso».

L'inceneritore della discordia

Ad ogni buon conto la situazione ambientale nell'Ovest vicentino rimane effervescente non solo sul versante Miteni. C'è un'altra grande industria del comprensorio, la Fis, che ha il suo quartier generale a Montecchio Maggiore e uno stabilimento secondario a Lonigo. La ditta alcuni anni fa finì nel mirino della amministrazione comunale di Arzignano che è retta dal centrodestra. Quest'ultima a sua volta era finita nel vortice delle critiche, anche da parte della giunta di Montecchio Maggiore, pure questa a trazione leghista, quando all'orizzonte si prefigurò la possibilità di realizzare proprio a Arzignano o nei dintorni un inceneritore di fanghi conciari.

All'epoca la giunta arzignanese, rispose al fuoco dei vicini confinanti ricordando ai colleghi dell'esecutivo montecchiano come sul territorio della municipalità dei castelli insistesse appunto la Fis: alla quale gli enti pubblici avevano concesso la realizzazione di un maxi impianto di incenerimento di scarti provenienti dalla attività della stessa ditta e dagli stabilimenti ubicati in altre sedi. Sulla sostenibilità di quell'impianto la giunta della città del grifo si pose diverse domande arrivando ad esplicitare i suoi dubbi persino sul bollettino mensile comunale del dicembre del 2018.

Passaggio in Commissione ecomafie

Peraltro, ancora nel maggio del 2021 Vicenzatoday.it diede conto di come la Commissione ecomafie avesse acceso i suoi riflettori sulla stessa Fis: più nello specifico nella seduta del 20 maggio 2021 si parlò di due sostanze, «l'acido trifluoroacetico e l'acido trifluorofenilacetico», utilizzate «in centinaia di tonnellate all'anno» proprio nello stabilimento di viale Milano.

Acquisizione Made in USA

Quando l'8 luglio il fondo di origine statunitense Bain capital ha annunciato l'acquisizione della Fis, la querelle tra la giunta di Montecchio e quella di Arzignano è riemersa di in un baleno in seno alla rete ecologista veneta in una con gli interrogativi sulle condizioni dei terreni sotto gli stabilimenti e dell'ambiente tout court: ma pure in relazione alle autorizzazioni ambientali rilasciate durante gli anni, in primis quella connessa all'inceneritore.

Tanto che molti esponenti dei comitati dell'Ovest vicentino si sono cominciati a chiedere di quali informazioni siano oggi in possesso il Comune di Montecchio (e per certi versi il comune leoniceno), la Provincia di Vicenza, l'Arpav e la Regione Veneto proprio in relazione allo stato di salute del sedime dei due impianti e se sussistano rischi di contaminazione delle matrici. Stante quanto emerse in Commissione ecomafie nel 2021 le autorità preposte che tipo di vigilanza hanno messo in campo e con quali risultati? Questa è la domanda che da giorni circola nel fronte ambientalista veneto.

La due diligence

Criticità che se esistono dovrebbero essere in qualche modo indicate nella sezione ambientale della istruttoria investigativa privata («due diligence» è l'espressione usata nel gergo anglosassone) che l'acquirente compulsa prima di procedere con l'acquisto. Si tratta di un documento cruciale, inscindibile de facto dalla compravendita, nel quale sono indicati per filo e per segno pro e contro dell'acquisizione in corso.

Nel caso di una industria chimica chiaramente la parte ambientale la fa da padrone visto il rischio ecologico intrinseco in ogni fabbrica di quel tipo. Per di più durante le settimane scorse i residenti avevano notato un andirivieni di funzionari pubblici dallo stabilimento di Montecchio Maggiore. Ma come la pensa al riguardo la Fis? Chi scrive ha contatto il vertice aziendale chiedendo un'intervista. La quale però, con molto garbo, è stata declinata.

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