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Sempre meno iscritti a infermieristica. «Così il sistema sanitario non tiene più»

Il Veneto si appresta a lanciare l'infermiere di famiglia, ma nelle facoltà della regione circa un quarto dei posti disponibili negli atenei è rimasto vacante. Fnopi: «Rischiamo di non garantire più la salute a tutti»

Proprio mentre il Veneto si appresta a lanciare la nuova figura dell'infermiere di famiglia, una brutta notizia arriva dalle università della regione e del resto d'Italia: nei corsi di laurea di infermieristica calano ancora le domande di accesso.

Domani, 19 settembre, si riunirà la giunta regionale del Veneto dove probabilmente sarà approvata la delibera dell'assessore Manuela Lanzarin con cui sarà introdotta tra le figure professionali sanitarie quella dell'infermiere di famiglia. Ma se iscrizioni ai corsi di infermieristica manterranno questa tendenza discendente sarà difficile trovare anche solo gli infermieri per gli ospedali pubblici. Difficoltà che in un certo senso si sta già vivendo, visto l'esodo di molti infermieri verso la sanità privata, dove le condizioni di lavoro sono più vantaggiose.

Ma il problema non sembra più essere la concorrenza della sanità privata nei confronti di quella pubblica. Il problema sembra proprio essere trovare giovani che vogliano intraprendere la carriera infermieristica, perché questa professione non pare più essere attrattiva.
Rispetto allo scorso anno accademico, la riduzione delle domande di accesso alle facoltà di infermieristica in Italia quest'anno è stata circa del 10%. E nei corsi di laurea veneti, le iscrizioni sono state inferiori rispetto ai posti messi a disposizione. Poco più di un quarto dei posti, infatti, è rimasto vacante.

Per questo la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), e non solo, lancia l'allarme: «Senza infermieri, l'Italia non avrà più un servizio sanitario nazionale degno di questo nome. Ci aspetta una lunga stagione assistenziale e non saremo più in grado di garantire salute a tutti. È una prospettiva concreta, reale, che comporta perdite economiche, sociali, oltre che un restringimento dei diritti civili».
Per invertire la rotta, Fnopi ritiene necessari: il finanziamento delle lauree magistrali abilitanti a indirizzo clinico per avere infermieri specialisti in grado di gestire una filiera assistenziale composta da più professionisti con livelli di competenze diversificate, il finanziamento dei docenti infermieri e la revisione dei criteri di accesso ai corsi di laurea triennali. La federazione degli infermieri chiede inoltre un cambio immediato dei modelli organizzativi con maggiore autonomia infermieristica e una nuova riqualificazione. E sul fronte della retribuzione, l'indennità di specificità infermieristica andrebbe aumentata di almeno il 200%».

«Le professioni sanitarie non sono più attrattive - ha lamentato Gianluca Giuliano di Ugl Salute - Le retribuzioni in Italia sono ancora troppo basse rispetto alla media europea e mortificano il percorso professionale degli operatori. Che non solo vengono pagati molto meno di tanti colleghi di altre nazioni ma si trovano anche a prestare la loro professione in condizioni disagevoli, esposti a rischi per la propria incolumità come dimostrano i tanti episodi di aggressioni, fisiche e verbali, che si susseguono in continuazione».

E dal punto di vista politico, la consigliera regionale del Partito Democratico Anna Maria Bigon è convinta che per il Veneto non sia necessario attendere la riforma per l'autonomia differenziata per mettere mano al problema. «In Regione si fanno riunioni e commissioni, durante le quali la maggioranza conviene sull’urgenza di un intervento, ma poi non accade mai nulla - ha spiegato Bigon - Da parte di Regione e Governo assistiamo a un continuo girarci attorno, con proposte come i "super oss" o l'assistente alla salute che certo non possono sostituire le professioni infermieristiche. Queste figure ibride, a mezza via tra l’infermiere e l’oss, non sono contemplate dall’ordinamento vigente e non sono compatibili con l’organizzazione del lavoro né con le responsabilità che scaturiscono dal rapporto tra medico e paziente. Chi mette le mani su un paziente oggi deve essere qualificato. E il personale qualificato se non viene valorizzato emigra all’estero oppure vira verso la sanità privata. Affrontare la carenza di personale sanitario nel pubblico è un dovere perché il diritto alla salute è un principio costituzionale. E con questi numeri il sistema non tiene più».

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