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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Cologna Veneta

Processo Pfas, parla l'esperto. Ira delle «Mamme No Pfas» sulla corte per la traduzione dell'interprete

Il coordinamento ecologista che sta seguendo da vicino le fasi del maxi processo ambientale sul caso Miteni teme che la défaillance in cui è incappato l'interprete durante l'ultima udienza possa essere strumentalizzata per sminuire la portata della testimonianza di uno dei massimi esperti mondiali del settore giunto in città per deporre davanti al giudice Crea

Il coordinamento delle Mamme No Pfas spara ad alzo zero sul tribunale di Vicenza, dopo che durante l'udienza del processo Miteni del 27 novembre l'interprete «aveva fatto alcuni pasticci» durante la traduzione simultanea di uno dei testi chiave dell'intero procedimento penale in corso per l'appunto a Borgo Berga. È questo il tenore di una nota di fuoco diramata dalle attiviste il 30 novembre. In data 27 novembre 2023, si legge, presso il Tribunale di Vicenza, nell'ambito del processo per avvelenamento delle acque e disastro innominato a carico di quindici ex manager della ditta Miteni di Trissino nell'Ovest vicentino, è stato sentito il consulente Philippe Grandjean, professore di medicina ambientale presso l'Università della Danimarca meridionale, nonché all'Università di Boston e ad Harvard.

La mitragliata

«Il professore - si legge nella nota - ha risposto alle domande della Corte e degli avvocati per oltre sei ore, senza mai mostrare segni di cedimento o rassegnazione». Ma c'è di più. Nonostante sia stato evidente che l'interprete nominata dal tribunale, che sui social network si qualifica come persona esperta «di comunicazioni, specialista in comunicazioni di marketing ed assistente di direzione e coordinatore di eventi, non fosse in grado di fornire una traduzione adeguata»: tanto delle domande che delle risposte, «non avendo - attacca ancora il coordinamento - una sufficiente dimestichezza con la lingua italiana». Di più, secondo le autrici della nota che al processo sono parte civile, l'interprete non mostrato «alcuna conoscenza del linguaggio tecnico, per cui la traduzione italiana è stata una sistematica storpiatura di termini e di frasi».

E non è finita. «Poiché questa è la seconda volta che succede, dopo il caso dell'esame dell'avvocato Robert Bilott che rese necessaria una seconda udienza per la nomina di due interpreti in sostituzione della traduttrice iniziale risultata inidonea, il nuovo errore nella nomina in cui è incorso il tribunale ci appare semplicemente incomprensibile. Siamo indignate non solo per la totale inadeguatezza dell'interprete nominata per l'esame di un consulente tecnico su argomenti delicatissimi, ma anche per il fatto che l'esame è risultato completamente travisato».

Si tratta di parole durissime che si innestano su una polemica già in corso da giorni. Nonostante ciò comunque le «Mamme No Pfas» hanno fatto il punto anche su quanto effettivamente reso dal professor Grandjean, visto che molte di loro l'Inglese lo masticano. Il professor Grandjean ha chiarito come le aziende produttrici di Pfas fossero a conoscenza fin dagli anni '70 di studi sugli effetti tossici di tali sostanze sia sugli animali che sugli esseri umani, ma li hanno tenuti nascosti e resi pubblici solo dopo il 2000.

Stando alla ricostruzione delle attiviste, Grandjean ha dichiarato che «esiste una documentazione sostanziale che dimostra una chiara associazione tra esposizione a Pfas ed effetti avversi sulla salute umana nella popolazione generale, soprattutto a livelli elevati, come quelli osservati nella zona rossa del Veneto». E ancora, il luminare ha spiegato come «alcuni gruppi di popolazione, come le donne incinte e i bambini piccoli, sono particolarmente vulnerabili e possono subire effetti negativi a livelli di esposizione particolarmente bassi. Alcuni di questi effetti potrebbero essere rilevabili solo in tempi successivi», dichiarando quindi un pericolo per le generazioni future.

Il professore poi, continuano le attiviste, «ha evidenziato anche come la valutazione dell'esposizione cumulativa di Pfas nel nostro organismo non possa basarsi semplicemente sulle concentrazioni nel sangue, perché questi inquinanti si accumulano anche nei nostri organi e tessuti, come evidenziato ormai da diversi studi».

Questione di cifre e non solo

L'altro aspetto chiave della testimonianza resa davanti al presidente della Corte d'assise Antonella Crea, assai criticata fuori dall'aula, riguarda le soglie di sicurezza in materia di assunzione di derivati del fluoro («i temutissimi Pfas appunto») per via alimentare stabilite dall'ente europeo proprio per la sicurezza alimentare, per l'appunto l'Efsa. Nel 2020 quest'ultimo ha stabilito «che l'assunzione settimanale tollerabile della somma di quattro tipi di Pfas è pari a 4,4 nanogrammi su chilogrammo di peso corporeo, un livello che corrisponde a una concentrazione sierica totale di 6,9 nanogrammi per millilitro». «Anche in questo caso - ha puntualizzato Grandjean - questo livello viene spesso superato nella zona contaminata, talvolta in modo sostanziale». Inoltre, secondo uno studio pubblicato dallo stesso Grandjean (lo studio Jørgensen, più altri, che risale al 2023), «il limite dell'Efsa è erroneamente elevato a causa di problemi di calcolo». L'accademico ha infatti ricordato che nel 2022, l'Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti «ha raccomandato limiti di esposizione inferiori di un centinaio di volte» rispetto a quelli di Efsa. «Ci chiediamo se il governo italiano ne sia a conoscenza e se si sia confrontato in merito con l'Istituto superiore di sanità. Ricordiamo - proseguono le attiviste - che l'Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti si è basata proprio sugli ultimi studi effettuati dal professore Grandjean per ridurre ulteriormente i limiti di queste sostanze a valori talmente bassi che, di fatto, significano virtuale assenza delle stesse».

Lo scenario 

Ma che cosa sono i Pfas? Si tratta di una sterminata famiglia di sostanze chimiche derivate dal fluoro e dal carbonio che per anni sono state realizzate e rilavorate dalla Miteni: industria chimica dell'Ovest vicentino, oggi fallita e finita al centro del più grande processo del genere in materia. La contaminazione addebitata alla Miteni ha colpito tutto il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano soprattutto nei comuni appartenenti alla cosiddetta zona rossa. La produzione, ferma nel Veneto per il fallimento della Miteni, ora prosegue alla Solvay a Spinetta Marengo, una frazione di Alessandria. A causa della «inadeguatezza della traduzione», precisano le Mamme no Pfas, i tempi della audizione del 73enne scienziato danese si sono dilatati, tanto che il professore dovrà tornare a Borgo Berga il 22 giugno. Poiché l'interprete sarà lo stesso le attiviste da giorni stanno storcendo il naso e non poco. Tanto che a più riprese il timore che era serpeggiato a Borgo Berga fosse quello che qualcuno voglia approfittare di questa défaillance per sminuire la portata devastante di quanto rilevato in aula dal cattedratico danese.

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