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Cronaca Cologna Veneta

Pfas negli alimenti? La situazione è «fuori controllo»

Il caso dell'inquinamento attribuito alla Miteni torna a scuotere gli attivisti. Durante una serata organizzata nell'Ovest vicentino Greenpeace ha tuonato contro le asserite inerzie degli enti pubblici: mentre dall'Università di Padova arrivano alcuni spiragli per la decontaminazione degli habitat

Da una parte l'Università di Padova comincia a sondare alcune ipotesi per tentare di decontaminare, almeno in parte, l'ambiente veneto colpito dall'inquinamento da derivati del fluoro attribuito alla Miteni di Trissino. Dall'altra però il fronte ambientalista del Nordest chiede lumi agli enti preposti sulla presenza «di queste temibilissime sostanze chimiche artificiali note come Pfas» nel ciclo alimentare. È questo il filo rosso di una serata organizzata nel fine settimana a Lonigo, nell'Ovest vicentino, al centro civico di via Fiume. I promotori fanno parte del forum ambientalista veneto che nel caso di specie ha avuto il patrocinio della amministrazione comunale locale.

La rotta tracciata da Masi e Renella 

Tra i molti presenti, in prima battuta è toccato a due docenti della facoltà di agraria dell'ateneo patavino (Antonio Masi e Giancarlo Renella) fare un quadro della maxi contaminazione da Pfas, attribuita dalle autorità in massima parte alla Miteni di Trissino: contaminazione che nell'arco di almeno un trentennio ha colpito il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano. Si tratta di un evento infausto che ha messo a rischio sia l'ambiente sia la salute «non solo dell'uomo ma di tutti gli esseri viventi» hanno spiegato i due.

Il professor Masi e il professor Renella però sono andati oltre ed hanno parlato di come il loro gruppo di ricerca «col supporto fattivo dell'apparato tecnico-scientifico dell'Università di Padova, un apparato di prim'ordine, nonché col contributo pure di alcuni attivisti», da mesi ha dato il via ad un progetto «di ampio respiro». L'obiettivo è quello di cominciare a sperimentare la rimozione dei Pfas dall'ambiente. Ma come?

Il salice salvifico? Le equipe al lavoro 

Detto alla grossa due sono i percorsi identificati. Il primo è quello di considerare alcuni vegetali che hanno la caratteristica di intrappolare i Pfas dentro o a ridosso delle radici. Il che vale anzitutto per i composti a catena atomica lunga, ovvero quelli di più vecchia produzione, alcuni dei quali o sono stati messi al bando o non vengono più prodotti dalle imprese.

La cattura di quelli a catena più corta sarebbe invece compito, per così dire, delle foglie. In questo contesto una delle piante che meglio ha risposto ai test delle equipe coordinate dai due docenti è il salice. Contenere gli inquinanti, circoscriverli ed eventualmente degradarli in primis con l'azione di batteri affini ai vegetali, proprio con l'azione per così dire terapeutica delle piante sarebbe un primo passo: anche se sono tante le incognite da risolvere. Anzitutto gli scienziati si domandano come smaltire i vegetali impregnati di contaminanti. La loro distruzione tramite calore (pirolisi in gergo tecnico) è da tempo allo studio degli scienziati, ma i risultati delle sperimentazioni sono tutt'altro che definitivi.

Barriera naturale: ecco il carbone vegetale 

Ancora, Masi e Renella hanno anche parlato della seconda frontiera, «senza dubbio promettente», del loro studio. Che riguarda l'utilizzo di carbone vegetale nei terreni agricoli impregnati di Pfas. Questa sostanza costituisce una sorta di barriera naturale affinché i derivati del fluoro, la cui tossicità è in larga parte data come acclarata dal grosso della comunità scientifica, non penetrino nei frutti ad uso alimentare come ad esempio «i pomodori».

I due scienziati padovani hanno spiegato come i loro studi siano tutt'altro che risolutivi. Tuttavia, questo è emerso dalla serata, i due professori stanno cominciando a tracciare una rotta perché si possa trovare, anche con l'aiuto della natura «nonché delle buone pratiche agricole», una platea «di metodiche» per degradare queste sostanze. «Noi esseri umani - questo il giudizio dei due accademici - abbiamo messo questi composti industriali nell'ambiente: a noi spetta il compito di toglierne di mezzo il più possibile».

Enti restii: l'intervista a Ungherese

Epperò mentre la scienza affronta il nodo colossale di una «auspicabile decontaminazione», rimane in tutta la sua crudezza il tema della persistenza dei Pfas nella catena alimentare. Queste sostanze, spesso sono simili agli ormoni, tanto che come una bomba a orologeria che non si sa quando esplode, possono di punto in bianco mandare in tilt la chimica dell'organismo vivente. «Ormai il problema è noto alle autorità regionali e nazionali fin dal 2013 ma all'oggi non ci sono provvedimenti di sorta per limitare l'uso di alimenti potenzialmente contaminati». Questa è stata la dura presa di posizione di Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna «Zero Pfas» di Greenpeace Italia. L'esponente della nota associazione ecologista, tra l'altro, ha seccamente ribadito il suo punto di vista alle telecamere di Vicenzatoday.it aggiungendo che sono le stesse autorità a riconoscere «che la situazione alimentare» in tema di Pfas sia del tutto «fuori controllo». Peraltro in un dossier pubblicato proprio da Greenpeace nell'aprile del 2023, il Veneto era stato descritto come «zona di sacrificio»: un'uscita shock che aveva mandato in ambasce anche il settore agroalimentare che teme ripercussioni sui mercati.

Tirando le somme

E così a fine serata (la sala è stata gremita da un uditorio di oltre centocinquanta persone) a tirare le somme dell'evento è stata Michela Piccoli, una delle fondatrici del coordinamento delle «Mamme No Pfas». Piccoli rimarcato come il binomio «Pfas e alimenti sia ancora oggi a distanza di dieci anni dalla scoperta dell'inquinamento da derivati del fluoro un tema scottante ed irrisolto». La scienza, fa sapere Piccoli, sta studiando il modo «per poter eliminare i Pfas attraverso piante che li assorbano». Contestualmente, sottolinea ancora l'attivista, gli esperti stanno passando al vaglio metodiche possano ridurre le concentrazioni dei derivati del fluoro nel suolo. «Rimane aperto però - così ha chiuso Piccoli - il problema dello smaltimento».

Il monito di Marcolungo e Rizzoli

Durante l'evento è anche giunto il monito di Claudia Marcolungo, docente sempre all'Università di Padova, di diritto ambientale. «Nessuno deve dimenticare che il diritto all'acqua pulita, ad un cibo sano e a un ambiente il più possibile non contaminato è sancito dalle norme internazionali e da quelle nazionali a partire dalla nostra Costituzione». È toccato invece a Sara Valsecchi, ricercatrice del Consiglio nazionale per le ricerche, il Cnr, il compito di illustrare alcuni «piccoli grandi accorgimenti», i quali sia in ambito agricolo che per quanto concerne l'allevamento, possono contenere la diffusione dei Pfas nella catena alimentare. Sul proscenio peraltro rimane la querelle sulla bonifica dei terreni attorno e sotto la Miteni. I primi lavori sono già in corso, ma una bonifica vera e propria, a detta di molti scienziati, è pressoché impossibile «anche per i costi miliardari».

A margine dell'evento poi Vittorio Rizzoli, un ambientalista leoniceno della prima ora, con oltre ottanta primavere alle spalle, ha esortato la rete ecologista a vigilare sulle richieste di scavo di pozzi d'acqua «o sull'emungimento di pozzi preesistenti», da parte delle imprese agricole. Il riferimento dell'84enne è ad alcuni pozzi autorizzati, principalmente nel Comune di Sarego, in quella che viene considerata «la zona rossa» fra le aree contaminate da Pfas. «Le autorità stanno vigilando sui prodotti venduti da queste aziende?». Questa è la domanda con cui Rizzoli si è accomiatato dai presenti.

ASCOLTA L'INTERVISTA A GIUSEPPE UNGHERESE

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