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In 4mila alla passeggiata arrabbiata: «Il grido delle donne che non hanno voce»

Il corteo organizzato da Non Una di Meno ha richiamato tante donne e tanti uomini di ogni età che per le strade di Verona hanno fatto rumore per Giulia Cecchettin e per le altre vittime di femminicidio

«Ci riprendiamo le strade perché non siamo sole, siamo marea», aveva scritto Non Una di Meno Verona nell'annunciare la "passeggiata arrabbiata" per Giulia Cecchettin e per le altre vittime di femminicidio. Una manifestazione che ieri, 21 novembre, ha davvero richiamato una marea di donne e di uomini di ogni età. Un corteo che è partito dal Polo Zanotto dell'università poco dopo le 19 e che ha sfilato per Via San Francesco, Lungadige Porta Vittoria, Ponte Navi, Stradone San Fermo, Stradone Maffei e poi passando per Piazza Bra è arrivato in Piazza Cittadella. E durante il tragitto si sono aggiunti manifestanti che hanno condiviso la rabbia ed hanno contribuito al rumore. Alla fine sono stati circa 4mila i partecipanti alla "passeggiata", tra cui anche consigliere comunali come Beatrice Verzè e assessori come Barbara Bissoli, Luisa Ceni e Jacopo Buffolo.

Davanti al corteo è stato portato uno striscione con la scritta: «Ci vogliamo vivə, liberə, in salute e felici». Alcuni manifestanti hanno esposto cartelli, altri hanno portato fischietti, campanelli e coperchi da sbattere per far rumore. Un rumore forte che però non ha coperto gli slogan gridati più volte, come: «Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce», e anche: «Insieme siam partite, insieme torneremo. Non una, non una, non una di meno».

«Non resteremo in silenzio e faremo rumore», ha dichiarato la consigliera Verzè, chiedendo anche alla politica di dimostrare sensibilità contro la violenza sulle donne non solo con gli atti istituzionali ma anche culturalmente. E durante la manifestazione, un microfono è stato lasciato a disposizione di chi volesse intervenire. E in molti interventi è stata evidenziata la necessità di azioni concrete e non solo gesti simbolici contro i femminicidi e la violenza di genere. E non solo alla politica, ma anche alle altre istituzioni come l'università.

Inoltre, è stato anche rilanciato l'appello di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia. È stato chiesto di comprendere che gli autori di violenza sulle donne non sono malati ma il prodotto di una cultura del possesso e dell'abuso. Una richiesta sintetizzata dallo slogan: «Lo stupratore non è malato, ma il figlio sano del patriarcato».

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