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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Il mercato del lavoro in Veneto è in crescita: situazione migliore rispetto al primo trimestre del 2021

Secondo i dati forniti dall'osservatorio "La bussola - Veneto Lavoro", la crescita dei posti di lavoro riguarda sia i contratti a tempo indeterminato che quelli a tempo determinato

Nel primo trimestre 2022 il saldo tra assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a tempo determinato e di apprendistato è pari a +23.600 posizioni lavorative. Si tratta di un risultato migliore sia rispetto al 2021 (+12.600), un trimestre in cui economia e mercato del lavoro si avviavano verso una ripresa ancora condizionata da lockdown e riaperture, che rispetto al 2020 (+1.100), caratterizzato dal crollo causato a marzo dall’emergenza sanitaria. Il bilancio occupazionale del mese di marzo è positivo per 16.000 posizioni lavorative.

La crescita dei posti di lavoro riguarda sia i contratti a tempo indeterminato (+10.600) che quelli a tempo determinato (+13.700), mentre il saldo negativo dell’apprendistato (-800) è dovuto alla crescita costante delle trasformazioni a tempo indeterminato. Le assunzioni registrano nel trimestre un aumento del 45% rispetto al 2021 (+63% nel solo mese di marzo) e del 21% sul 2020, toccando nel trimestre quota 152.300. Un terzo dei nuovi contratti riguarda i giovani, che in termini tendenziali registrano la crescita più vigorosa rispetto al 2021 (+47%).

Infografica Bussola aprile 2022-2

Sia sul versante dei saldi che della domanda di lavoro i volumi registrati quest’anno risultano analoghi a quelli del 2019, in periodo pre-pandemia. L’andamento del primo trimestre è particolarmente positivo per i servizi, con assunzioni quadruplicate nel turismo e raddoppiate nelle attività culturali e nell’editoria. L’industria, trainata da occhialeria, calzature, macchine elettriche e mezzi di trasporto, registra un aumento delle assunzioni del 37% e un bilancio positivo per oltre 10 mila posizioni lavorative. Le assunzioni in agricoltura, settore condizionato da fattori esterni alle logiche di mercato, segnano invece un -9% sul 2021.

L’andamento settoriale si riflette anche in quello territoriale: le province a maggior vocazione turistica, quali Verona e Venezia, registrano i saldi occupazionali più positivi (rispettivamente +7.800 e +7.100 posizioni lavorative dipendenti). Segno più anche per Padova (+3.700), Treviso (+2.600) e Vicenza (+2.100), mentre Rovigo, pur in terreno positivo per 1.900 posizioni lavorative, risente della caratterizzazione agricola del territorio. In negativo Belluno (-1.600), dove però il primo trimestre dell’anno è strutturalmente caratterizzato dalla chiusura dei contratti stagionali legati al turismo invernale.

Le cessazioni sono state nel trimestre complessivamente 128.700 (+39%), la maggior parte delle quali relative alla chiusura di tempi determinati o dimissioni, che nel periodo gennaio-marzo sono aumentate del 52%. Tale incremento, nel dibattito corrente interpretato come conseguenza della pandemia sulle scelte di vita che privilegiano il non lavoro, sembra in realtà più dovuto alle possibilità di ricollocazione offerte dal mercato del lavoro e alla propensione di molti lavoratori a trovare occasioni di impiego che più soddisfano le loro aspettative. Raddoppiano i licenziamenti, che rappresentano tuttavia una quota marginale rispetto al totale delle cessazioni (5%), ma nel confronto con il 2021 va considerato che allora vigeva ancora il blocco degli stessi quale misura di tutela dei livelli occupazionali.

Aumentano gli ingressi in stato di disoccupazione (+9%), non tanto quale sintomo di difficoltà occupazionali, ma come conseguenza di una rinnovata vivacità del mercato del lavoro e di una maggiore fiducia sul mercato del lavoro dopo due anni di pandemia. L’aumento maggiore si ha infatti nelle province in cui si è osservato il miglior risultato occupazionale del trimestre, ovvero Venezia e Verona (+17% di dichiarazioni di disponibilità Did). Se, quindi, il clima di crisi dovuto alle conseguenze del conflitto in Ucraina, all’aumento dei costi, alla carenza di approvvigionamenti, alla spinta inflazionistica, non sembra ancora aver avuto effetti diretti sui livelli occupazionali, tanto a livello regionale quanto nazionale, le previsioni economiche sono orientate a una forte ridimensionamento della crescita del Pil, ora stimata attorno al +2% a fronte del +4% e oltre di alcuni mesi fa. Ciò significa che il raggiungimento sufficientemente stabile dei valori pre-Covid slitterebbe al 2023.

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