rotate-mobile
Attualità

Deflagra l'affaire 'ndrangheta-Filippi tra Veronese e Vicentino

Dopo la puntata di Report andata in onda domenica si moltiplicano gli scenari al cardiopalma che angustiano un Veneto avviluppato fra trame mafiose, sodalizi massonici, potentati politici e ambienti economici alto di gamma. Fra gli imprenditori tirati in ballo c'è anche l'ex senatore leghista che però professa la bontà della sua condotta

«Le rivelazioni di Report contenute in una puntata andata in onda poche ore fa devono farci riflettere: ancora una volta una inchiesta giornalistica ci rende lo spaccato di una Regione come il Veneto in cui malaffare, politica, massoneria e potentati economici sembrano allineati su uno stesso binario senza soluzione di continuità». Comincia così un lungo intervento pubblicato martedì 7 novembre sulla sua pagina Facebook dall'ex consigliera comunale di Vicenza Franca Equizi che sul contenuto della inchiesta realizzata dal noto programma di Rai Tre condotto da Sigfrido Ranucci distilla una vera e propria retrospettiva che riavvolge il nastro degli eventi politici ai primi anni Duemila, periodo in cui ha preso corpo la possibilità di realizzare un maxi centro logistico a Montebello Vicentino, una querelle lontana nel tempo che stando ai media sarebbe da ricollegare all'inchiesta della procura antimafia che ha investito lo stesso ex senatore del Carroccio accusato di essere il mandante di due gravi intimidazioni in salsa mafiosa: una nei confronti dell'ex direttore del GdV Ario Gervasutti e di un imprenditore toscano. Si tratta di spunti trattati proprio da Report nell'ambito di una inchiesta sulla presenza della 'ndrangheta tra Veronese e Vicentino trasmessa pochi giorni fa in prima serata. Una inchiesta che tra Veneziano, Padovano, Vicentino e Veronese ha messo in risalto una serie di «liason dangereuse» di alto profilo tra economia, politica, massoneria e mafie variamente assortite.

L'enigma

«Da ex militante del Carroccio delle origini, partito al quale ho sbattuto la porta in faccia da anni, debbo rilevare - scrive Equizi - la gravità delle accuse di connivenza con la 'ndrangheta mosse ad Alberto Filippi: già personaggio di spicco della Lega, già senatore e poi deputato della Repubblica, sappiamo bene che saranno i giudici a dire una parola definitiva sugli addebiti mossi all'imprenditore dalla procura distrettuale antimafia di Venezia. Sulla vicenda di quest'ultimo però rimane un enigma. Quali sono i motivi veri per cui, sempre in tesi d'accusa, avrebbe spinto un malavitoso ad intimidire l'ex direttore de Il giornale di Vicenza Ario Gervasutti sparando sulla sua abitazione a Padova? I giornali - scrive ancora l'ex consigliera comunale di Vicenza - hanno parlato di due possibili moventi».

Possibili moventi

Ma quali sono? «Il primo - rimarca la ex leghista - riguarda alcuni articoli critici del quotidiano di via Fermi sulla contaminazione dell'ecosistema attribuita alla Unichimica di Torri di Quartesolo, primaria ditta che rifornisce di solventi e altri dispositivi il polo conciario del distretto del Chiampo, nella quale Alberto Filippi riveste un ruolo apicale sia nella gestione che nella proprietà. Il secondo riguarda la vicenda del cambio di destinazione d'uso sfumato a Montebello».

«Colata di cemento»

Appresso Equizi, che da consigliera comunale fu una stregua oppositrice del centro intermodale logistico di Montebello descritto negli anni «come una speculazione fondiaria nonché una inutile colata di cemento», rincara la dose. «Ebbene rispetto a questa seconda ipotesi, che come ogni altra dovrà essere vagliata dai giudici, troppi sono stati i media, specie quelli locali, che non hanno inquadrato bene quella storiaccia che risale agli anni 2010-2012» e ad ancora prima per certi versi. Occorre ricordare, scrive Equizi, che non si parlava di un semplice cambio d'uso di un terreno agricolo a fabbricabile. «Bensì del cambio d'uso di un terreno riferibile a Filippi a sua volta incorporato in un fondo più ampio per il quale il Comune di Vicenza, la Provincia di Vicenza, la Camera di commercio berica e la Banca popolare di Vicenza, tra i tanti, spingevano per la realizzazione di un maxi polo logistico tra Montebello e Montecchio Maggiore proprio in una zona in cui Brescia Padova, Superstrada pedemontana veneta e tracciato Tav sembrano lambirsi». Della valenza urbanistica di quella porzione dell'Ovest vicentino peraltro parla approfonditamente un servizio di Vicenzatoday.it del 2 novembre 2020.

Poi arrivano le bordate. «Quando la sottoscritta presentò un esposto che conteneva le prove dei prestiti avuti da Filippi da BpVi per procedere con l'acquisto di quei terreni, che di per sé non avevano alcun rilievo penale ma che aprivano uno squarcio sull'intento speculativo di quella partita fondiaria, l'operazione cominciò a declinare. In molti ricordano come si trattò di una operazione concepita in seno al centrodestra vicentino specie su input dell'ex presidente della provincia Manuela Dal Lago della Lega, peraltro contro la quale io da consigliera comunale mi ero fieramente battuta: proprio perché l'asserito intento logistico di quel progetto nascondeva» per l'appunto una mera finalità speculativa.

I media locali e il caso Cis

Ed Equizi non si ferma. «Oggi però, anche alla luce delle risultanze della inchiesta della procura antimafia di Venezia, il contesto appare ancora più enigmatico e non possiamo sottrarci ad una rilettura di quegli eventi. Nessuno infatti dimentica il trattamento che i media locali riservarono alla sottoscritta quando informò la magistratura dei propri dubbi su quella operazione sulle anomalie della quale, seppur abortita, mai si sono chiariti gli aspetti più contraddittori: anche perché l'approccio seguito in quel caso dalla procura di Vicenza fu assai poco incisivo». Equizi infatti ha ancora il dente avvelenato per come una parte della stampa vicentina anziché parlare dello scandalo scoperchiato dalla ex consigliera si soffermò più sulla opportunità o meno di rendere pubbliche le carte scottanti che alimentarono ancor più la polemica sul centro logistico voluto dal centrodestra vicentino e, almeno a parole, dall'allora presidente della Camera di commercio berica Danilo Longhi.

Fronte aperto

Tuttavia è in questo senso che le rivelazioni di Report, aprono un fronte di non poco conto. Filippi e il suo legale Cesare Dal Maso asseriscono che le accuse contro di lui distillate dal pentito di 'ndrangheta Domenico Mercurio siano completamente destituite di fondamento. La tesi di Report e di Ranucci «per cui Mercurio sarebbe un pentito attendibile è contraddetta da due recenti sentenze» ha dichiarato Dal Maso in un servizio pubblicato il 7 novembre su Il giornale di Vicenza a firma di Matteo Bernardini.

Cesare Dal Maso

Nello stesso servizio si legge poi che in particolare la inattendibilità di Mercurio, così sostiene il legale di Filippi Cesare Dal Maso del foro berico, è riscontrabile in una sentenza del 19 settembre scorso, in possesso della redazione di Report da oltre un mese. Alla domanda posta da Ranucci risponde indirettamente il giudice del tribunale di Verona che proprio nella sentenza del 19 settembre scrive che «è del tutto mancante il requisito di credibilità soggettiva nel collaboratore Domenico Mercurio». Tanto che il giudice, si legge sul quotidiano di via Fermi, trasmette copia della sentenza al procuratore generale della Corte d'Appello di Venezia. In sostanza si tratta della valutazione della regola del programma di protezione a Mercurio «per la sua inattendibilità».

Tutto chiarito quindi? Non proprio. Durante la puntata infatti Filippi per contestare chi lo accusa di essere il mandante della intimidazione a Gervasutti (sempre che questo fosse il bersaglio ultimo e non il tramite inconsapevole di una minaccia a qualcuno al tempo vicino allo stesso Gervasutti) di cui avrebbe incaricato il cugino del pentito Domenico Mercurio Santino Mercurio (il quale a sua volta nega ogni addebito peraltro), specifica di aver ricevuto delle minacce da un collaboratore di Domenico dopo che questo era stato incarcerato perché accusato di appartenere ad un sodalizio 'ndranghetista.

La «superprova»

Più nello specifico Filippi ricorda di aver patito da parte «di un collaboratore di Domenico Mercurio una minaccia: se non mi paghi dei soldi io ti brucio la casa» questo il ricordo dell'ex senatore che a più riprese ha respinto ogni addebito penale a suo carico. Di più, Filippi dichiara a Report di aver allontanato quello spettro pagando 7500 euro a chi lo aveva bersagliato con quel tentativo di estorsione la quale stando al racconto sarebbe andata segno. Ancora durante la stessa intervista l'avvocato Dal Maso spiega di avere fornito ai magistrati inquirenti copia di una o più registrazioni telefoniche realizzate da Filippi tra quest'ultimo e Domenico Mercurio che costituirebbe una sorta di «superprova», questo il termine uscito sulla stampa, della insussitenza delle accuse del pentito a Filippi perché, questo si è letto sui media in questi giorni, in quelle conversazioni, mai ci sarebbero riferimenti specifici ad alcuna condotta intimidatoria di Filippi riconducibile alle accuse rivoltegli dai magistrati della procura veneziana antimafia.

Coup de théâtre

Ad un certo punto però l'inviato di Report Walter Molino a Filippi pone una domanda micidiale quando gli chiede come sia stato possibile che lo stesso Filippi sia riuscito a parlare per cinque ore con Domenico Mercurio dopo che questo era stato incarcerato. Poco dopo con una sorta di «coup de théâtre» l'avvocato Dal Maso, presente in fase di intervista, si alza pronunciando una frase che lascia di stucco il giornalista: «Devo interromperla, non possiamo discutere di questa cosa».

Serve a poco la rimostranza di Molino che spiega come Filippi stia dicendo «una cosa molto grave» perché Dal Maso torna immediatamente a ribadire, aiutato dal secondo legale di Filippi, l'avvocato Renzo Fogliata del foro veneziano, pure lui presente nello studio di Dal Maso dove è in corso l'intervista, come non sia in nessun modo possibile «discutere di questa cosa».

Scenari potenzialmente sconvolgenti

Ora le dichiarazioni di Filippi aprono scenari potenzialmente sconvolgenti. Giocoforza l'ex senatore o ha ragione o ha torto. Se ha ragione è plausibile che abbia denunciato Mercurio e il sodale di quest'ultimo nell'ambito dell'estorsione patita: anche se ad oggi non si conosce esattamente questo dettaglio. Ancora se Filippi avesse ragione si materializzerebbe sulla procura antimafia una nube densissima a partire dalla gestione dei pentiti. Compreso quel Nicola Toffanin di Verona del quale Report manda in onda «una testimonianza» datata 30 giugno 2020 ricostruita in maniera scenica. Le rivelazioni di Toffanin, molte delle quali ancora secretate, starebbero facendo «tremare il Veneto» che conta.

Il mondo di mezzo e la «Gladio delle Centurie»

Il pentito infatti viene presentato come ex militare delle forze speciali divenuto poi una sorta «di maglia» inserita nel «mondo di mezzo» tra massoneria, 'ndrangheta, politica, istituzioni e imprenditoria. Di più, Toffanin sarebbe il personaggio chiave che conferma la esistenza a Verona e dintorni con propaggini vicentine di un locale di 'ndrangheta (ossia una struttura operativa composta almeno da una cinquantina di affiliati) attiva, prospera e con mille ramificazioni negli ambienti che contano.

Peraltro la figura di Toffanin appare un enigma di per sè. Quest'ultimo sarebbe davvero entrato nell'esercito minorenne come un semplice militare oppure come unità in una struttura parallela come quel filone speciale della struttura occulta nota nell'ambiente anche col nome di «Gladio delle Centurie» della quale si rilevano alcuni echi nel libro «L'ultima missione di G-71» scritto dall'ex agente segreto Antonino Arconte?

La chiesetta: una questione dirimente

Ben diversa invece apparirebbe la partita se Filippi avesse torto? La sua uscita davanti alle telecamere, sui giornali e davanti ai magistrati rischia di aggravare la sua posizione? Se così stessero le cose l'aver denunciato Mercurio all'autorità giudiziaria, sempre che così sia stato, non lo espone anche ad una gravissima accusa per calunnia? Sul versante Filippi poi c'è un altro filone che sembra passato in secondo piano. Andrea Priante sulla edizione on-line Corriere del Veneto del 2 novembre intervista Filippi e parla di una chiesetta annessa alla villa del noto imprenditore, usando queste parole: «E che quella chiesetta le serve a fare delle riunioni segrete con politici e imprenditori. Lei fa parte della massoneria?».

La loggia e la pandemia

Di fronte a quella domanda l'ex senatore leghista, che da tempo ha lasciato la politica attiva, risponde non smentendo la circostanza delle riunioni segrete. Tuttavia discettando di massoneria replica in questi termini: «Ne ho fatto parte, ma dopo la pandemia ne sono uscito. Non fui io a rivelarlo a Mercurio ma l'avrà scoperto in qualche modo: non era un segreto. Ma nelle intercettazioni dice che faccio parte di una loggia di Vicenza, e non è vero».

La replica ieratica

Al che Priante chiede a Filippi a quale loggia appartenesse. La risposta è tra il laconico e lo ieratico: «Questo non lo dico, c'è un patto di riservatezza che ritengo di non sciogliere neppure ora che ne sono uscito». Si tratta di risposte non esaustive. Filippi infatti non spiega se la loggia sia coperta o meno e non fornisce delucidazioni su chi effettivamente partecipasse alle riunioni nella chiesa. Di che riunioni si trattava? Partecipavano solo imprenditori e politici non eletti? Oppure partecipavano anche uomini delle istituzioni? Filippi dice di aver abbandonato la massoneria ma in quella chiesetta è ancora utilizzata? Ad ogni modo da quanto uscito sulla stampa non è chiaro se qui conciliaboli fossero semplici incontri conviviali (magari fra una primo, un baccalà e un caffé), tra persone influenti o se quegli incontri fossero di contro il risultato di una vera e propria attività massonica.

Informare la prefettura

L'esistenza di logge regolari per vero deve essere comunicata per legge alla Prefettura che tiene un registro riservato in ossequio alle disposizioni della legge Anselmi-Spadolini. In caso contrario si può incorrere in sanzioni penali di una certa gravità.

La legge Anselmi-Spadolini

Ad ogni modo la legge Anselmi-Spadolini (promulgata dopo la deflagrazione dello scandalo della P2) è molto stringente poiché già nel suo primo articolo che recita così: «Si considerano associazioni segrete, come tali vietate dall'articolo 18 della Costituzione, quelle che, anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale». In questo contesto ancora non è chiaro se, quanto meno dopo le rivelazioni del Corriere veneto, la Prefettura di Vicenza e la procura berica abbiano, secondo le competenze di ciascuna, effettuato le indagini di specie.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Deflagra l'affaire 'ndrangheta-Filippi tra Veronese e Vicentino

VeronaSera è in caricamento