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Good Bye, Putin! 

A Verona è stata sospesa una rassegna dedicata al cinema di due grandi registi russi: Andrej Tarkovskij e Šachnazarov

Lo scorso lunedì 17 gennaio a Verona, dopo due anni di pandemia da Covid-19 che ne avevano impedito il regolare svolgimento, era tornata a tenersi in presenza un'interressante rassegna cinematografica, organizzata dall'Associazione Conoscere Eurasia, presso il palazzo della Gran Guardia. Il programma prevedeva una decina di proiezioni che si sarebbero dovute svolgere ogni lunedì sera fino al prossimo 28 marzo 2022. La rassegna, in particolare, era dedicata a due importanti registi russi, ovvero Andrej Tarkovskij, tra i più noti autori del cinema russo nel mondo, e Karen Šachnazarov, verosimilmente meno conosciuto dal grande pubblico ma al quale era già stata dedicata nel gennaio 2020 l'undicesima edizione dell'iniziativa "Incontri con la cultura russa. Il cinema di Karen Sachnazarov". Il curatore della rassegna 2022, nonché del catalogo e presentatore degli incontri, così come spiegato dalla stessa Associazione Conoscere Eurasia, è un autorevole docente di Storia e critica del cinema all'università di Verona, vale a dire il professor Alberto Scandola.

Il giorno lunedì 7 marzo 2022, era prevista la proiezione in Gran Guardia del film Andrej Rublëv del regista Andrej Tarkovskij, un film presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 1969 e che, insieme a molti altri del regista russo, come ad esempio Solaris, Stalker, Lo specchio, vengono in modo abbastanza universale riconosciuti quali capolavori nella storia del cinema. Sempre il giorno 7 marzo 2022, tuttavia, l'Associazione Conoscere Eurasia ha pubblicato sul proprio sito web un avviso, serafico e ben poco esaustivo, con il quale si annunciava la sospensione della rassegna cinematografica:

«Cari amici dell’Associazione Conoscere Eurasia, vi comunichiamo che le proiezioni della Rassegna sono per ora sospese. Vi terremo informati sulle date della continuazione del Cineforum».

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L'avviso di sospensione del cineforum

Come detto, non sono formalmente note le cause che possono aver portato ad una sospensione della rassegna. Il messaggio, molto breve, si limita a comunicare lo stop della rassegna promossa dall'associazione presieduta dal professor Antonio Fallico, già presidente anche di Banca Intesa Russia. A fronte di una scarsità di informazioni, non ci si può dunque che abbandonare a delle supposizioni. La prima, inevitabile e che a molti dev'essere balenata nella mente, è che la decisione di sospendere la rassegna dedicata al cinema russo, verosimilmente sofferta, possa in qualche modo aver avuto a che fare con quanto avvenuto il 24 febbraio 2022, ovvero l'invasione armata dell'Ucraina da parte dei militari della Federazione Russa guidata dal presidente Vladimir Putin. Per cercare di capire meglio le cose, abbiamo anche provato a contattare telefonicamente l'associazione, ma l'attesa per poter parlare con il centralino si è protratta a lungo senza risposta. 

Teniamoci dunque il dubbio che le ragioni della sospensione possano essere altre e differenti dalla suddetta supposizione, tuttavia proviamo ugualmente ad assumere quest'ultima per sviluppare una breve riflessione. Non sarebbe dopotutto il primo caso in Italia, anzi, ben più clamoroso è stato il recente episodio di censura di un corso universitario dedicato allo scrittore russo Dostoevskij che è stato pubblicamente denunciato da parte del professor Paolo Nori. Se ciò non bastasse, nei numerosi talk show televisivi italiani non è raro ascoltare opinionisti che sposano apertamente l'idea di un necessario boicottaggio dei "prodotti culturali russi", oltre ai tradizionali prodotti commerciali (vodka o caviale, ad esempio). Ora, al di là del fatto che probabilmente vietare i libri di Dostoevskij o il cinema di Tarkovskij finirebbe in modo paradossale con il fargli finalmente acquisire una rinnovata popolarità tra un più vasto pubblico, non è possibile osservare tali fenomeni, più o meno apertamente censori, senza inquietudine.

Non si tratta solamente di scongiurare il pericolo di una "russofobia" indiscriminata, quanto anche di valutare il senso delle nostre democrazie, dove la libertà di espressione coinvolge anche e soprattutto le forme artistiche. Pasolini si vide sequestrato nel 1968 dalla procura di Milano il suo film Teorema, l'accusa era di «oscenità», mentre Bertolucci venne condannato nel 1976 a due mesi di carcere (pena sospesa) per aver girato quattro anni prima Ultimo tango a Parigi, film anche in questo caso sequestrato poiché ritenuto «osceno e privo di contenuto artistico». A che punto siamo oggi? La domanda non ha risposta, poiché se da un lato è innegabile che i film di Bertolucci e Pasolini possano trovare ampia condivisione al pari di prodotti ben più «osceni» (anche e soprattutto sotto il profilo qualitativo), altrettanto evidente è che oggi in Italia si stia tornando a parlare di censura, nella fattispecie nei confronti di opere provenienti dalla Russia, con un'inquietante leggerezza. Attraversiamo un vero e proprio momento di crisi, e prima ce ne renderemo conto meglio sarà. Le forme di boicottaggio politico possono essere legittime, anzitutto le sanzioni economiche imposte alla Federazione Russa dall'Ue e dagli Usa, ma vanno ben comprese: sono, nei fatti, a tutti gli effetti un "atto parabellico", l'unico possibile dinanzi all'impossibilità di combattere una guerra militarmente, nel tentativo di evitare un'escalation che all'orizzonte, per la prima volta nella storia dell'uomo, vede profilarsi l'eventualità di un conflitto nucleare. Sviluppare invece forme di ostracismo culturale generalizzato nei confronti della Russia è tutt'altra cosa. E non rendersene conto, significa banalmente aver già perso nel tentativo di difendere le democrazie dinanzi all'enorme sfida geopolitica che vede sopravanzare modelli di governo autocratici, o persino dittatoriali. 

Propaganda e censura sono all'ordine del giorno nella Federazione Russa: la guerra d'invasione in Ucraina è definita un'«operazione militare speciale» per «denazificare» il paese oppresso. I civili non vengono colpiti, se un ospedale viene bombardato è perché in realtà sarebbe diventato il covo dei membri neonazi del famigerato battaglione Azov. Quest'ultimo esiste davvero, ma è altrettanto evidente quanto ingigantito e strumentale sia il suo ruolo nella narrazione russa tesa a giustificare l'intervento militare in Ucraina, ingiustificabile e inaudito quanto reale, con gli ormai altrettanto famosi 14/15 mila morti dal 2014 nel Donbass, di cui ci si guarda sempre bene di specificare (poiché nessuno può saperlo con esattezza) a quale parte del campo di battaglia si riferiscano. Oltre a ciò pare che pure tra le fila dei militari russi non manchino i neonazi, su tutti i mercenari del gruppo Wagner. In Italia, tra i filoputiniani più o meno mascherati di ieri e di oggi, così come nella Federazione Russa, bisognerebbe riacquisire un po' il senso delle proporzioni. Se Putin avesse voluto davvero liberare il Donbass non sarebbe certo arrivato a 100 km da Leopoli con i bombardamenti, allo stesso modo che vi siano minoritarie risacche di sciovinismo fascisteggiante nell'Ucraina di oggi, pur ingiustificatamente flagellata dalle bombe, è cosa altrettanto innegabile, come sanno bene anche a Bruxelles.

L'Ue ha deciso negli scorsi giorni di censurare alcuni siti di informazione poiché ritenuti promotori di fake news e controllati dalla Federazione Russa, tra questi anche il portale online SputnikItalia. In Russia sono stati chiusi innumerevoli giornali, emittenti televisive, radio, i giornalisti che si esprimono in modo non conforme alla linea del governo circa la guerra in Ucraina, o meglio quella che non si può chiamare tale ma solo «operazione militare», rischiano fino a 15 anni di carcere. La cosa per noi sorprendente, tuttavia, è che anche tra i lettori italiani la reazione ampiamente condivisa sui social dinanzi a tale situazione sia stata una sorta di ritorsione contro i giornalisti nostrani, responsabili a detta di molti utenti di aver diffuso notizie false negli ultimi due anni in relazione alla pandemia. Il ritiro complessivo dei corrispondenti in Russia dei media di mezzo mondo, viene infatti travisato e letto come una forma di codardia, o peggio di malafede. A tal punto la nostra democrazia è in agonia. E censurare Sputnik è, ad esempio, un gesto debole, la dichiarazione palese di tale impotenza democratica: non riusciamo infatti a dissuaderci dal credere che fosse molto più utile ed interessante per le nostre democrazie poter continuare a leggere, ad esempio, anche i numerosissimi articoli, spesso assai tendenziosi, contenuti su tale portale invece che banalmente sottoporlo a censura. Gli stessi veronesi, oggi, ad esempio non possono rendersi più conto di quanta attenzione tale giornale online riservasse alla nostra provincia, con tanto di numerose interviste ad esponenti politici di primissimo piano nella città. Un dato che assume evidentemente significati quantomeno singolari alla luce del conflitto in atto. 

Vi è un prima e un dopo il 24 febbraio 2022, vi sarà un prima e un dopo. La storia si sta scrivendo, il presidente Putin la sta scrivendo militarmente, le democrazie attraverso decisioni diplomatiche, politiche, economiche, la gente ucraina attraverso il dolore, il coraggio e la speranza. Non vi è modo di tornare indietro, bisogna scegliere come procedere in avanti: da un lato la democrazia, dall'altro forme di governo che non nascono oggi, ma da tempo presenti in molti luoghi del mondo (dagli Emirati Arabi alla Cina e, ovviamente, la stessa Federazione Russa), costituiscono alternative politiche autoritarie, repressive e limitanti la libertà individuale e di espressione. Queste ultime sopravanzano, si abbia l'intelligenza di combatterle evitando di adottarne i metodi e gli strumenti, poiché l'effetto non potrebbe che essere quello di venirne sopraffatti per assimilazione.

Nel 2003 uscì in Germania un film, tutto sommato non esaltante, ma che ebbe un impatto incredibile sul pubblico tedesco: raccontava i disperati tentativi di un figlio impegnato a nascondere alla propria madre, per preservarla dallo shock, l'avvenuta trasformazione del mondo, in quanto la donna era stata una fervente sostenitrice della DDR finita in coma nella Berlino Est poco prima della caduta del muro e, poi, risvegliatasi circa otto mesi più tardi nel bel mezzo del processo di riunificazione delle due Germanie. Il titolo del film era Good Bye, Lenin!, dallo scorso 24 febbraio 2022 il mondo è ripiombato in una schizofrenica partizione tra Occidente ed Oriente che, in modo assai anacronistico, riflette la forma mentis della madre di questo film, non meno che quella di un uomo politico totalmente ancorato al Novecento come il presidente russo. Evitando censure, messe in scena, parate di Stato e propaganda, alle democrazie occidentali, non meno che al popolo russo stesso, oggi non resta che trovare il modo migliore per affermare anzitutto la propria cultura democratica, riscrivendo la trama di questo pessimo film che si sta purtroppo vivendo da ormai troppi giorni, il cui titolo, ne siamo convinti, non potrà comunque che essere Good Bye, Putin! 

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