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Bossi addio al veleno, nel mirino anche Flavio Tosi

Nel giorno dell’elezione a segretario della Lega Nord di Roberto Maroni, il Senatùr manda frecciate non poi così velate a gli esponenti della cosiddetta “Lega 2.0”

Nel giorno dell’elezione a segretario della Lega Nord di Roberto Maroni, Umberto Bossi manda frecciate non poi così velate a gli esponenti della cosiddetta “Lega 2.0” fra i quali ci sarebbe anche e il sindaco di Verona Flavio Tosi. Il Senatur se la prende con chi “agita le scope” e si farebbe pagare l’autista dal partito, ma anche con gli “imbecilli che stanno nella Lega e agitano il tricolore”

Gli strali al sindaco di Verona e segretario regionale della Lega sembrano essere il vero leitmotiv dell’addio di Bossi alla segreteria del Carroccio. Durissimo il colpo di coda del vecchio leader che ha passato il testimone al delfino di sempre Bobo Maroni.

La Lega non ha rubato nulla, i ladri sono altri, i farabutti romani”, ha detto Bossi intervenendo al congresso federale del Carroccio che si è svolto ad Assago, in provincia di Milano. La reazione della platea non è stata proprio quella attesa dal Senatur visto che dai militanti è partito qualche fischio.

“Nessuno ha rubato, qualcuno ha aperto la fortezza da dentro”, ha aggiunto il Senatur.
“Tutto quello che è accaduto nella Lega, è stato studiato a tavolino”, ha aggiunto ancora Bossi riferendosi agli scandali che hanno investito il partito. “La Lega non ha rubato niente - ha rimarcato - io pensavo fosse troppo scemo il nostro amministratore per essere legato alla ‘ndrangheta. Se era così, però, chi lo sapeva lo doveva dire. I servizi segreti lo sapevano”.

Ma le stoccate al capofila dei maroniani in Veneto non sarebbero finite. “Il sogno è una cosa sola. E lo dico per gli imbecilli che stanno nella Lega che girano col tricolore. Il sogno è la Padania libera”, tuona il Senatur rispolverando il vecchio pallino della secessione. Non è un mistero che Tosi sia un leghista atipico, tanto da aver più volte stigmatizzato il folklore in salsa padana, fatto di barbe verdi e corna vichinghe. Un leghista che si definisce convinto nazionalista e federalista nello stesso tempo. Un leghista che ha “perfino” cantato l’inno di Mameli, definendolo “Una cosa seria”. Provo “un forte senso di identità nazionale, tifo per la Nazionale, tifo Ferrari. Il nonno faceva parte dell’Arma dei carabinieri”, aveva detto tempo fa il sindaco di Verona. “Sono stonatissimo, ma l’inno nazionale è una cosa seria”. Parole e pensieri che dipingono una Lega del tutto diversa da quella ideata e costruita da Umberto Bossi in oltre 20 anni di “tirannia” assoluta. Una “Lega 2.0”, quella voluta da Tosi e Maroni, cui il Senatur non sembra intenzionato a dare incondizionatamente la propria benedizione. Anzi.
 

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