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Ex seminario di San Massimo, proseguono le polemiche sull'Ecoborgo

Dal PD veronese e dal M5S veneto arrivano le nuove critiche al progetto dopo il via libera della Regione: al centro la superficie di destinazione commerciale, che porterebbe a pesanti ripercussioni sulla viabilità della zona

Non si placano le contestazioni sul progetto dell'Ecoborgo che dovrebbe riqualificare l'area dell'ex seminario di San Massimo. Nei giorni scorsi erano stati Michele Bertucco, di Verona e Sinistra in Comune, e i consiglieri regionali del Partito Democratico Andrea Zanoni e Anna Maria Bigon, ad attaccare Zaia e Sboarina per l'area di destinazione commerciale. Secono Bertucco l'Ecoborgo sarebbe stato «dimensionato per ospitare solo 9mila metri quadrati di commerciale, per di più riservati a soli negozi di vicinato. Successivamente, è stato chiesto alla Regione di poter sfondare quel limite portando a 21mila metri quadrati la superficie commerciale», che manderebbe però in tilt la viabilità della zona. 

Sulla vicenda hanno rincarato la dose anche Federico Benini, Elisa La Paglia e Stefano Vallani, consiglieri comunali a Verona per il PD, Riccardo Olivieri, segretario del Terzo Circolo PD, e Sergio Carollo, capogruppo dei Dem in Terza Circoscrizione. 
«Sull’Ecoborgo di San Massimo - recita la nota diffusa - è accaduto purtroppo quanto avevamo previsto e paventato a dicembre: la riduzione della superficie commerciale chiesta dall’amministrazione comunale è stata semplicemente ignorata dalla Regione Veneto. In primo luogo perché la Regione a guida leghista se n’è sempre fregata dei problemi di Verona, e in secondo luogo perché la richiesta del Comune non era adeguatamente motivata, anzi, era del tutto infondata. Con quale criterio, infatti, Sboarina e Segala ritenevano che una superficie commerciale di 16 mila metri quadri potesse essere più sostenibile di una di 20 mila metri quadri quando le previsioni di progetto assicuravano che in quella posizione non ci potevano stare più di 9 mila metri quadrati e per di più esclusivamente dedicati a negozi di vicinato?
Era evidente che si trattava soltanto di un pallido tentativo di salvare la faccia davanti alla popolazione di San Massimo vittima dell’ennesima colata di cemento e dell’ennesimo pasticcio viabilistico.
Invitiamo Sboarina e Segala a venire a spiegare ai cittadini di San Massimo che cosa accadrà, dopo la realizzazione del centro commerciale, alle strade principali di San Massimo, come via Brigata Aosta e via Romagnoli, già oggi preda di pensanti incolonnamenti di auto nelle ore di punta. Spieghino come intendono rendere il piano sostenibile dal punto di vista viabilistico, della qualità della vita del quartiere e della salubrità dell’aria».

Anche il consigliere veneto del Movimento 5 Stelle, Manuel Brusco, si è scagliato contro il progetto: «A San Massimo, appena fuori Verona, verrà permessa la realizzazione dell’ennesimo centro commerciale.
Un insediamento enorme, a ridosso della città, lungo una direttrice già congestionata. Inutile lamentarsi della progressiva chiusura di negozi e botteghe del centro storico della città scaligera se si continua con questa politica.
Nella Commissione Urbanistica del Consiglio Regionale, il mio voto è stato contrario, anche per motivi procedurali e di trasparenza.
Quella di giovedì è stata l’ultima commissione consigliare della decima legislatura: perché approvare un documento così delicato senza dare il giusto tempo ai consiglieri commissari di approfondire?
Ma c'è di più: queste trasformazioni urbanistiche sono possibili in virtù del Piano Area PAQE, che è uno strumento strategico risalente al 1998 e che va contro alle leggi ordinarie sull’urbanistica.
A cosa è servito approvare la legge per il consumo di suolo se poi questo Piano di fatto consente deroghe senza limiti?
La Variante approvata in Consiglio Regionale, oltre a consentire la riconversione del Seminario di San Massimo in centro commerciale, prevede la possibilità di realizzare depositi di rifiuti rigenerabili nei 21 comuni assoggettati al PAQE: ma quali garanzie ci sono che non si stocchino rifiuti di qualsiasi tipo? Perché invece di prevedere una norma nel piano rifiuti ordinario, si preferisce passare sempre da questo strumento strategico?
Ancora una volta siamo di fronte a scelte poco chiare nei fini e con l'unico risultato evidente, per quanto riguarda Verona, di assediare la città con una “cintura” di centri commerciali che impoveriscono la vita del centro storico, perdipiù senza adeguati servizi e collegamenti».

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