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Finali scudetto di tennis dirette dal giudice arbitro veronese Roberto Zansavio

L'intervista al giudice arbitro veronese a cui sono state affidate le finals maschili e femminili di Torino

Le finali scudetto del tennis italiano hanno parlato un po' veronese. Roberto Zansavio è stato giudice arbitro ed è stato intervistato dopo questa esperienza.

Racconta qualcosa di te in considerazione dell’ultimo impegno che ti ha visto come giudice arbitro nelle finals scudetto.

Il 1976 ha avuto anche per me un significato particolare per quanto riguarda il tennis. Da ragazzino alternavo delle gran pallate al muro della vicina (non troppo contenta) alle imprese di Panatta &C e questa passione, che pian piano è cresciuta e mi accompagna tutt'ora. Per spiegare il perché sono diventato giudice-arbitro, scherzando faccio sempre il parallelo con i registi che magari fanno dei film bellissimi, che non capisce nessuno, e poi diventano critici cinematografici affermati. Quindi la mia passione di giocatore modesto ha trovato un altro sbocco che mi ha permesso di arrivare a livelli più che buoni. Non mi ricordo francamente perché verso la fine del 1998 ho iniziato il percorso formativo che mi ha portato l’anno seguente ad acquisire la qualifica di giudice-arbitro, ma fin da subito ho cercato di fare tesoro di tutti gli insegnamenti ricevuti e delle esperienze che andavo a maturare pian pianino per cercare un mio miglioramento continuo.

Ti ricordi la prima partita che hai arbitrato dopo aver superato il corso?

Mi ricordo bene il mio primo arbitraggio. Era un turno di un under 14 femminile, fase regionale e mi ricordo anche i miei errori, solo formali per fortuna, che essendo stata la mia prima esperienza, sono stati considerati veniali dai miei responsabili del tempo ed anche dal sottoscritto. Il fatto che me li ricordi ancora forse è indice della mia esigenza. Forse questa è la prima caratteristica di un ufficiale di gara.

le finals del tricolore 2023 di torino parlano comunque veronese con roberto zansavio-2

E da quel giorno non hai più smesso?

Sono volati gli anni e da allora non ho più smesso. Ed ho sempre cercato di mettermi in discussione, senza dare mai niente per scontato, affrontando con serietà ogni evento e manifestazione.

Quindi dopo i primi anni di gavetta, possiamo dire hai fatto il salto di qualità?

Ho sicuramente avuto nella mia vita, anche professionale, la fortuna di incontrare responsabili che hanno creduto nel mio lavoro e nel mio modo di fare. Mi ricordo ancora quando il povero Giorgio Bertagna, che purtroppo ci ha lasciato prematuramente, mi chiamò al telefono nel 2003 per chiedermi la disponibilità per la direzione dei Campionati Italiani Maschili di 2^ Categoria presso l’At Verona. E mi ricordo anche che gli chiesi come era possibile che avessero pensato al sottoscritto per una manifestazione di questo livello. Di fatto stava investendo ed era anche per la Federazione una specie di scommessa. Poiché era tale, decisero di mettermi a fianco un commissario di campo di spessore, Domenico Ciervo, che conoscevo in quanto era stato anche mio istruttore. Ricordo molto bene quando Domenico entrò all’At Verona, che non trovava le parole giuste quasi per scusarsi per la sua presenza. Ruppi gli indugi io e gli dissi che fare quella manifestazione era per me un onore e che sarebbe stata una bellissima esperienza, ma farla con lui accanto l’avrebbe fatta diventare ancora più bella. Bevemmo un caffè e poi giù a preparare, lavorare insieme, con molto affiatamento.

Che caratteristiche deve avere un buon arbitro di tennis?

Un ufficiale di gara nelle sue funzioni rappresenta una componente molto importante della federazione e quindi ha una responsabilità. Premesso questo, l’immagine è importante, dentro e fuori dal campo, la preparazione è essenziale: senza di questa non si va da nessuna parte. E la contezza di far parte di qualcosa di più grande porta ad avere una visione ampia. Da lì trova ragione un'altra caratteristica fondamentale che è la collaborazione e la condivisione di competenze ed esperienze. Nel briefing prima dell’inizio degli incontri, mi piace ricordare che ci sono due possibilità alternative: o facciamo bella figura tutti o non la fa nessuno. E quindi, ben venga qualsiasi atteggiamento o azione atta a far crescere tutti.

Riesci a conciliare gli impegni lavoro con questa attività?

Questa purtroppo è una nota un po’ dolente in quanto la direzione di un torneo individuale necessita di una quantità di giorni incompatibile con la mia attività professionale. Pertanto, negli ultimi anni, mi sono dedicato ai campionati a squadre, che impegnano al massimo quattro giorni per i gironi finali ed una o due giornate per le altre fasi a seconda delle necessità di trasferta. E questi incontri prevalentemente vengono effettuati nei weekend.

Se dovessi tirare le somme dopo questi anni di lavoro?

È un’avventura bellissima che mi ha portato a prendermi tante soddisfazioni, anche molto recenti, come la direzione delle Finali del Campionato degli Affiliati Serie A1 maschile e femminile, svoltesi a Torino nell’ultimo ponte dell’Immacolata. È la seconda volta che ho l’onore di dirigere tale evento, che è un ulteriore salto di qualità. Kermesse di questo tipo ti fanno cogliere che per quanto uno sia preparato e competente, c’è sempre qualcosa da portare a casa, che ti fa crescere. Alzando il livello sono le sfaccettature che fanno la differenza. La capacità di comunicare in modo efficace con i capitani, con i giocatori, anticipando e prevenendo possibili problemi, che per quanto banali, potrebbero comunque essere di disturbo al buon andamento di una manifestazione di livello, è quindi una componente essenziale. Ho colto con mano che questo è un elemento da tutti molto apprezzato, dai giocatori ed anche dall’organizzatore. Ovviamente diamo per scontato che tutte le competenze tecniche che riguardano la conoscenza delle carte federali devono esserci e per parlare occorre essere molto sul pezzo, curando anche la parte organizzativa, preparando accuratamente l’incontro.

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Pensi ci siano degli sbocchi per la carriera da arbitro professionista?

Per quanto riguarda eventuali sbocchi internazionali, direi che per il sottoscritto il “treno” è passato da tempo. Sarebbe stata comunque una scelta di vita. Il mio obiettivo ora è mantenere il livello, non facendo niente per un secondo fine, ma impegnandomi perché è corretto farlo, nel migliore dei modi e per il movimento tutto. E se riesco a far crescere qualche collega ben venga. Per tutte le opportunità e la considerazione che mi viene continuamente riservata, ringrazio il mio responsabile regionale, Gianluca Benato, il presidente del Ccug Massimo Dambruoso e Daniela Congia che, tra gli altri compiti, segue da vicino tutto il settore arbitrale.

Cosa consiglieresti ad un ragazzo giovane per intraprendere la carriera arbitrale?

Per un giovane la carriera arbitrale può rappresentare un’opportunità anche di lavoro, ma deve essere presa sul serio, senza l’ansia di arrivare presto, facendo tesoro di tutte le esperienze. Il lavoro serio paga sempre ed implica anche una severità con sé stessi, senza la quale difficilmente ci si può spingere oltre il livello che uno ha per tendere ad uno superiore. Anche una buona dose di umiltà non guasta: il giudice-arbitro è il primo che arriva e l’ultimo che esce dall’impianto di gioco, deve pianificare, deve organizzare, deve essere attento che tutto si svolga in modo lineare e nel rispetto delle regole. Ma il giudice-arbitro non si vede perché, come dico sempre nel briefing d’inizio giornata agli arbitri, «se questa sera nessuno si ricorderà i nostri volti, significa che avremo fatto bene il nostro compito, senza nessun atteggiamento da protagonisti, perché gli attori sono i giocatori, che avremo messo in condizione di disputare il loro incontri nel rispetto delle regole, degli avversari, del pubblico e degli ufficiali di gara»

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