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Il viaggio di Ciancimino in citt si trasforma in mistero

Il figlio dell'ex sindaco di Palermo incontr a Verona un suo finanziatore indagato per mafia

Da Bologna fino a Verona in auto da solo, senza la scorta, per incontrare un uomo già inquisito per associazione a delinquere con la ‘ndrangheta calabrese e proporgli un affare per la compravendita di acciaio. Sul viaggio nel capoluogo scaligero di Massimo Ciancimino si accendono i riflettori e, a far luce sulla vicenda, vorrebbero essere le tre procure che si stanno occupando del caso con la Direzione nazionale antimafia: Reggio Calabria, Palermo e Caltanissetta. Tutto da chiarire e nessuna rilevanza penale, è bene dirlo, ma è la credibilità di Ciancimino jr, alla ribalta per le sue dichiarazioni sulle presunta trattativa tra Stato e mafia, a vacillare. E l’incrinatura del suo rapporto con il mondo mediatico potrebbe partire proprio da Verona.

A renderlo noto, con rivelazioni e retroscena, sono La Stampa e il Corriere della Sera, che hanno passato al setaccio i documenti giudiziari e le registrazioni di alcune sue conversazioni con Girolamo Strangi, considerato il contatto del clan Piromalli al nord e in passato inquisito per false fatture e truffa. Alle indagini della Squadra mobile di Reggio Calabria, sulla penetrazione della criminalità organizzata al nord, sarebbe servita la cimice installata nell’ufficio di Strangi a Verona. Ma nelle registrazioni viene coinvolto anche Ciancimino. Secondo un’informativa della procura calabrese, il figlio dell’ex sindaco di Palermo avrebbe raggiunto Verona l’ottobre scorso, per incontrarsi con Strangi e trovare un’intesa per la compravendita di una partita di acciaio. Ciancimino gli avrebbe offerto centomila euro in contanti, in cambio di settantamila in assegni. Da qui partirebbe l’ipotesi in grado di metterlo in imbarazzo: il 30 percento sarebbe la quota, dovuto al cambio banconote-assegno, trattenuta per un presunto riciclaggio di denaro.

A quest’accusa ventilata, il figlio di don Vito si difende sulle pagine del Fatto Quotidiano, attribuendo tutto l’episodio alle cattive frequentazioni del suo commercialista, di cui si conosce solo il nome, Paolo. Sarebbe stato proprio Paolo, in debito per un affare andato a male a Ferrara, a presentare Strangi a Ciancimino. Quest’ultimo non sapeva nulla del suo finanziatore, né tantomeno delle indagini in cui era coinvolto. Anche la storia dei contanti non starebbe in piedi, secondo Ciancimino. Lui si sarebbe recato a Verona a mani vuote, solo per fare da garante su un affare che aveva in ballo col socio Paolo, e non avrebbe avvisato la scorta per non allarmare il suo contatto. Nemmeno l’ombra dei contanti, quindi, se non nella richiesta del finanziatore di rimettere le mani sui soldi, in banconote e assegni, che aveva investito precedentemente con il commercialista. L’affare dell’acciaio, come precisa Ciancimino sulle pagine del Fatto, sarebbe poi andato in porto con gli assegni, circa 60mila euro, che Strangi aveva effettivamente consegnato.

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