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L'invenzione di una democrazia: Cacciari, Agamben (e Fusaro), il green pass e il "minimo teorico"

«La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica», scrivono i filosofi Massimo Cacciari e Giorgio Agamben a proposito del green pass obbligatorio

Alla fine non ha resistito, così anche Massimo Cacciari che nella prima fase dell'epidemia (ora divenuta pandemia) aveva optato per il silenzio stampa filosofico, ha infine fatto la sua discesa in campo. E che discesa! Fianco a fianco con Giorgio Agamben, il quale invece dal 26 febbraio 2020 non ha mai smesso di scrivere sull'argomento, tanto da tramutare poi i suoi contributi, inizialmente ospitati dalla rubrica Una voce, in uno dei tanti libri, certamente tra i più degni di esser letti, che nell'ultimo anno si sono occupati di coronavirus e dei risvolti sociali, politici, giuridici ed economici annessi. L'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici che, sul proprio sito web, si fregia del "Diploma d'onore del Parlamento Europeo", ha infatti pubblicato in data 26 luglio un breve contributo a firma proprio di Massimo Cacciari e Giorgio Agamben dal titolo «A proposito del decreto sul "green pass"». L'incipit del testo è eloquente:

«La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Lo si sta affrontando, con il cosidetto [sic] green pass, con inconsapevole leggerezza».

Cacciari ed Agamben, a riprova della loro tesi, chiamano poi in causa «il "passaporto interno" che per ogni spostamento dovevano esibire alle autorità i cittadini dell’Unione Sovietica», quindi ammoniscono il lettore in chiave teologico-politica: «Guai se il vaccino si trasforma in una sorta di simbolo politico-religioso». E qui le cose si complicano perché, non senza qualche ambiguità e faciloneria, i nostri chiamano in causa la scienza:

«Ciò non solo rappresenterebbe una deriva anti-democratica intollerabile, ma contrasterebbe con la stessa evidenza scientifica. Nessuno invita a non vaccinarsi! - chiariscono Cacciari ed Agamben - Una cosa è sostenere l’utilità, comunque, del vaccino, altra, completamente diversa, tacere del fatto che ci troviamo tuttora in una fase di “sperimentazione di massa” e che su molti, fondamentali aspetti del problema il dibattito scientifico è del tutto aperto».

Il prosieguo del testo di Cacciari ed Agamben non è da meno ed affonda ancor di più il fendente nella carne debole delle evidenze scientifiche che i due filosofi pongono in questione:

«Il vaccinato non solo può contagiare, ma può ancora ammalarsi: in Inghilterra su 117 nuovi decessi 50 avevano ricevuto la doppia dose. In Israele si calcola che il vaccino copra il 64% di chi l’ha ricevuto. Le stesse case farmaceutiche hanno ufficialmente dichiarato che non è possibile prevedere i danni a lungo periodo del vaccino, non avendo avuto il tempo di effettuare tutti i test di genotossicità  e di cancerogenicità».

Ora, se queste considerazioni filosofiche finiscono con l'alimentare la bêtise da social network in chiave Covid-19 che oggi va tanto di moda, oppure si approssimano asintoticamente alle roboanti affermazioni circa la "dittatura sanitaria" che si ritrovano nei comunicati stampa divulgati dalla galassia dell'estrema destra italiana extra-parlamentare, echeggiando pure nelle recenti manifestazioni di piazza di cui si è avuto esempio anche a Verona, ebbene, risulta onestamente difficile appellarsi ad una qualsivoglia pretesa eterogenesi dei fini. Sia ben chiaro, vi è del marcio in Danimarca, ovvero il green pass reso obbligatorio dal 6 agosto è effettivamente qualche cosa la cui portata è ben giusto rimarcare, deve necessariamente suscitare dubbi, perplessità e dunque ispirare anzitutto delle riserve cautelative in un dibattito giuridico-politico che dovrebbe sempre avere a cuore la tutela della declinazione democratica delle nostre vite. E, ciò nonostante, la posizione così tranchant dell'Agamben-Cacciari pensiero non può non lasciare a sua volta interdetti e, forse, pure un po' sconsolati. Soprattutto dinanzi ad una retorica che, pur negando (o denegando?) esplicitamente di invitare a non vaccinarsi, finisce con l'interrogare la "scienza" in modo ai limiti del provocatorio recuperando argomenti, dati, nonché loro utilizzo ed interpretazione, che molto assomigliano alle modalità cognitive proprie dell'universo no-vax (su questo, tra i tanti, si leggano i contributi de Il Foglio o de Linkiesta).

Come spesso accade nella storia della filosofia, i due pensatori hanno comunque già prodotto almeno un fervido discepolo, vale a dire Diego Fusaro, cosa della quale non è dato sapere se i primi siano effettivamente felici. Sta di fatto che quest'ultimo nella sua prolifica produzione di contributi dedicati alla pandemia è divenuto un "citazionista seriale" proprio di Giorgio Agamben. Vale la pena allora riportare il contenuto di un recente post Facebook di Diego Fusaro che, forse sì irrigidendone la concettualità, ma certamente costituisce uno degli effetti possibili prodotti dall'Agamben-Cacciari pensiero:

«Anche i benedetti dal siero contagiano e si contagiano. - scrive Diego Fusaro a proposito del vaccino - Per questo, la tessera verde è di natura politica, non medica: serve a 1) discriminare chi non giuri fedeltà all’infame regime tecnosanitario e 2) a potenziare la nuova società della sorveglianza totale, con passaporti sanitari e identità digitale (sarà questo il futuro). Se non lo capite e pensate che siano "doverosi provvedimenti medici", siete in lockdown cognitivo».

Chiaro, puntuale ed esauriente, Diego Fusaro scrive quello che pensa e lo fa avanzando di un passo sempre oltre le affermazioni dei primi due, le quali assumono però così una nuova luce. Si leggano infatti adesso le dichiarazioni di Massimo Cacciari riportate quest'oggi su Open che ripercorrono un suo editoriale pubblicato da La Stampa:  

«Mi sono vaccinato, - dichiara Cacciari - pur ignorando danni eventuali a lunga scadenza e pur sapendo che potevo comunque ammalarmi o contagiare altri non vaccinati (poiché mi risulta che così possa avvenire, o la Scienza lo nega?)».

La "scienza" torna come un'ossessione nelle parole dei tre "accusatori" del green pass, sfidandone la pretesa assolutezza e sbeffeggiandola un poco perché alla fin fine, dinanzi a questo virus, pure lei coi suoi vaccini può quel che può, cioè non tutto, ma nemmeno niente. Ed è qui il vero problema. È strano a dirsi, ma proprio Giorgio Agamben che ha spesso pensato la "zona grigia" nelle cose della vita, pare aver inaugurato un'attitudine di pensiero dinanzi alla pandemia che pone chi lo voglia seguire sino in fondo tra il bianco ed il nero, il tutto o il niente, mentre quel che resta impensato rischiando di essere perduto è invece il "qualcosa". Sarebbe in effetti molto bello che i vaccini garantissero la copertura al 100%, ma purtroppo non è così, dunque che fare? Un atteggiamento possibile è certo lo scetticismo che si è variamente sin qui manifestato, un altro è invece quello di raccogliere l'appello recentemente lanciato dal fisico e scrittore italiano Paolo Giordano sul Corriere della Sera ad abbandonare il "pensiero binario" per provare a condividere un "minimo teorico" in materia di pandemia, vaccini e restrizioni. Scrive Giordano, ad esempio, su quanto sta avvenendo in Gran Bretagna a seguito della diffusione della variante Delta del virus Sars-CoV-2:

«Nel Regno Unito già si vedono le ospedalizzazioni in impennata. Perché accade? Perché i vaccini hanno un’efficacia straordinaria nel prevenire la malattia grave, ma non pari al 100%. E perché i vaccinati sono tanti, ma non saranno mai il 100%. Quelle percentuali residue, per quanto minime a guardarle su un foglio, possono diventare importanti e creare disagi quando la popolazione infetta cresce a dismisura. Se moltiplichi una percentuale piccola per un numero molto grande, il risultato che ottieni è comunque grande. Insomma, grazie ai vaccini va molto meno peggio di come andrebbe, circa dieci volte meno peggio, ma il peggio dipende in assoluto dalla quantità di nuovi contagi».

Paolo Giordano, con la pacatezza che gli compete e senza l'enfasi e l'entusiasmo che invece talvolta sorprende i filosofi, affronta anche quella che definisce la «diceria che i vaccini non proteggano dall’infezione», la quale, nota sempre il fisico e scrittore, sta ampiamente alimentado l'«esitazione vaccinale» tuttavia basandosi «su una falsità». Paolo Giordano la spiega così:

«Se non esiste ancora uno studio esteso su quanto sia l’abbattimento effettivo della trasmissione con la variante Delta, è per una mera questione di tempo. Lo studio arriverà, l’abbattimento esiste. Molto probabilmente verrà fuori che è attenuato rispetto al caso di Alfa, ma sarà comunque significativo. Immaginiamo un soggetto positivo a una festa, circondato da altre dieci persone, immaginiamo la scena dal punto di vista del virus. Se i dieci attorno non sono vaccinati, il virus avrà a disposizione dieci porte spalancate. Se sono vaccinati, si troverà davanti dieci feritoie. È ben diverso, soprattutto quando le persone diventano decine di milioni. Nel minimo teorico condiviso deve entrare la consapevolezza che sì, il vaccino protegge anche dall’infezione e inibisce anche la trasmissione del virus». 

Più in generale, la questione del «minimo teorico» avanzata da Paolo Giordano è interessante in quanto costituisce un invito esplicito ad abbandonare quello che il fisico italiano definisce «il ragionamento binario», da dentro o fuori, la logica del «funziona/non funziona», ovvero del «con i vaccini ci si ammala/non ci si ammala», oppure i «vaccini bloccano/non bloccano la trasmissione». I dati però che la tanto vituperata scienza prova a far valere dicono una cosa molto semplice quanto spiazzante e cioè che «non è vero che i vaccini impediscono la trasmissione del virus e non è vero che non la impediscono», bensì «la bloccano (come bloccano la malattia grave e i decessi) in una certa percentuale». È a questa percentuale, vale a dire non al "tutto" o al "niente" ma a questo qualcosa, che ciascun cittadino, la cui scelta sia eventualmente di vaccinarsi, decide dunque di affidarsi. Ecco perché Paolo Giordano ha gioco facile nel liquidare il preteso «paradosso» d'Israele cui fanno riferimento Cacciari ed Agamben come «una scarsa comprensione di cosa sia una probabilità condizionata e di come funzioni matematicamente», osservando in modo tanto banale quanto però condivisibile che «se in un futuro roseo e impossibile avessimo il 100% di vaccinati, il 100% dei nuovi contagi si avrebbe tra persone immunizzate con due dosi». 

Era il 26 febbraio 2020 quando Giorgio Agamben, verosimilmente richiamandosi nel titolo ad un'opera di Georges Didi-Huberman (L'invenzione dell'isteria), scriveva il suo primo contributo pandemico, ovvero appunto L'invenzione di un'epidemia. È a nostro avviso ancora qui che bisogna ritornare, oggi più che mai pure dinanzi alle certo giustificabili rimostranze contro il green pass. Agamben scriveva:

«Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia dovuta al virus corona, occorre partire dalle dichiarazioni del CNR, secondo le quali non solo "non c’è un'epidemia di SARS-CoV2 in Italia", ma comunque "l’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva"».

Il parere del 22 febbraio 2020 del CNR citato da Agamben, solo un mese dopo, ovvero il 26 marzo 2020, era completamente mutato facendo ora riferimento alla «grave emergenza sanitaria in corso». L'impressione complessiva, leggendo tutti i contributi del filosofo italiano, è invece che quest'ultimo sia rimasto fermo alla nota stampa del CNR datata febbraio 2020. Il che è inevitabile condizioni e comprometta anche la ricezione delle lucide e certo ficcanti sue analisi su democrazia, decretazione d'urgenza, stato di eccezione, macchina antropologica, governamentalità dei corpi e società del controllo. Nell'autunno del 2020 il canale televisvo Arte Italia ha pubblicato su Facebook una delle rare videointerviste che Giorgio Agamben abbia mai rilasciato, offerta in questo caso ad una tv tedesca. Nel filmato, dopo che Agamben aveva ricordato come una delle prime cose fatte da Hitler salendo al potere nel 1933 fosse di «dichiarare uno stato di eccezione», la voce di commento si chiedeva se il raffronto con il nazismo e la situazione pandemica in Italia effettivamente potesse reggere:

«Il governo italiano ha prolungato lo stato di emergenza fino ad ottobre. - annotava la voce di commento del servizio televisivo - Ma va proprio fatto il paragone con il nazismo? Dopotutto solo in Italia sono morte 35 mila persone sinora (era settembre del 2020, ndr), che fare altrimenti per fermare il virus?».

L'interrogativo emerso da questa intervista parrebbe valido ancora oggi, a distanza di quasi un anno, quale insomma l'alternativa? Gli esegeti dell'Agamben pensiero potranno forse rintracciare una pars construens nei suoi contributi dedicati alla pandemia, ma ad essere onesti la risposta che Agamben diede al tempo riascoltata oggi lascia quantomeno perplessi: 

«Non essendo virologo o medico, - rispose Giorgio Agamben all'intervistatrice - non posso esprimere alcun giudizio sul virus e la malattia. Però quello che rientra invece nelle mie competenze specifiche come filosofo ed epistemologo è valutare il modo in cui vengono forniti dal governo e dai media i dati concernenti l'epidemia».

Ecco, onestamente pare allora che nel corso dell'ultimo anno l'epistemologo si sia spinto un pochino oltre il suo ruolo, come quando nel recente contributo Cittadini di seconda classe Giorgio Agamben, a proposito del green pass, scrive quanto segue:

«Che si tratti di una discriminazione secondo le convinzioni personali e non di una certezza scientifica oggettiva è provato dal fatto che in ambito scientifico il dibattito è tuttora in corso sulla sicurezza e sull’efficacia dei vaccini, che, secondo il parere di medici e scienziati che non c’è ragione di ignorare, sono stati prodotti in fretta e senza un’adeguata sperimentazione».

Insomma, l'inghippo è un po' questo: l'epistemologo per sostenere le sue tesi non ha in realtà mai smesso di basarsi anche su dati scientifici, certo non promuovendo giudizi propri «sul virus e la malattia», ma spesso assumendo quelli di altri, talvolta in modo implicito talaltra in modo esplicito, a volte persino fraintendendoli (è il caso dei citato esempio inglese o di quello israeliano), in ogni caso selezionandoli accuratamente per dare sostegno alle proprie affermazioni. Tutto più o meno legittimo, naturalmente, ma non scevro da pericoli se poi si sferrano sentenziosi paragoni politici altisonanti, certamente di sicuro effetto mediatico, come il seguente:

«La "tessera verde" costituisce coloro che ne sono privi in portatori di una stella gialla virtuale».

Il non vaccinato discriminato come l'ebreo sotto il nazismo, la «discriminazione a norma di legge» per dirla con le parole ripetute senza sosta da Diego Fusaro. Agamben, dal canto suo, si chiede:

«Che cosa diventa un paese al cui interno viene creata una classe discriminata? Come si può accettare di convivere con dei cittadini di seconda classe?».

Ma non è tutto, perché alla fine è lo stesso detentore del green pass, tanto quanto chi non lo possiede e forse pure di più, ad esserne la vittima secondo Agamben:

«ll cittadino non tesserato sarà, paradossalmente, più libero di colui che ne è munito e a protestare e a ribellarsi dovrebbe essere proprio la massa dei tesserati, che d’ora in poi saranno censiti, sorvegliati e controllati in una misura che non ha precedenti anche nei regimi più totalitari» (Tessera verde, 19 luglio 2021). 

Vi è del "vero" in tutto questo? Certamente in parte anche sì, o perlomeno la non eludibile portata della questione sotto il profilo giuridico-politico è innegabile. Tuttavia non si possono non evidenziare alcune distinzioni essenziali, ad esempio il fatto che l'essere ebreo è una condizione data dalla nascita e non una scelta individuale come il sottoporsi alla vaccinazione anti Covid. Quest'ultima, più nel dettaglio, non è poi nemmeno l'unica modalità per ottenere il green pass: tralasciando i guariti, resta il tampone che, certo, dovrebbe però oggi essere quantomeno gratuito e non solo reso più economico. Ma il vero tema è un altro, vale a dire: che fare dinanzi alla pandemia? Perché, pur dando per assodato che lo strumento del green pass sia alquanto fastidioso e problematico, sinora le altre alternative sperimentate non lo erano di meno: il lockdown duro e puro e la gradazione cromatica delle restrizioni su base regionale con l'annessa chiusura delle attività economiche sono triste storia recente.

Oggi si è forse entrati nella fase della «coercizione gentile», come la definisce il già citato Paolo Giordano, e non è certo da escludere che si arrivi anche alla vaccinazione obbligatoria. Temi delicati è chiaro, ma gridare all'orrore ed abominio aiuta fino ad un certo punto. Chi come Agamben non ha lesinato ultimamente in lévinassiane escursioni attorno al volto dell'uomo, di cui la società Covid contemporanea starebbe perdendo la memoria a causa dell'imposizione dell'uso delle mascherine, dovrebbe anche aver il buon cuore di prestarsi ad un promettente vis-à-vis con chi della pandemia si porterà sempre appresso i segni indelebili della morte. L'impressione, purtroppo, è invece che nella potenza argomentativa del filosofo troppo spesso ci si concentri solo sugli effetti indiretti di Covid-19, vale a dire i rischi anti-democratici annessi alla gestione politica della crisi sanitaria, sacrificando però quelli diretti, ovvero i tanti morti e i malati che la pandemia continua a produrre. Il senso dell'espressione è certamente diverso, ma oggi più che continuare a denunciare l'invenzione di un'epidemia, si tratta invece, malgrado tutto, di provare a re-inventare, preservandole, le nostre già fragili democrazie poste dinanzi ad una sfida inedita ed epocale. Compito non facile e periglioso, a cui i filosofi, proprio per questo, dovrebbero forse cercare di non sottrarsi.

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