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Furti e rapine con la tecnica dell'abbraccio, bloccata organizzazione criminale

L'associazione aveva base nel Legnaghese e una struttura piramidale: chi era al vertice forniva supporto logistico, mentre la base era formata da cellule composte da due membri che sceglievano le anziane vittime, le confondevano e le derubavano

Nelle prime ore di oggi, 25 giugno, prima dell'alba, i carabinieri di Verona insieme ai colleghi di Cantù, Bologna, Rho, Milano, Seregno e Roma, hanno eseguito 23 ordinanze di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti aggravati e rapine. I destinatari sono tutti cittadini di soggetti di etnia rom, di età compresa tra i 20 e i 45 anni, pregiudicati, residenti in Romania e con diverse dimore nel Nord Italia. Altre 22 persone sono state denunciate per truffa, in quanto titolari di false società e ditte individuali create per svolgere il ruolo di prestanome. E 2 cittadini sono stati denunciati anche per ricettazione.
L'operazione rappresenta la sintesi di una complessa indagine chiamata «Abbraccio», nome che deriva dalla tecnica utilizzata dai malviventi per derubare o rapinare le anziane vittime. Un'indagine coordinata dal sostituto procuratore di Verona Maria Beatrice Zanotti, condotta dal nucleo operativo e radiomobile di Legnago e presentata questa mattina nel comando dei carabinieri di Verona dal comandante provinciale Pietro Carrozza (video), dal comandante del reparto operativo Fabrizio Cassatella e da Mauro Tenani come rappresentante dei carabinieri di Legnago.

L'attività dei militari è iniziata nell'ottobre 2019 e si è momentaneamente conclusa nel gennaio 2021 con il deferimento all'autorità giudiziaria dei 23 cittadini oggi arrestati. Oltre agli arresti, però, questa mattina sono stati eseguiti sequestri di materiale che potrebbe aiutare gli investigatori a ricostruire sempre meglio l'intera attività dell'associazione criminale sgominata. Un'associazione specializzata in furti e rapine con la tecnica dell'abbraccio e che aveva la principale base logistica nel Legnaghese.
Tra il 2019 e 2021, inoltre, sono state arrestate 3 persone legate all'associazione, due per rapine aggravate avvenute a Schio e Follonica e la terza per un furto in Germania.

Complessivamente, l'indagine ha permesso attribuire all'organizzazione criminale 40 casi di furti e 13 rapine subiti da anziani. L'associazione aveva una struttura piramidale con due anime. Ai vertici c'erano i membri che fornivano vari tipi di supporto, tra cui quello logistico. I reati, infatti, sono stati compiuti tra il Nord e il Centro Italia da esecutori che si potevano spostare molto rapidamente sul territorio perché potevano appoggiarsi in abitazioni e potevano usufruire di auto concesse dal gruppo criminale. Un gruppo che si autofinanziava con il ricavato dei reati e che aveva a disposizione almeno 12 case e 55 veicoli.
Il dettaglio delle auto è connesso anche all'altro reato scoperto da questa indagine, la truffa ai danni dello Stato, e permette di comprendere quanto fosse meticolosa questa organizzazione. I veicoli, infatti, erano intestati a società fittizie di autonoleggio per evitare che dai controlli si potesse risalire ad un membro della banda. Inoltre, una volta che il veicolo veniva controllato dalle forze dell'ordine, l'organizzazione lo faceva di fatto sparire attraverso dei passaggi di proprietà. Passaggi che avevano costi inferiori, essendo veicoli di società di autonoleggio. Società che però erano false e questo ha permesso ai carabinieri di incriminare i malfattori per truffa.
Al vertice del sodalizio criminale, c'erano dunque i membri che fornivano supporto, coprendo anche le spese legali di chi veniva arrestato e dando un riparo a chi finiva agli arresti domiciliari. Ed è stato questo il punto di partenza dell'intera operazione. I primi sospetti sono sorti ai carabinieri legnaghesi che hanno visto una presenza consistente di donne rom agli arresti domiciliari tra i territori di Cerea, Oppeano e Casaleone. Queste donne erano di fatto senza fissa dimora ed erano state arrestate in altre città del Nord Italia per furti o rapine con la tecnica dell'abbraccio. Tutte erano finite ai domiciliari in abitazioni che venivano affittate da un uomo, anche lui di etnia rom, che si è poi scoperto essere al vertice dell'organizzazione.
Queste donne rappresentavano la seconda anima dell'associazione criminale, l'anima operativa, quella formata da diverse cellule composte da due membri: un autista e una ladra. Queste cellule, giornalmente, si spostavano in varie città, raggiungendo luoghi abitualmente frequentati da anziani. Gli autisti rimanevano nelle auto per rendere più rapida la fuga, ma all'occorrenza erano pronti ad intervenire se le vittime opponevano resistenza. Le donne, invece, si camuffavano, cambiavano rapidamente abiti e acconciature e cercavano le vittime da derubare. Non prendevano portafogli o denaro, ma si concentravano sui gioielli (anelli, braccialetti o collanine di metalli preziosi) o sugli orologi di valore. Una volta avvistato l'uomo da derubare, la donna lo fermava e cominciava a parlargli, lo toccava e alla fine per salutarlo lo abbracciava, portandogli via i monili e l'orologio. Dopo aver commesso il reato, l'autrice risaliva sull’autovettura per scappare insieme al complice e per modificare il suo aspetto in modo da rendersi subito irriconoscibile.

L'indagine è stata complicata soprattutto da due fattori. Il primo è l'impermeabilità dell'associazione criminale. I membri del gruppo sono tutti rom che praticamente non avevano alcun contatto esterno alla loro comunità. Comunicavano nella loro lingua e anche per rivendere i preziosi non si rivolgevano mai ad attività di tipo Compro Oro. Tutto rimaneva all'interno della comunità rom, oppure finiva all'estero.
E il secondo fattore che ha reso più difficile il lavoro dei carabinieri è la tipologia di reato. Furti o rapine di questo tipo hanno un impatto psicologico devastante per le vittime, che a volte per vergogna neanche presentano denuncia. Inoltre, il valore degli oggetti rubati è più affettivo che materiale. Questo è emerso in uno dei casi di rapina accertati, dove la vittima si è messa a piangere per paura di perdere una catenina a cui era molto legata. Di fronte a questa reazione, la rapinatrice si è fermata, ma a quel punto è intervenuto l'autista, che con forza ha strappato il monile all'uomo ed è scappato con la complice. Un episodio che mostra anche l'efferatezza di questa banda, che non tradiva scrupoli per le vittime.

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