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Martedì, 19 Marzo 2024
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Quando si uccideva il maiale: la storia di un rito antico

Nelle campagne tutte le famiglie per sopravvivere dovevano sacrificare "il mascio", forse qualcuno se lo ricorda

L'uccisione del maiale è un vero e proprio rito che si perde nella notte dei tempi. Un uso cruento per alcuni mentre per altri "la più nobile fra le tradizioni della vita contadina". Una festa alla quale partecipa tutta la famiglia, parenti, compari, vicini di casa . Un sacrificio sanguinoso, comunque inevitabile, perché da esso dipendeva un anno di cibo per la famiglia.

Dicembre e gennaio, nella tradizione veneta, sono mesi dedicati alla macellazione del maiale, un rito che trova il suo apice il 17 gennaio in occasione della festa di Sant'Antonio Abate. Questo santo, noto come S. Antonio "del porcello" per essere spesso raffigurato con un maiale ai piedi, simboleggia la conclusione di questo periodo. Tradizionalmente, il "massin" era la figura incaricata dell'uccisione dell'animale, un compito di solito affidato a un esperto esterno alla famiglia, mentre la salamatura era compito degli uomini di casa, assistiti da parenti e amici, si producevano cotechini, salcicce, salami, coppa, prosciutti, capocolli e guanciali.

Nella civiltà veneta il maiale è stato considerato una risorsa alimentare importantissima, era la dispensa per l'inverno! Sino al '900 era un privilegio di pochi, la carne di maiale era destinato ai ricchi, mentre i contadini dovevano accontentarsi dei fagioli , la cosiddetta “carne dei poveri”. Man mano che il tempo passò le abitudini cambiarono, ma per tanto tempo l'allevamento del maiale in corte era d'obbligo.

Aver "el mascio ” era una sicurezza ed una garanzia di autosufficienza alimentare, una tradizione volta alla sopravvivenza, il maiale è stato per secoli una garanzia di grasso e proteine ​​per la stagione fredda. Difatti, fino a pochi decenni fa, la dieta delle famiglie contadine era ricorre principalmente vegetariana, e non per scelta. La carne era consumata esclusivamente durante lenze giorni di festa, e non sempre.
Alla sua cura e crescita si dedicavano tutti i membri della famiglia, bambini e le donne erano incaricati di nutrirlo, con avanzi agricoli ed alimentari della corte.

Il maiale veniva sacrificato spesso in prossimità delle feste natalizie e a gennaio, nelle case contadine si faceva salami, pancette, prosciutti e il lardo che doveva durare un anno. Le braciole venivano disossate e immerse nello strutto entro recipienti di legno per essere consumate durante l'inverno.
Gli ossi messi dentro cassette di legno, disposti a strati alternati al sale, che ha la proprietà di conservante, si usavano per fare il brodo un mese.

Del maiale non si butta niente

In tempi di miseria e fame il maiale spesso era l'unica fonte di proteine ​​( a parte i legumi), delle famiglie. Del maiale si usava tutto persino il sangue (sanguinaccio), le budella (per gli insaccati), lo stomaco (trippe), le orecchie ei piedi, insomma veramente tutto, anche le setole per fare pennelli. Gli ossi, inoltre, sono stati macinati e sciolti per confezionare il sapone.

Con i prodotti del maiale si riempivano le vuote dispense, visto che altre carni più pregiate, come quella dei vitelli, erano destinati alla vendita e non al consumo diretto. 

Questo è il periodo in cui il maiale è stato ucciso per ricavarne ogni ben di Dio, un rito con un senso di sacro.
Quando il ricavato della lavorazione era lì, sul tavolo, in bella mostra, pronto per essere messo a stagionare, per la famiglia era una festa. Era un giorno quello triste in cui si sacrificava il maiale, ma anche felice per l'abbondanza di carne, sembrano storie lontanissime, ma i nostri nonni hanno vissuto i tempi di povertà.

"El pion de clintòn" per dissetare i lavoranti, le "cicioe" nella stufa, e alla fine della giornata tutti a tavola a cenare a base di pasta con tastasale, braciole, costine, "fasioi" e tanto altro, il tutto anaffiato da tanto vino.

Si cercava di macellare in luna calante, in giornata fredda e asciutta, tra novembre e febbraio, spesso facendo coincidere l’evento con il periodo di Natale o di Sant’Antonio, evitando però la macellazione il 17 gennaio.

All’interno del ciclo annuale del lavoro contadino la macellazione del maiale rappresentava un evento complesso, che richiedeva la presenza di specialisti, spesso itineranti. In loro assenza la qualità e la conservabilità dei prodotti lasciavano spesso a desiderare.

L’operazione richiedeva quindi elementi di competenza specialistica, tramandata di padre in figlio, e di impegno corale. In queste giornate ci si faceva aiutare da parenti e amici come per la vendemmia e la sera tutti gli “aiutanti” se ne tornavano a casa con alcuni prodotti della giornata; c’erano sempre una salsiccia e un salame e, a volte, anche qualche pezzo di carne e di frattaglie. Un periodo di inconsueta abbondanza di carne fresca, grassi e proteine animali. I prodotti più nobili (salami da consumare crudi, coppe, pancette, prosciutti) e il prezioso lardo, che avrebbe rappresentato il condimento principale, erano destinati a durare per tutto un anno.

La macellazione del maiale era una “festa del sacrificio” perché la morte del maiale, di cui nulla sarebbe stato sprecato, era realmente una condizione per assicurare la vita della famiglia.

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