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La nuova ordinanza, Tosi: «Bizzarra. Rischio contagio viene dall'esterno e dai migranti»

Contrario al provvedimento del ministro della Salute Roberto Speranza anche Flavio Tosi: «Ordinanza scritta male e difficilmente applicabile. La minaccia è esterna e non interna»

La nuova ordinanza in vigore da ieri, lunedì 17 agosto, firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza un merito parrebbe averlo: esser riuscita a mettere d'accordo per una volta l'ex sindaco di Verona Flavio Tosi e il suo successore in carica Federico Sboarina. Entrambi paiono infatti in questa circostanza pensarla alla stesso modo: «Non brilla per chiarezza», ha detto ieri Sboarina riferendosi al provvedimento di Speranza, «bizzarra e fuori luogo» l'ha invece definita sempre nelle scorse ore Flavio Tosi. Ma non solo, Sboarina e Tosi, insieme all'assessore Polato e finanche il governnaore Zaia, sono tutti inclini a ritenere che oggi la situazione della pandemia da coronavirus debba essere fronteggiata intervenendo sul tema "sbarchi dei migranti": Sboarina aveva chiarito il suo pensiero tempo addietro e ieri è ritornato sull'argomento sostenendo via social che «il governo deve essere altrettanto determinato verso chi vuole entrare nel nostro Paese in maniera clandestina», mentre qualche ora prima l'Ass. alla Sicurezza del Comune di Verona Daniele Polato in un lungo post Facebook spiegava che in nome della tutela della salute pubblica «si dovrebbero chiudere anche i porti». Ora, anche Flavio Tosi non esita ad individuare il «rischio contagio» nel fenomeno degli «sbarchi dei migranti». Tutti insieme poi sono assolutamente concordi nel dare talmente per scontate le loro affermazioni che nessuno di loro si preoccupa di dimostrare in alcun modo la presunta correlazione tra "sbarchi" e "diffusione del contagio", e così come al solito tale supposta relazione causale è data per acquisita senza produrre dati, numeri, studi epidemiologici di sorta che, eventualmente, ne dimostrino la validità.

Procediamo però con ordine e vediamo più da vicino cosa pensa Flavio Tosi dell'ultima ordinanza del ministro della Salute: «Stretta alla movida. La nuova ordinanza del Governo è scritta male (e dunque difficilmente applicabile), bizzarra e fuori luogo. Mi riferisco all'obbligo di mascherina all'aperto nei pressi dei locali dalle 18 alle 6 del mattino». Così si esprime l'ex sindaco ed attuale consigliere a palazzo Barbieri Flavio Tosi che, anche in questa circostanza, mostra evidentemente una delle sue principali doti politiche, il pragmatismo, analizzando nel dettaglio alcune problematiche che, indiscutibilmente, il provvedimento del ministro Speranza si porta dietro: «Come si stabilisce la vicinanza a un locale? - chiede polemicamente Flavio Tosi - Da dove inizia un assembramento e quindi quando e dove scatta l'obbligo? La bizzarria poi sta negli orari: se io esercente organizzo un happy hour alle 17 va bene e alle 18 no? Ma soprattutto le misure decise dal Ministro Speranza e dal Governo Conte non sono giustificate dalla situazione sanitaria interna al Paese».

Le "svirgolate" del Tosi-pensiero, tuttavia, a nostro modesto avviso, iniziano però nell'ultimo periodo della sua nota polemica affidata ai social: «Oggi il rischio contagio è portato da chi rientra dall'estero (o per vacanza o per lavoro) e dagli sbarchi dei migranti. Tradotto: la minaccia è esterna e non interna. Perché quindi colpire le attività? - chiede retoricamente Flavio Tosi - Perché cercare gli ennesimi capri espiatori (questa volta i giovani e gli esercenti)? Credo servirebbe meno demagogia e provvedimenti più logici e mirati. Ma il Governo, dall'inizio della crisi sanitaria, sta alimentando la confusione, la propaganda e finanche la paura».

Ora, pur concordando ampiamente con il consigliere Tosi circa il fatto che sia sbagliatissima l'eventuale ricerca di "capri espiatori", giovani vacanzieri o adulti lavoratori giramondo, o ancora esercenti nel settore dell'entertainment che siano, riteniamo però altrettanto necessario evitare che lo "stigma sociale" in relazione al virus colpisca anche parimenti i "migranti" che, invece, forse perché difficilmente trovano voce in capitolo, vengono spesso tirati in ballo con faciloneria e superficialità. A ben guardare anche la stessa espressione, usata da Tosi, «la minaccia è esterna e non interna» ci appare piuttosto infelice: che vuol dire esattamente? Si devono quindi temere anche i turisti stranieri che invece si invocano giustamente per far ripartire l'economia interna dell'Italia?

Se un cittadino italiano e residente in Veneto decide di andare in vacanza in Croazia e poi rientrando scopre di aver contratto il virus e contagiato altre persone, ha davvero senso parlare di «minaccia esterna»? Dopotutto quella persona era interna al Paese e, se non ha infranto leggi, ha adempiuto ad un semplice diritto riconosciutole, cioè quello di muoversi, anche all'esterno. Il rischio di un ragionameno teso a proiettare esclusivamente all'esterno il pericolo e le paure connesse al virus, oltre all'effetto di deresponsabilizzazione interna che potrebbe produrre, è che spostandone il baricentro si potrebbe persino arrivare a giustificare fobiche parcellizzazioni interne ad uno stesso territorio nazionale, quale appunto quello dell'Italia: oggi un cittadino del Veneto dove a ieri vi erano 1.634 "casi attualmente positivi" potrebbe essere da qualcuno indicato come una «minaccia» che viene dall'«esterno» per un cittadino del Molise che, sempre ieri, in tutto il territorio regionale contava soltanto 35 "casi attualmente positivi" (dati della Protezione civile). Fortunatamente la scienza ragiona in modo diverso e ci dice che, allo stato attuale, la vera cosa importante non è identificare chi porti o da dove venga la minaccia, ma che come tale essa esiste e, tuttavia, sia sufficiente lavarsi le mani frequentemente, indossare le mascherine in certi ambiti e rispettare un minimo di distanziameno sociale per contrastarla, sempre e dovunque.

Il fatto, allora, è piuttosto che la «minaccia», e cioè il virus, non guarda in faccia nessuno, non è esterna più di quanto non sia interna al nostro Paese, poiché la minaccia semplicemente circola dappertutto e proprio per questo ciascuno di noi all'interno del proprio Paese o durante un viaggio è responsabile delle proprie condotte, delle proprie scelte e delle proprie avventatezze. I dati della diffusione del virus, quelli sì sono interni ed esterni e variano da luogo a luogo, ma appunto non solo tra Stati differenti, bensì persino tra regioni italiane e ancora di provincia in provincia. Il tema è allora quello di evitare d'usare il paradigma politico e la logica "comunitaria-immunitaria" della minaccia esterna per proteggere la popolazione interna, poiché il rischio è che, estremizzando il ragionamento, si arrivi ad una diffidenza diffusa capillarmente persino sull'intero territorio nazionale. Resta ovviamente il tema della differente distribuzione ed insorgenza dei focolai, oggi più vivi in altri Stati rispetto all'Italia e proprio per questo esistono le norme che impongono tamponi obbligatori per chi rientra dalla Grecia, Spagna, Malta e Croazia, così come la quarantena per chi viaggia o proviene da e verso altri Stati del mondo.

A maggior ragione appare ancora meno sensato chiamare in causa i migranti che, secondo le dichiarazioni del presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli risultano positivi soltanto per il 3-5% al loro arrivo in Italia ed hanno quindi un «contributo minimale» nella diffusione del contagio. Questo ovviamente non significa che le cose non potrebbero mutare in futuro, o che non sia giusto eseguire controlli e fare i tamponi a chi sbarca in Italia. Ma affermare che oggi il «rischio contagio è portato dagli sbarchi dei migranti» significa semplicemente, allo stato attuale delle cose, dire una cosa senza fondamento. Gli sbarchi possono piacere o non piacere, ma dal punto di vista epidemiologico non costituiscono un problema maggiore rispetto alla scelta di chi scrive di andare in vacanza o in viaggio di lavoro in un luogo o in un altro.

Altro tema, in relazione sempre ai migranti, sono invece le condizioni di vita nei centri di accoglienza: come tutte le realtà di condivisione di spazi tra molte persone, e questo vale appunto anche per le case di riposo per anziani, è evidente che laddove il virus s'introduca una volta è molto facile si diffonda con grande rapidità. Ma ciò vale pure per le scuole o gli ambienti di lavoro, alcuni più di altri, dove non a caso i dati dei contagi sono spesso alti. Qual è il "paziente zero" del cluster di Treviso? Chi ha contagiato chi? La minaccia è esterna perché il focolaio è in un centro d'accoglienza per stranieri, o piuttosto è interna perché comunque avvenuta in territorio nazionale? Dopotutto, chi può garantire che i migranti accolti a Treviso non siano stati contagiati da cittadini italiani, magari su un bus mentre uno di loro usciva legittimamente dal Cas di Treviso per recarsi a lavorare. In ipotesi, un migrante potrebbe giungere a considerare, in relazione al virus, noi cittadini italiani come una minaccia esterna alla sua comunità, assurdo non è vero?

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