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Martedì, 23 Aprile 2024
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Mozione antiaborto e "voto disgiunto" nel PD veronese, ancora polemiche

I contenuti della mozione approvata dal consiglio comunale e il voto della capogruppo Carla Padovani diverso da quello degli altri consiglieri democratici fanno ancora discutere

Ha attirato l'attenzione di tutti l'approvazione da parte del consiglio comunale di Verona della mozione volta a "sostenere iniziative di prevenzione all'aborto". E due sono stati i punti su cui si sono centrate le critiche: il primo punto è sul contenuto della mozione e il secondo è il "voto disgiunto" all'interno del gruppo consigliare del Partito Democratico, con la capogruppo Carla Padovani che ha votato a favore della mozione e gli altri consiglieri che invece hanno votato contro.

Il sindaco di Verona Federico Sboarina ha difeso la mozione da lui stesso sottoscritta. Il provvedimento, secondo Sboarina, rispetta la legge 194 (la legge che ha legalizzato l'aborto in Italia) e quindi le critiche sono sono strumentalizzazioni di chi è in malafede. Le parole del primo cittadino non hanno però fermato il flusso di commenti contrari a quella che è stata definita "mozione antiaborto". Il Movimento 5 Stelle ha ribadito la propria contrarietà "a qualsiasi tentativo di riportare l'Italia, ed il Veneto in particolare, ad un passato indegno di essere definito civile". Luca Fantò, segretario regionale del Partito Socialista Italiano del Veneto, sottolinea che la mozione approvata dal consiglio comunale di Verona "sostiene l'inefficacia della legge 194, mentre con l'applicazione di questa legge la mortalità per aborto è drasticamente diminuita ed drasticamente diminuito è il numero degli aborti". E Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali insiste: "Il consiglio comunale di Verona non è stato in grado di approvare una mozione di condanna per l'aggressione subita da una coppia gay. Dalla legge 194 non si può tornare indietro. L'interruzione volontaria di gravidanza è un diritto che va garantito sempre. Così come sempre va garantita l'autodeterminazione delle donne, il cui corpo e la cui libertà non possono diventare merce di scambio per i voti di qualche associazione".

Contro la mozione si è schierata anche la Cgil e il parlamentari veronesi del PD. Appunto, il PD, il secondo centro focale di tutta questa vicenda. Il voto contrario di Carla Padovani è stata la breccia da cui sono passati tutti gli attacchi al partito, anche da Forza Nuova che ha addirittura tesserato ad honorem la consigliera democratica. Di Carla Padovani sono state chieste le dimissioni da capogruppo, perché i consiglieri non si sentono più rappresentati da lei. Un'altra mossa criticata dagli avversari politici del PD, come i tosiani, che plaudono alla coerenza della consigliera Padovani. In realtà anche all'interno del PD ci sono voci che non vorrebbero un'uscita dal partito di Carla Padovani. Il parlamentare Vincenzo D'Arienzo ha infatti spiegato: "Nel PD trovano casa anche idee diverse. Sui temi etici c'è una pluralità di convincimenti, a volte antitetici, ed il fatto che arricchiscono la nostra riflessione è positivo. Detto questo, è ovviamente conseguente che chi ha responsabilità di guida ha il dovere del confronto e della mediazione, a maggior ragione di fronte a condizioni del genere. Quindi, non devono essere giudicate le convinzioni della capogruppo PD, ma va valutato il fatto che è venuta meno al suo principale dovere di mediazione che avrebbe dovuto gestire nel gruppo con intelligenza e con le tecniche classiche della politica che offre tante soluzioni. Non averlo fatto ha danneggiato gravemente l'immagine del partito in maniera tale che non ci sono alternative alle sue dimissioni da capogruppo. Non vanno giudicate le idee sui temi etici, ma i comportamenti politici che sono sempre umani, come gli errori". Mentre il consigliere comunale democratico Federico Benini parla di "punto basso della parabola discendente del PD veronese", ma non per colpa della consigliera Padovani.

Pur ritenendo la consigliera Padovani incompatibile con un ruolo di coordinamento spero decida di restare nel PD perché restiamo un partito plurale - ha detto Benini - La discesa parte da molto prima, ad esempio dall'ubriacatura renziana che ha portato a rompere un ponte dopo l'altro a sinistra per un progetto personalistico già terminato; una campagna elettorale fiacca e povera di idee e contenuti che ci ha fatto arrivare terzi; un congresso che vedeva nascere una nuova maggioranza congelato da oltre un anno; una linea politica fatta di temporeggiamento su ogni tema che solo per miracolo non ha ancora portato alla rivolta dei nostri elettori. Per ripartire, il PD deve mettere in campo tutte le sue risorse senza più veti. Dalla riscoperta della bellezza dei quartieri deve ripartire l'azione di un PD consapevole della sua missione.

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