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La Lega Nord sul referendum del 17 aprile: "Votate si e bloccate le trivellazioni"

La sezione scaligera del Carroccio ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha spiegato le proprie motivazioni per votare a favore del "No" alle trivelle

La Lega Nord ha invitato i suoi militanti, simpatizzanti e tutti gli elettori in generale, a Votare Si al referendum del 17 aprile, con una conferenza stampa che si è tenuta nella mattinata di lunedì. A questa vi hanno partecipato il Presidente del Consiglio Comunale Luca Zanotto, il Segretario cittadino Lega Nord Verona, senatore Paolo Tosato e il Segretario Provinciale Lega Nord scaligera Paolo Paternoster con Enrico Corsi, i quali hanno spiegato le proprie motivazioni per cui i cittadini italiani dovrebbero votare contro le trivellazioni petrolifere. Ecco la loro nota. 

Del problema causato dalle trivelle in mare, molte colpe le ha il governo Renzi: con il decreto Sblocca Italia il governo ha dichiarato “strategiche” le trivellazioni, esautorando di fatto Regioni ed Enti Locali da ogni decisione. Nel tentativo di boicottare il referendum, il governo ha negato il suo accorpamento con il voto delle Amministrative, causando un esborso di oltre 360 milioni di euro.
“Referendum Trivelle – difendi il tuo mare” è stato proposto da un comitato promotore proposto da 9 regioni: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise.
 Si tratta di un Referendum abrogativo, uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione offre ai cittadini per chiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello Stato. Si vota nella sola giornata di domenica 17 aprile, in tutta Italia. Per fermare le trivelle in mare è necessario votare Si. Inoltre, perché il referendum vada a buon fine è necessario che voti almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “Sì”.

Il testo del quesito è il seguente:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016), limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?
Con il referendum del 17 aprile si chiede agli elettori di fermare definitivamente le trivelle in mare in modo da tutelare definitivamente le acque territoriali italiane. Nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa.  “Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo –spiegano gli esponenti della Lega Nord veronese - le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni. Ad oggi vi sono 63 concessioni ministeriali per ricerche in mare”.

“E’ importante andare a votare – spiega Luca Zanotto – in quanto seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o il Governo non potrebbero modificare il risultato ottenuto. La cancellazione della norma che al momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente operativa. L’obiettivo del referendum – aggiunge Zanotto - è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia marine sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria”. Qualora non si raggiungesse il quorum previsto il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche prevedere che si torni a cercare ed estrarre gas e petrolio ovunque. Sulla questione dei posti di lavoro Paolo Paternoster precisa che “non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un esito positivo del referendum Trivelle non farebbe, infatti, cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso. Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli elettori sono chiamati alle urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). Proprio per questo ogni società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione. Oggi non è più così: se una società petrolifera ha ottenuto una concessione nel 1996 può, in virtù di quella norma, estrarre fino a quando lo desideri. Se, invece, al referendum vincerà il “Sì” – conclude Paternoster - la società petrolifera che ha ottenuto una concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni ancora e basta, e cioè fino al 2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per sempre”

Anche i nostri dirimpettai stanno rinunciando alle estrazioni e alle trivelle. Il Primo Ministro Croato Tihomir Oreskovic ha annunciato di recente – spiega Paolo Tosato - una moratoria delle perforazioni.
 I NoTriv pugliesi hanno chiesto al governo montenegrino, oltre a quello italiano, di bloccare ogni attività di ricerca per evidenti rischi ambientali e per il pericolo di intercettare ordigni inesplosi risalenti alla 2° guerra mondiale e a quella del Kosovo. I mari italiani - ricorda Tosato - sono mari “chiusi” e un incidente anche di piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo. Un eventuale incidente nei pozzi petroliferi offshore e o durante il trasporto di petrolio, sarebbe fonte di danni incalcolabili. Per non parlare degli effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, sulla qualità della vita e le gravi ripercussioni sull’economia turistica e della pesca”.

L’aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Gli idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in concessione a società private, per lo più straniere, la possibilità di sfruttare i giacimenti esistenti. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come meglio credano: portarlo via o magari rivendercelo. Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto. Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a Royalty.
Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo.
Nell’ultimo anno dalle Royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.

Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane.

La ricchezza dell’Italia è, in verità, un’altra: per esempio il turismo, che contribuisce ogni anno circa al 10% del PIL nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di circa 160 miliardi di euro; la pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce circa il 2,5% del PIL e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1 milione e 400.000 persone, con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro; il comparto agroalimentare, che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000 persone con un fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto l’esportazione di prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro; e soprattutto la piccola e media impresa, che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie “industrie” (e, cioè, il 99,8% del totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero motore dell’intero sistema economico nazionale: tali imprese assorbono l’81,7% del totale dei lavoratori del nostro Paese, generano il 58,5% del valore delle esportazioni e contribuiscono al 70,8% del PIL. Il solo comparto manifatturiero, che conta circa 530.000 aziende, occupa circa 4,8 milioni di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente al 13% del PIL nazionale, e contribuisce al totale delle esportazioni del Made in Italy nella misura del 53,6%.

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