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Virus, Dpcm e lockdown: c’è un passaggio nel video del sindaco di Brescia che ci riguarda

Chi vince festeggia, chi perde spiega: oggi le feste sono vietate in Italia, dunque la partita col virus Sars-CoV-2 non è vinta, ma allo stesso tempo manca qualcuno che dia le spiegazioni

Emilio Del Bono è l’attuale sindaco di Brescia, al suo secondo e dunque ultimo mandato, oggi come nei mesi scorsi impegnato tra le altre cose a fronteggiare, al pari di tanti altri suoi colleghi, la pandemia da coronavirus Sars-CoV-2. In seguito all’entrata in vigore del Dpcm firmato dal premier Giuseppe Conte il 24 ottobre e che impone diverse restrizioni a imprenditori e gestori di attività, il sindaco di Brescia ha diffuso una breve riflessione e comunicazione ai cittadini attraverso un video. Del Bono nel filmato ha un viso affaticato, teso ma non rassegnato, lui stesso parla delle difficoltà del momento e in particolare anche di quella dell’essere sindaci in questa fase: «Sono giorni molto difficili questi nei quali tutti noi ci sentiamo disorientati - spiega nel suo video Del Bono - e c’è una grande sofferenza da parte delle famiglie e dei ragazzi, dei lavoratori del mondo dello spettacolo, del mondo sportivo e delle tante realtà commerciali colpite dai provvedimenti. Non è facile per noi amministratori locali lavorare in questi giorni e in queste condizioni, perché noi siamo i più prossimi, sentiamo gli umori, sentiamo le emozioni e le paure, sentiamo anche gli effetti negativi di questi provvedimenti, ma - aggiunge sempre il sindaco di Brescia - sentiamo anche le sirene delle ambulanze».

C’è qui una prima considerazione da fare, anche se il passaggio decisivo del discorso di Emilio Del Bono arriverà subito dopo e ci torneremo a breve. Un sindaco oggi, di una qualunque città, o anche di un piccolo Comune, così come di qualunque colore politico egli sia, si trova in una situazione molto scomoda. I provvedimenti amministrativi decisi dal governo nazionale possono solo essere recepiti e fatti applicare, volenti o nolenti, ma dall’altro lato gli effetti sulle persone di questi provvedimenti "bruciano" direttamente non su chi li ha firmati, bensì proprio sugli amministratori locali. I sindaci devono oggi far applicare le norme, ma al contempo devono anche far fronte a proteste, lamentele, rimostranze, paure, senso di disperazione e impotenza che i cittadini, i loro concittadini, inevitabilmente stanno manifestando in questi giorni difficili. Oltre a ciò restano le «sirene delle ambulanze», vale a dire la tutela della "salute pubblica" che, ancora una volta, per legge compete anzitutto proprio ai sindaci. Il problema, dunque, è che oggi non si è di fronte ad un’alternativa possibile, ma all’affermazione di due istanze che nei fatti si contrastano pur essendo in entrambi i casi legittime e vere: c’è il tema della tutela della salute delle persone dinanzi ad una pandemia in atto da un lato e, dall’altro, quello non meno stringente della salvaguardia dell’economia reale. Ribadiamolo, entrambe queste istanze sono vere e legittime, non ce n’è una falsa, per questo oggi è necessario trovare una via mediana che passi per la salvaguardia dell’una come dell’altra istanza: compito difficilissimo.

Il sindaco Del Bono nel suo video ha poi però aggiunto una riflessione che riteniamo riguardi da vicino qualunque cittadino italiano si riconosca oggi nei principi fondanti della nostra democrazia. È un tema essenziale che coinvolge tutti dinanzi alla pandemia, ma anche di fronte alle decisioni amministrative che vengono prese e finiscono, come ben si sta scoprendo in queste ore, con l’avere conseguenze pesantissime per i cittadini: «Abbiamo esigenze di chiarezza, - ha detto ancora il sindaco di Brescia Emilio Del Bono - verso la Regione e verso il governo nazionale, perché si fissino dei criteri, che possono essere legati all’Rt, o alla percentuale di saturazione delle terapie intensive e dei posti letto, e che fanno scattare determinati provvedimenti dal livello nazionale a quello regionale, fino a quello dei territori. Per rendere più comprensibile a tutti noi qual è il grado di preoccupazione, qual è il grado di tensione che il nostro Sistema sanitario sta avendo, qual è il grado di rischio di non essere curati, sia per i malati Covid ma anche per tutte le altre patologie. Questo è il tema di fondo, lo porremo a livello regionale e nazionale».

Il video Facebook del sindaco di Brescia Emilio Del Bono

Il sindaco di Brescia parla della necessità di fissare dei «criteri», dall’indice Rt al livello di saturazione dei posti letto e delle terapie intensive negli ospedali, in base ai quali scattino i «provvedimenti» a vari livelli, da quello nazionale fino a quello locale. La situazione oggi è che a livello nazionale, ovunque, bar e ristoranti possono stare aperti dalle ore 5 alle 18 e poi fare solo servizio d’asporto, le palestre, piscine, teatri e cinema si sono ritrovati chiusi, il tutto perché il presidente del Consiglio con una diretta Facebook ha annunciato la firma di un Dpcm facendo riferimento ad una generica diffusione del virus Sars-CoV-2 «in tutto il Paese». Ora, ciascun cittadino merita forse qualche spiegazione in più, poiché è innegabile che il coronavirus si sia diffuso dappertutto in Italia, ma di certo non nell’identico modo a Milano o a Zevio e, ancora, il livello di resistenza del Sistema sanitario nazionale non è lo stesso in Veneto o in Campania.

La domanda che sorge spontanea oggi, cioè dopo un primo lockdown e una prevedibile "seconda ondata" che si sta verificando, è molto semplice: hanno ancora senso misure drastiche come le "chiusure" generalizzate per settori sull’intero territorio nazionale senza tenere in considerazione le differenze specifiche a livello regionale, provinciale o, persino, comunale? Ci sono delle buone ragioni per dubitarne, se è vero come è vero che alla fine del lockdown iniziato a marzo scorso fu lo stesso governo ad illustrare un sistema di monitoraggio della situazione epidemiologica nelle varie Regioni del Paese che, come disse al tempo il premier Conte, in caso di accensione di campanelli d’allarme avrebbe consentito di «chiudere i rubinetti», cioè bloccare la transizione verso la "Fase 2" con le varie riaperture e ripristinare invece delle «chiusure chirurgiche» che avrebbero portato determinate zone, città o Regioni, indietro alla "Fase 1".

L'intervento della dott.ssa Francesca Russo nella sede della Protezione civile a Marghera - 22 maggio 2020

Che fine ha fatto oggi questo ragionamento? I campanelli d’allarme, se ci sono stati, perché non sono stati ascoltati? E, ancora, perché non si è proceduto a chiudere in modo localizzato in quelle zone, città o Regioni (evidentemente non si tratta del Veneto ad oggi), dove il monitoraggio avrebbe dovuto segnalare per tempo l’insorgenza di criticità in atto? Per chi volesse approfondire e trovare delle conferme in merito, è sufficiente andarsi a riascoltare o leggere le spiegazioni sulla strategia di monitoraggio dell’andamento dell’epidemia voluta da governo e ministero della Salute che la Dott.ssa Francesca Russo, il 22 maggio scorso, rese pubblicamente a Marghera, nella sede della Protezione civile, durante la tradizionale conferenza stampa del governatore del Veneto Luca Zaia. Al tempo si parlò appunto, esattamente come oggi fa il sindaco di Brescia, di criteri quali "Rt" (Erre con t), ma anche di "numero di focolai", oltre che della somma dei singoli casi positivi riscontrati.

La stessa Dott.ssa Russo spiegò al tempo che, citiamo alla lettera, «l'aumento dei focolai da una settimana all'altra, superati i 14 giorni, potrebbe portare la Regione o una parte della Regione, dalla "Fase 2" alla "Fase 1"». La domanda che, ribadiamolo, riguarda oggi probabilmente molto meno il Veneto che non altre zone d'Italia, è per qual motivo non sia successo, perché cioè si è arrivati ora a prendere nuovamente decisioni drastiche su scala nazionale senza essere passati da chiusure localizzate. Quali sono i criteri che si stanno adoperando oggi per giustificare i provvedimenti amministrativi che il governo decide di applicare e cambiare con una certa spaesante frequenza? Un governo, e un premier, che oggi continuino a non spiegare alcunché al riguardo, o comunque troppo poco, rischiano seriamente di incrinare sempre di più quello che il presidente dell’Anci De Caro ha definito il "patto tra Stato e cittadini".

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