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Lavoro in agricoltura: livello di occupazione costante, ma restano situazioni a rischio irregolarità

È quanto emerge dal report “Il lavoro in agricoltura: tra resilienza e cambiamento”, disponibile nella sezione del portale di ClicLavoro Veneto riservata agli studi e alle ricerche sul mondo del lavoro

Il settore agricolo ha vissuto negli ultimi anni in Veneto una costante crescita del numero di occupati, posizioni lavorative e ore lavorate, che solo nell’ultimo anno di pandemia, a causa del rallentamento dell’attività produttiva in alcuni ambiti, ha registrato una parziale frenata.
È quanto emerge dal report “Il lavoro in agricoltura: tra resilienza e cambiamento”, disponibile nella sezione del portale di ClicLavoro Veneto riservata agli studi e alle ricerche sul mondo del lavoro.

Il numero degli occupati è passato dai 65 mila del 2010 ai 73 mila del 2020, con una larga quota di lavoratori indipendenti. Anche la domanda di lavoro dipendente ha evidenziato un trend di progressiva crescita, passando dalle circa 49.500 assunzioni del 2010 alle 80.500 del 2020, salvo poi ridimensionarsi nel 2021 a quota 73 mila. Si tratta quasi esclusivamente di contratti a tempo determinato (98%) e in larga parte di rapporti di lavoro stagionali (circa 65%), come lecito attendersi considerata la ciclicità produttiva del settore, con picchi di assunzione concentrati nei mesi di gennaio, agosto e settembre, e territorialmente nelle province di Verona, Treviso e Rovigo, che insieme assorbono i tre quarti della complessiva domanda di lavoro dipendente nel settore.

Quanto alle caratteristiche dei lavoratori coinvolti, l’agricoltura si conferma un’attività prettamente maschile e caratterizzata da un’elevata presenza di stranieri (Romania, Marocco, India, Pakistan e Nigeria i principali Paesi di provenienza nell’ultimo anno), un’incidenza di lavoratori anziani significativa e un marcato sbilanciamento verso profili non qualificati.

Se il settore agricolo in senso stretto non ha risentito degli effetti della pandemia quanto i settori più penalizzati dai vari lockdown (turismo e commercio su tutti), registrando nel biennio 2020-2021 un saldo occupazionale positivo per poco più di 2.600 posizioni di lavoro dipendente, un brusco rallentamento della produzione, con ricadute negative anche sul fronte occupazionale, si è invece registrato per alcune specifiche attività quali agriturismi, comparto florovivaistico e servizi a supporto dell’agricoltura.

La tenuta dei livelli occupazionali anche in periodo di pandemia può essere, in parte, anche dovuta al riversamento nel settore agricolo di lavoratori provenienti da settori maggiormente penalizzati, quali i servizi e alcuni comparti del made in Italy, e a un parziale fenomeno di emersione o regolarizzazione di posizioni lavorative irregolari, agevolato dalle procedure introdotte proprio sulla spinta dell’emergenza sanitaria in corso e per sopperire al venir meno dei tradizionali flussi di lavoratori all’estero.

La quota del lavoro irregolare in agricoltura rimane tuttavia particolarmente elevata e pari al 14%. Quasi il doppio rispetto al tasso di irregolarità registrato in Veneto negli altri settori (9%), ma un valore comunque inferiore ai valori medi rilevati per il comparto agricolo a livello nazionale (24%). Se nella maggior parte dei casi si tratta di forme più o meno parziali di irregolarità lavorativa ed elusione, il fenomeno assume contorni preoccupanti quando sfocia nello sfruttamento e origina situazioni di caporalato. In molti casi tali situazioni sono connesse a sistemi di reclutamento organizzati nell’ambito di precise reti di connazionali e dalla crescita di aziende specializzate nella fornitura di servizi a supporto delle lavorazioni agricole gestite da stranieri.

L’esternalizzazione dei servizi e il contoterzismo sono infatti tratti caratteristici delle recenti dinamiche occupazionali in agricoltura e hanno comportato la crescita di realtà imprenditoriali che operano a servizio e supporto della produzione agricola attraverso l’affidamento totale o parziale delle attività agricole. La domanda di lavoro provenienti dal comparto delle attività a supporto dell’agricoltura e delle attività successive alla raccolta è arrivata nel corso di pochi anni a rappresentare circa il 20% del totale, con le assunzioni che sono passate dalle 4 mila del 2010 alle 15 mila del 2020 e un’incidenza dei lavoratori stranieri superiore al 70%. In questo senso, il rafforzarsi di tali forme di esternalizzazione dell’attività agricola, che consente alle imprese di avvalersi indirettamente della manodopera necessaria, può rappresentare un indubbio fattore di rischio anche in termini di sfruttamento lavorativo e sviluppo di forme di caporalato.

Tale fenomeno rappresenta solo una delle criticità, non ancora risolte, che il settore agricolo si è trovato a dover affrontare nell’ultimo biennio. Il blocco delle frontiere verificatosi nelle fasi più acute della pandemia ha messo in luce la cronica carenza di lavoratori, soprattutto per le attività stagionali, ed evidenziato l’importanza della manodopera straniera per il settore. La crescita di occupazioni temporanee e ad orario ridotto ha comportato un’espansione del cosiddetto “lavoro povero”. Rimane poi, più in generale, il tema dell’attrattività del settore, che da un lato continua a risultare poco appetibile per molti lavoratori e, dall’altro, denota una certa difficoltà nel reperire manodopera specializzata.

Focus 8_2022 Il lavoro in agricoltura - ClicLavoro Veneto

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