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Cronaca Borgo Venezia / Corso Venezia

Caso Giacino. La difesa contrattacca e prova a smantellare l'ipotesi dell'accusa

I legali dell'ex vicesindaco e dell'avvocato Alessandra Lodi obiettano sugli elementi forniti dall'imprenditore legnaghese affermando che ci sarebbero "numerose incongruenze intrinseche ed estrinseche. Troppe"

Prosegue il processo che vede coinvolto Vito Giacino e la moglie Alessandra Lodi. Nella giornata di ieri, la difesa dei due imputati ha provato a smantellare le accuse basate sugli elementi forniti dall'imprenditore legnaghese, concentrandosi sulle "numerose incongruenze intrinseche ed estrinseche. Troppe". 

Il tentativo di smantellare l'accusa parte dalla mole di telefonate e messaggi tra la Lodi e il costruttore, raccolti in due anni dagli inquirenti. La difesa infatti sottolinea come fosse sempre l'imprenditore a chiamare e come "in nessuna delle telefonate intercettate si pronuncia la parola denaro, non c'è un colloquio nè un sms in cui si descrive un'attività di pagamento". I contatti fra i due sono 994 e gli avvocati della coppia incriminata, analizzando un periodo preciso di 76 contatti complessivi, hanno voluto mettere in evidenza come solo 16 di questi siano partiti dal cellulare dell'imputata: "Un comportamento contrario a quanto si ipotizza: solitamente è chi 'pressa' che contatta insistentemente la vittima". 

La ricostruzione difensiva continua poi col mettere sotto esame i viaggi dell'ex vicesindaco. "Erano zingarate», aveva afferamto Giacino senza mai negare di averli fatti. "Erano viaggi che Giacino pretendeva avvenissero lontano da occhi indiscreti per concordare le modalità di pagamento delle mazzette", sostiene invece il pm Zanotti. L'ipotesi difensiva sostiene che se i viaggi servivano a concordare la maxi tangente sul piano degli interventi (quella da un milione e 200mila euro di cui venne versato un anticipo di 100mila euro) il politico avrebbe dovuto portare con sè incartamenti e schede. Per farlo però avrebbe dovuto chiedere i documenti in Comune, lasciando dietro di sè tracce che non sarebbero state trovate. 

Ciò che rende particolarmente pesante l'accusa a carico di Vito Giacino, è il contante che l'imprenditore avrebbe consegnato direttamente in più occasioni ma secondo l'obiezione dei legali due imputati l'imprenditore aveva giustificato la provvista di denaro con vendite in nero precedenti all'affare Ater: "Era persona offesa ma in quell'occasione fu effettuata la perquisizione anche a casa di Leardini, negli uffici e in ogni luogo di sua pertinenza: la Guardia di Finanza controllò ogni cosa, dalle cassette di sicurezza alla cassaforte, non c'era traccia di contante e l'imprenditore a verbale disse che aveva chiesto un prestito ai familiari".
Secondo l'avvocato di Alessandra Lodi poi, le parcelle contestate sarebbero state tutto frutto del lavoro normalmente eseguito dalla donna: "Nulla è fittizio. In realtà ci sono pratiche non ancora pagate. Non solo, le parcelle erano congrue". 

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