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Cronaca San Bonifacio

Un supermercato delle fatture false scoperto dalla Finanza a San Bonifacio

La frode fiscale supererebbe il valore di dieci milioni di euro. Denunciati venticinque cittadini e sequestrati beni e denaro per oltre due milioni e mezzo di euro

Un supermercato delle fatture false con sede a San Bonifacio, a cui si sono rivolte almeno dodici aziende tra Veneto e Calabria. Questa descrizione è stata fornita dalla Guardia di Finanza della provincia di Verona nel racconto di un'indagine che ha portato a denunce e sequestri per frode fiscale dal valore superiore ai dieci milioni di euro.
L'indagine è stata coordinata dal pubblico ministero Maria Federica Ormanni e i finanzieri hanno dato esecuzione ad un ordine di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari Raffaele Ferraro. Sono stati sequestrati 400mila euro (collocati in otto conti correnti bancari) e ventotto immobili tra case e terreni, per un valore complessivo che supera i due milioni e mezzo di euro.
Le denunce riguardano venticinque cittadini ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere finalizzata all'emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e al riciclaggio e all'autoriciclaggio. L'organizzazione criminale avrebbe avuto a capo tre uomini calabresi, già denunciati in passato per gli stessi reati, i quali si sarebbero riorganizzati per commettere nuove frodi.
Gli utilizzatori delle fatture false sarebbero dodici aziende operanti nel settore dell'edilizia, della carpenteria metallica e della lavorazione pelli. Sei di queste sono veronesi, due vicentine, due crotonesi, una trevigiana e una veneziana. E a fare da intermediari tra coloro che emettevano le fatture e chi le utilizzava ci sarebbero stati anche soggetti affiliati alla famiglia 'ndranghetista Grande Aracri, già condannati nel processo Aemilia.

Le investigazioni sono state svolte dai finanzieri della compagnia di Soave anche attraverso intercettazioni telefoniche, le quali avrebbero permesso di accertare che i responsabili delle aziende utilizzatrici delle fatture false, non appena appuravano, in sede di liquidazione periodica dell'Iva, di aver maturato un debito nei confronti dell'Erario, si rivolgevano al supermarket delle fatture false per annullare il debito con il Fisco attraverso l'emissione di fatture relative a operazioni fittizie.

I responsabili dell’organizzazione criminale si sarebbero inoltre adoperati per garantire anche un servizio aggiuntivo di "lavaggio" del denaro movimentato a seguito dell’utilizzo delle fatture false. Gli accertamenti bancari e patrimoniali eseguiti su oltre trentasette rapporti di conto corrente hanno ricostruito il percorso effettuato dal denaro oggetto della frode fiscale. Il meccanismo prevedeva che le aziende utilizzatrici delle fatture inesistenti effettuavano, mediante bonifico bancario, il pagamento relativo all'importo riportato nella fattura fittizia e la società che aveva emesso tali fatture restituiva l'importo percepito, trattenendone una parte (circa il 20%) pari al compenso stabilito per la commissione dell'attività illecità. Ma prima di essere restituito, il denaro transitava per almeno due passaggi attraverso conti bancari e postali intestati a compiacenti e poi veniva prelevato in decine di bancomat.
La ricostruzione di tutti i movimenti di denaro hanno permesso di individuare il complesso dei beni acquistati e le attività economiche in cui sono stati investiti i proventi illeciti, beni ora sequestrati dalle Fiamme Gialle, le quali hanno così recuperato a tassazione redditi per oltre otto milioni di euro e Iva dovuta di circa tre milioni di euro, nonché di determinare proventi illeciti riciclati pari a oltre 800mila euro.

Nel corso delle indagini è stato possibile scoprire anche che uno dei capi del sodalizio criminale utilizzava i locali di un bar gestito dal figlio nel centro di San Bonifacio come ufficio occulto per il reclutamento di manodopera in nero, prevalentemente soggetti di origine marocchina in cerca di un impiego fittizio per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno. Ed è stato individuato anche il caso di un soggetto di origine italiana, sottoposto a misura cautelare ai domiciliari, desideroso di una finta assunzione al solo scopo di poter beneficiare dell'emissione del provvedimento di semi-detenzione. Il "servizio" però non era gratuito e chi ne beneficiava doveva assoggettarsi a determinate condizioni economiche correndo il rischio di minacce o aggressioni se non si sottostava ai soprusi imposti.

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