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Cronaca Valverde / Piazza Renato Simoni

Sgominata banda del rame: 48 furti messi a segno e oltre 1 milione di euro di danni

Depredavano aziende in tutto il Veneto e anche in Lombardia, arrivando a colpire nella provincia di Mantova, dopodiché vendevano la refurtiva subito dopo il colpo ad un "rottamatore" di Villafranca

La Compagnia Carabinieri di Verona ha concluso oggi, 11 novembre, un’indagine contro i furti di materiali ferrosi, in particolare rame, che colpivano grandi gruppi industriali in tutto il Veneto, arrivando anche a travalicare i confini regionali spingendosi fino alla provincia di Mantova. Un fenomeno questo particolarmente sentito dalle forze dell'ordine in quanto, oltre al valore del materiale di per sé rubato, crea un grosso danno all'azienda colpita, costretta poi a bloccare la produzione fino al ripristino dell'impianto elettrico con una spesa non indifferente.
Lo stesso legislatore, percependo la crescente diffusione e la gravità di questi crimini, ha recentemente introdotto un’aggravante specifica nel delitto di furto per i casi in cui il reato venga commesso nei confronti di soggetti pubblici che offrono il servizio di erogazione di energia. 

L'indagine, denominata "Filo Conduttore", ha preso il via a giugno 2014 dal ritrovamento di due furgoni rubati abbandonati nei pressi della chiesa di Roverchiara.
Ciò ha consentito, sia con GPS, ma soprattutto con servizi di osservazione ed installazione di telecamere, di individuare le persone che abitualmente utilizzavano i veicoli. In tutto sono stati trovati 15 furgoni rubati, utilizzati per commettere i furti di rame e metalli in genere, sia in siti industriali in funzione sia in siti in disuso poiché abbandonati o in custodia per fallimenti. A mettere a segno i colpi era una banda piuttisto particolare, composta da maghrebini e rumeni: i due gruppi si erano congiunti in seguito all'unione di un marocchino con la sorella di uno degli indagati dell'est europeo, la quale ha dato alla luce anche un figlio. 

L'indagine condotta dai militari di Verona, ha permesso di portare alla luce il modus operandi dei malviventi, riassumibile in quattro punti: 

  1. individuare una ditta, meglio se abbandonata così da poter lavorare indisturbati per giorni, con un impianto elettrico importante. Gli indagati sceglievano le aziende in diverse province (Verona, Mantova, Vicenza, Rovigo);
  2. rubare un furgone con il quale trasportare la refurtiva. Il mezzo rubato durante il giorno veniva lasciato in posti molto tranquilli (come il parcheggio della chiesa di Roverchiara, la via del campo sportivo di Albaro di Ronco all’Adige, la zona industriale di Verona-Bassona) in modo da evitare che attirasse l’attenzione delle forze dell’ordine e allo stesso tempo desse l’opportunità di controllare che non vi fossero “pericoli”; questo ha consento al gruppo criminale di utilizzare senza problemi, anche per lunghi periodi, i veicoli rubati;
  3. “cannibalizzare” l’intero impianto elettrico non disdegnando ogni altro tipo di metallo di valore, oltre ad attrezzature e gasolio;
  4. vendere immediatamente i metalli rubati conferendoli a ditte di lavorazione più o meno “compiacenti”.

Non deve trarre in inganno l'idea che si tratti di furti piccoli e non reddittizi: al giorno d'oggi il rame viene solitamente pagato 4 euro al kg e in una sola notte la quantità di materiale rubato si aggirava intorno alle decine di quintali al colpo, come del resto dimostrato dai carabinieri. Una prima volta infatti sono stati rubati 3330 kg di rame che avrebbero fruttato alla banda 13.200 euro, mentre una seconda volta 1390 kg avrebbero reso 5560 euro. 
Proprio il mercato del rame quindi è il motivo per cui questo tipo di furti ha così grande successo: oltre ad una resa elevata, consentono di convertire immediatamente in contanti la refurtiva la cui provenienza illecita, una volta depositata presso il "rottamatore", non è più individuabile. Dalla mattina successiva al furti, il ladro aveva infatti già il contante in mano, dal momento che si recava a vendere la refurtiva subito dopo averla rubata. 
Come detto in precedenza, la gravità di questo fenomeno va oltre al semplice danno materiale, dal momento che ad esso va aggiunto il danno indotto dal blocco della produzione, dal deperimento delle merci (se si tratta di una ditta che opera nel campo alimentare) e la spesa che questa deve poi sostenere per ripristinare l'impianto. Emblematico quanto accaduto alla cantina Sociale di Soave, colpita tre volte nel giro di sette giorni: il danno complessivo dei tre furti, tra materiale e danno indotto, infatti sia aggira intorno ai 100.000 euro. 

L'attività degli investigatori è poi preoseguita con l'analisi delle ricevute di deposito presso le ditte che ricevevano i metalli rubati (oltre 150, prescindendo da tutti i casi in cui la ricevuta non veniva fatta per evitare la tracciabilità) e con l’attivazione delle celle di quelle località, distanti solitamente dalle residenze degli indagati, considerando il dato così ricavato come indicatore del furto avvenuto la notte precedente. Quindi sono stati analizzati i tabulati dei telefoni attribuiti ai criminali, partendo dall’individuazione delle giornate in cui facevano visita al "rottamatore" di Villafranca, per poi risalire a dove avessero colpito la notte precedente, indivuando il luogo del furto. 
Gli inquirenti inoltre sostengono che alcune denunce di furto non siano state presentate: questo perché tra gli obiettivi della banda c'erano spesso capannoni industriali chiusi per fallimenti o per cessate attività, il cui proprietario o curatore si è accorto in ritardo del furto, rendendo difficile la sua collocazione in un arco di tempo preciso e impendendo ai militari di comprendere quanti colpi siano stati effettivamente messi a segno. 
Fino ad ora i furti accertati e attribuiti agli imputati sono 48 ( 30 a Verona, 6 Vicenza, 5 Mantova, 4 Rovigo, 3 Padova) ed hanno causato alle aziende colpite un danno stimato complessivamente in oltre 1.000.000 di euro.

Durante le indagini sono stati arrestati in flagranza tre marocchini durante un furto ed è stato eseguito un fermo di nei confronti di cinque rumeni. Gli indagati, nonostante i fermi e gli arresti che hanno riguardato alcuni di loro, hanno proseguito e proseguono nella loro attività criminale dalla quale traggono enormi profitti e che gli permette di non dover lavorare onestamente. 

Allo stato attuale delle cose sono 18 le persone che risultano essere state indagate: 6 per furto aggravato; 1 per ricettazione e furto aggravato; 11 per associazione a delinquere, delle quali 2 con anche furto aggravato, 8 con furto aggravato e ricettazione, e 1, l'impreditore della ditta villafranchese, per ricettazione.
La Procura di Verona ha condiviso in pieno l’ipotesi investigativa avanzata dai carabinieri, contestando il fatto che abbiano costituito un’associazione a delinquere finalizzata ai furti di cavi di rame, all’interno della quale ognuno aveva il proprio ruolo ben differenziato e specifico.

Questa mattina sono state eseguite 4 delle 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip, poiché il quinto soggetto è risultato essere irreperibile, e una ordinanza di obbligo di dimora nel comune di residenza.
Nella casa circondariale di Montorio sono finiti: Mohammed Boudguig, marocchino classe 1986; Hassan Faouri, marocchino classe 1989; Abdelaaziz Jahour, marocchino classe 1986; Abdelmoughit Jahour, marocchino classe 1980. Florin Costel Dragomir invece, rumeno classe 1979, è stato colpito dall'obbligo di dimora.
Tutti gli altri indagati sono stati rimessi in libertà. 

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