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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Progettava una "spedizione punitiva" ai palazzi del potere: militare rinviato a giudizio

Intendeva "turbare le funzioni e le prerogative del capo del governo e dell'assemblea legislativà, con possibile uso delle armi", questo il piano di un sergente dell'Aeronautica apparso davanti al tribunale militare di Verona

Sono moltissimi i casi che arrivano al tribunale militare di Verona, dalle risse in caserma alle molestie sui sottoposti, fino ad arrivare alle vere e proprie frodi allo stato, ma pochi hanno lo stesso "peso" del caso scoppiato quest'oggi nelle aule della corte. Alla sbarra un sergente dell'Aeronautica, colpevole di aver addirittura tentato di organizzare un golpe in piena regola.

IL PROGETTO - Una "spedizione punitiva" con mezzi militari a Roma, fino a Palazzo Chigi e Montecitorio, "per turbare le funzioni e le prerogative del capo del governo e dell'assemblea legislativa, con possibile uso delle armi se necessario", che avrebbe dovuto scattare nella notte tra il 25 e 26 aprile dello scorso anno. Questo il "piano" ideato da un sergente, all'epoca in servizio presso il sesto stormo dell'Aeronautica militare di Ghedi (Brescia). Un progetto naufragato davanti ai ripetuti e perentori rifiuti ricevuti da tutti i colleghi ai quali era stato proposto, anche con mail e su Facebook. La vicenda, che sarebbe stata inquadrata dal graduato come una "semplice goliardata" senza alcuna volontà esecutiva, è emersa da un'inchiesta condotta dal procuratore militare di Verona Enrico Buttitta e dal sostituto Luca Sergio, con il contributo investigativo della Digos, che si è conclusa con il rinvio a giudizio del sergente per "istigazione all'alto tradimento, per commettere un attentato contro organi costituzionali, continuato ed aggravato".

SOLO UN SOGNO - La dettagliata segnalazione che aveva portato all'avvio dell'inchiesta militare aveva creato non poca apprensione tra gli inquirenti, ma poi era emerso che dietro la "spedizione" non c'era alcuna organizzazione ma solo l'idea di un militare che tuttavia aveva la possibilità di entrare in possesso dei mezzi e delle armi di cui parlava nel "progetto", poi ricostruito nei dettagli attraverso testimonianze, intercettazioni telefoniche, informatiche e ambientali, nonché perquisizioni. In sostanza, per l'accusa, il sergente aveva contattato alcuni colleghi "interni" ma anche un militare in servizio a un deposito munizioni nel veronese, in più occasioni, ricevendo sempre alla fine dei "no", spiegando loro un piano che prevedeva di 'assaltare' le sedi del governo e del Parlamento per protestare contro la situazione politico-economica del Paese. Il militare sosteneva, nel suo racconto, di essere in grado di entrare in possesso di armi (mitragliatrici Minimi, e Browning nonché pistole Beretta cal.92, fucili d'assalto Ar70sc e lanciarazzi Panzefaust) e di autocarri militari blindati. Il viaggio verso Roma doveva svolgersi di notte, per sorprendere eventuali controlli, e una volta davanti alle sedi del governo e del Parlamento - sempre secondo quanto emerso dalla ricostruzione accusatoria - l'intenzione sarebbe stata quella di pretendere un colloquio con il presidente del consiglio o con un altra carica dello Stato e in caso di diniego di essere pronti ad esplodere colpi d'arma da fuoco, anche con l'uso di cannoni o lanciagranate. L'udienza davanti al Tribunale militare è fissata per il 2 ottobre prossimo.

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