Processo Pfas: «Ricostruzione mostra che Miteni conosceva i rischi e non ha preso provvedimenti»
Prosegue il processo che vede imputati 15 manager per avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Inquinamento che tocca le province di Vicenza, Verona e Padova
Le informazioni sulle sostanze inquinanti riportate dal medico di Miteni alla società, le tecnologie per rilevare ed analizzare la presenza ambientale e biologica dei Pfas (che il circolo dei produttori mondiali aveva a disposizione già dieci anni prima rispetto alla scoperta dell’inquinamento) e l’intervento degli enti. Sono i principali elementi emersi dalla testimonianza fiume del maresciallo maggiore del Noe di Treviso Manuel Tagliaferri, avvenuta il 9 giugno durante il processo Pfas in corso presso la Corte d’Assise del Tribunale di Vicenza, che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.
Stando a quanto raccontato dall’investigatore, il professor Costa, che di Miteni era il medico competente, rappresentava l’azienda in meeting internazionale che si occupavano delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas, e delle correlate azioni di prevenzione e limitazione del loro uso.
Dalla ricostruzione di Tagliaferri, sarebbe emerso come il medico relazionasse sistematicamente i vertici della società sulle novità scientifiche relative al rischio Pfas e sulle sue interazioni con la fisiologia umana.
Costa, che ha svolto questo ruolo fino al 2016, avrebbe intrattenuto quindi rapporti diretti con Du Pont e i più grandi produttori mondiali, consentendo a Miteni di avere una conoscenza aggiornata e tempestiva su tutte le novità emerse dalla comunità scientifica sui rischi connessi ai Pfas.
Tra l’altro, Tagliaferri avrebbe riportato di aver verificato che il circolo dei produttori mondiali disponeva, già nei 10 anni precedenti rispetto alla scoperta dell’inquinamento, delle tecnologie necessarie per rilevare e analizzare la presenza ambientale e biologica dei Pfas.
«Questi – spiega l’avvocato Marco Tonellotto, che con i colleghi Angelo Merlin e Vittore d’Acquarone seguono Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi, costituitesi parti civili – sono elementi che dimostrano come la società, nonostante fosse pienamente a conoscenza del rischio, non abbia mai attuato misure di prevenzione e protezione».
Nel corso del dibattimento si è discusso anche di GenX e C6O4. Le sostanze inquinanti di nuova generazione erano state individuate dall’azienda sette mesi prima dello scoppio del caso a livello mediatico: a novembre 2017 Miteni avrebbe incaricato infatti il laboratorio Chelab di eseguire analisi specifiche da cui è emerso la presenza di entrambe le sostanze inquinanti, poi però avrebbe però omesso di inviare agli enti i risultati del laboratorio sostenendo di aver iniziato a cercare questi composti solo a partire da giugno del 2018.
Inoltre, le analisi del laboratorio interno di Miteni, comprese quelle sullo scarico Avs, non saebbero mai state inviate agli enti, in quanto la società le avrebbe condivise solo internamente, collocandole in una cartella riservata accessibile solo a poche persone.
«La ricostruzione di Tagliaferri – conclude Tonellotto – mette ulteriormente in evidenza come Miteni, sia per quanto riguardo la vicenda Pfas che per il GenX e il C6O4, fosse a conoscenza della magnitudo del rischio e che a fronte di questa consapevolezza non abbia adottato le misure adeguate».