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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Legnago

Arpav sul banco dei testimoni nel processo Pfas. Le società idriche: «Il "Miso" non ha funzionato»

Va avanti il dibattimento davanti alla Corte d'Assise di Vicenza. Al centro della discussione la messa in sicurezza operativa che Miteni aveva proposto dopo il 2013, che avrebbe dovuto contenere l’inquinamento in vista della bonifica

Il 3 marzo, nell'ambito del processo per inquinamento da Pfas, si è svolto il secondo giorno di controesame del testimone dell’accusa Alessandro Bizzotto, ex responsabile dei Controlli dell’Arpav di Vicenza, che si è sottoposto alle domande degli avvocati difensori.
Davanti ai giudici della Corte d’Assise, il dirigente Arpav è stato chiamato a spiegare le azioni messe in campo dall’agenzia regionale da quando è stata resa pubblica la notizia della contaminazione da Pfas.

Gli imputati nel procedimento sono 15 manager di Miteni spa, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. L’obiettivo delle difese è dimostrare che tutte le attività dell’azienda, in tema di sversamenti, erano costantemente sotto il controllo delle autorità competenti.

Al centro del dibattimento anche il “Miso”, ossia la messa in sicurezza operativa che l’azienda aveva proposto, ma solo dopo il 2013. Si tratta di una misura di protezione che doveva contenere l’inquinamento in vista della bonifica, impedendone l’uscita dai confini del sito aziendale. «È chiaramente emerso come il Miso non abbia mai raggiunto il suo scopo, così come non ha mai compiutamente funzionato nessuna delle misure intraprese dall’azienda per contenere l’inquinamento – spiega l’avvocato Marco Tonellotto, che insieme ai colleghi Angelo Merlin e Vittore D’Acquarone tutela Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi costituitesi parti civili –, quando l’azienda stessa era invece la garante di questi mezzi di tutela ambientale e di interdizione del rischio, che avrebbe dovuto a mettere efficacemente in pratica». Questo, a detta dei gestori, ha consentito la diffusione dell’inquinamento, secondo il teste fenomeno ancora in atto anche dopo il fallimento.

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