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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Legnago

Processo Pfas, udienza rinviata ma alcune carte farebbero tremare Arpav

Uno dei massimi dirigenti dell'azienda regionale avrebbe fatto capire alla Miteni che presto l'azienda sarebbe stata controllata. Fatti che sarebbero stati archiviati, ma l'archiviazione risulta «avvolta nel mistero»

Ieri, 27 gennaio, era in programma una nuova udienza per il processo Pfas, che vede imputati, tra gli altri, svariati tra ex dirigenti ed ex manager della trissinese Miteni, l'industria chimica accusata di avere inquinato una porzione rilevante del Veneto centrale con gli scarti di lavorazione dei Pfas, una famiglia di composti derivati dal fluoro. Il processo è stato rinviato perché un membro della giuria popolare è in malattia.
Ad ogni modo a margine del processo è spuntato un carteggio, che VicenzaToday ha potuto visionare in toto e che potrebbe mettere in guai seri dei funzionari di Arpav. Sul piano penale la loro posizione sarebbe stata archiviata, un'archiviazione però che risulta «avvolta nel mistero» e che potrebbe essere fonte di grane a non finire non solo per Arpav ma pure per i magistrati che hanno deciso di rubricare quelle condotte a fatti penalmente non rilevanti.

CARTEGGIO CHE SCOTTA
Il carteggio che da giorni sta facendo tremare i polsi a più persone è un'annotazione di polizia giudiziaria relativa al fascicolo poi finito nel processo già iniziato sul caso Miteni. L'annotazione è stata redatta dai Carabinieri ambientali del Noe di Treviso ed è stata ricevuta dalla procura berica il 29 novembre 2021. In quella annotazione, alla grossa, viene messa nero su bianco su ordine della procura berica, che indaga sull'affaire Pfas, una sorta di riepilogo sul materiale informatico raccolto nell'ambito dell'inchiesta per il caso Miteni.

CONTROLLI TELEFONATI? L'INDAGINE DELLA PROCURA
Ad ogni modo, a pagina 13 di quella relazione si legge che uno dei massimi dirigenti dell'Arpav di Vicenza, nell'ambito di una serie di accertamenti su presunte lavorazioni di sostanze contenenti Pfas di seconda generazione (fra questi «il famigerato GenX»), lavorazioni eseguite senza le sufficienti protezioni per l'ambiente e quindi non a norma, fece capire alla Miteni «in maniera inequivocabile» che la stessa Arpav, «aveva necessità di eseguire delle analisi finalizzate alla ricerca del GenX». Detto in altri termini il dirigente avrebbe fatto capire alla Miteni che un controllo era in arrivo, tanto che il girono del sopralluogo, si legge sempre nella annotazione che fa riferimento a fatti avvenuti nel 2018, nonostante nei dintorni della Miteni il GenX abbondasse in fabbrica non si trovarono riscontri «perché sia lo stoccaggio sia l'impianto di trattamento sono risultati puliti».
Quali sarebbero stati gli accorgimenti usati dal dirigente per far capire ai manager di Miteni che i controlli erano in arrivo? Le continue richieste di dettagliate informazioni del funzionario pubblico ai vertici di Miteni in merito al GenXFrd», secondo i carabinieri del Noe della Marca, sarebbero la prova dell'allerta lanciata dal controllore al controllato.
Con un paragone un po' azzardato «è come se un carabiniere di pattuglia notando le piante di marijuana piantate a profusione nelle fioriere di un balcone si intrattenesse col padrone di casa chiedendo informazioni precise sulla biologia e sull'annaffiamento dei vegetali, stupendosi magari se il giorno dopo durante una perquisizione ordinatagli dai capi quelle piante fossero sparite». Questa è la battuta che gira da qualche giorno tra i legali di parte civile, che come le altre parti per vero, difese incluse, sono da poco entrati in possesso di quella annotazione di polizia giudiziaria.

COMMISSIONE ECOMAFIE
Quel carteggio si lega indissolubilmente alle conclusioni cui, sull'affaire Pfas, è giunta in sede parlamentare la Commissione bicamerale ecomafie, la cui relazione conclusiva è stata pubblicata per intero da VicenzaToday. Nella relazione si dava conto di come i sistemi di contenimento dell'inquinamento dello stabilimento trissinese siano ancora «al palo». E c'è anche un passaggio preciso in cui si parla di un procedimento penale (il 1707/2019 R.G. Mod21), del quale aveva già parlato in precedenza il procuratore capo di Vicenza Lino Giorgio Bruno.

LE IPOTESI DI REATO DA BRIVIDO E LA STRANA ARCHIVIAZIONE
Stando alla Commissione ecomafie, in quel procedimento penale era stato indagato, assieme ad altri funzionari di Arpav, proprio quello che avrebbe fatto capire alla Miteni dell'arrivo dei controlli. Le ipotesi di reato erano da brivido perché più soggetti a vario titolo erano finiti sotto indagine per «rivelazione di segreto d'ufficio, abuso in atti d'ufficio, rifiuto in atti d'ufficio, falso ideologico in atti pubblici commesso dal pubblico ufficiale, favoreggiamento personale». Sempre stando alle risultanze della Ecomafie però «all'esito delle indagini di polizia giudiziaria», il pubblico ministero «ne chiedeva l'archiviazione... ritenendo che i reati contestati agli indagati non sussistessero, difettando l'elemento psicologico del reato, pur essendo emerse... condotte negligenti o comunque superficiali attribuibili agli indagati nello svolgimento dell'attività istituzionale di... controllo ambientale... in relazione allo stabilimento della Miteni...». La richiesta di archiviazione, si legge ancora negli atti parlamentari, era stata poi avallata definitivamente dal Gip. Detto in altri termini secondo i magistrati vicentini la condotta disdicevole ci sarebbe sì stata ma non sarebbe stata dolosa.

DUE ESPOSTI FINITI NEL NULLA? LE OMBRE DEL PASSATO
Si tratta di una lettura che ha fatto però imbizzarrire un pezzo della galassia ambientalista veneta. Che da settimane parla di fascicolo «stranamente ed inspiegabilmente archiviato» come se quella archiviazione «fosse avvolta nel mistero». Tanto che sia la condotta dei funzionari pubblici quanto quella dei magistrati che hanno chiesto e ottenuto il proscioglimento potrebbero di conseguenza essere bersaglio di un esposto in sede penale.
Ma tra gli anfratti di una vicenda sempre più complessa c'è un altro aspetto potenzialmente inquietante. Dagli atti parlamentari si legge che quel fascicolo sarebbe scaturito da una annotazione di polizia giudiziaria. Il problema però è che su eventuali condotte da codice penale in capo ai funzionari della Regione Veneto o di altre agenzie come Arpav c'erano state alcune denunce precise indirizzate all'autorità giudiziaria. Una, in due battute, era stata redatta dall'associazione padovana «La terra dei Pfas» patrocinata dall'avvocato Giorgio Destro. Si parla di un primo esposto con richiesta di sequestro addirittura del 10 gennaio 2017, di un secondo del 23 aprile 2018. Fra i due, il 9 febbraio 2017; c'era persino stata una formale doglianza presso la procura generale veneta, proprio perché non risultava «alcuna concreta attività di indagine».
L'altra battaglia, su un binario simile, l'aveva condotta Greenpeace che a sua volta il 26 luglio 2018 aveva presentato il suo esposto in sede penale. I due avvocati a più riprese avevano fatto notare che dalla magistratura, pur essendo stato richiesto di notificare eventuali richieste di archiviazione, non erano giunte notizie di provvedimenti di questo tipo. Ed è questa la circostanza che ora getta una luce sinistra su Borgo Berga. Che cosa è successo in questi anni alle denunce degli ambientalisti in merito ad eventuali défaillance da codice penale in capo a qualche funzionario pubblico? Sono confluite nel fascicolo poi finito archiviato di cui parla la Commissione ecomafie? Ai legali sono o non sono giunte richieste di archiviazione? Si tratta di quesiti di non poco conto che potrebbero diventare oggetto anche di un serrato confronto in sede di Commissione giustizia.

I CORRIDOI, I TREMORI E LA MATRIX VENETA
Rimane da capire se qualcuno potrebbe avvantaggiarsi da questa situazione. Non è da escludere che le difese della Miteni infatti, almeno per una parte delle accuse, tentino di giocare la carta della condivisione delle scelte con gli enti pubblici, convinte magari che la cosa possa alleggerire la posizione di alcuni imputati.
Tuttavia a Borgo Berga da giorni c'è un'altra voce che sta facendo tremare i muri dei corridoi. Proprio le difese avrebbero chiesto copia del fascicolo «1707/2019 R.G. Mod21» reputando che lì vi siano elementi a sostegno della innocenza di alcuni imputati. La richiesta di accesso agli atti del fascicolo sarebbe stata rifiutata. Ora quel fascicolo non è più coperto da segreto istruttorio, di conseguenza il diritto della difesa non può essere compresso tanto da negare l'accesso alla documentazione. Perché chi ha negato l'accesso ha deciso di rischiare così tanto da sfidare un plotone di agguerriti avvocati tra le cui fila si trovano anche professori universitari e principi del foro? Per di più da giorni, a margine di questa vicenda si parla di pressioni «indicibili» su alcuni uffici della procura. E poi di pezzi da novanta della politica, delle istituzioni e dell'economia del Veneto i quali temono che l'ostensione di quel fascicolo possa tramutarsi «in un vaso di Pandora». Si può pensare «di consegnare alla giustizia la Miteni, ma non la matrice, la Matrix veneta, che ha generato il caso Miteni, altrimenti ne risentirebbe l'intero sistema produttivo del Nordest». Questo il leitmotiv che da giorni starebbe circolando in alcuni ambienti vicini al processo Pfas.

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