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Cronaca Cologna Veneta

Dall'acqua del rubinetto agli spermatozoi: così i Pfas riducono la fertilità, anche per generazioni

Sono circa 400 mila le persone potenzialmente esposte in Veneto e ad Abano il professor Foresta ha spiegato come possano alterare la capacità fecondante, sia naturale che in vitro. Per i carabinieri «la Regione è intervenuta in ritardo»

«I Pfas, integrandosi nella membrana degli spermatozoi - ha spiegato il professor Carlo Foresta agli endocrinologi riuniti da giovedì in un albergo di Abano Terme, vicino a Padova - alterano i meccanismi che regolano la capacità fecondante, sia naturale che in vitro, e possono trasmettersi anche per tre generazioni». Il professore ha illustrato i risultati dell'indagine al congresso di Medicina della riproduzione, mentre a tre quarti d'ora di strada dalle sue diapositive, tra le colline appena fuori Vicenza, una società indiana sta facendo smontare l'impianto che per decenni ha inquinato l'acqua potabile in Veneto.

Come ricordano Fabrizio Gatti e Marco Milioni in un articolo pubblicato su Today.it, le sostanze sotto accusa, ovvero i famigerati Pfas, sono una famiglia di acidi a base di fluoro che riempiono la nostra vita, perché sono molto resistenti ai processi di degradazione: rendono impermeabili e repellenti ai grassi i tessuti e la carta, antiaderenti le pentole, ignifughi gli impianti idraulici degli aerei, proteggono i circuiti elettronici di computer e telefonini, compongono barriere, schiume ed equipaggiamenti antincendio. E sono una delle sostanze più impiegate nell'industria bellica. Usati così, non sono pericolosi, o almeno non ci sono evidenze in questo senso, anche se il tema è controverso. Ma quando, per la cattiva gestione degli impianti chimici di produzione o nel caso di malfunzionamento dei depuratori, queste molecole immortali raggiungono l'acqua di falda e la catena alimentare, ci possono essere conseguenze serie per la salute. I Pfas sono infatti così resistenti che riescono ad accumularsi nei nostri tessuti e, in alcuni casi, a interagire con le nostre cellule. Tra queste, si scopre ora, gli spermatozoi.

L'inquinamento da composti perfluoroalchilici, definiti appunto con la sigla Pfas, ha il suo epicentro a Colombara, nel comune di Trissino, una ventina di chilometri a ovest di Vicenza. Da qui gli impianti della Miteni, dichiarata fallita nel 2018, hanno contaminato alcuni corsi d'acqua e la falda che disseta una grande fascia di paesi e città a valle, compresi tra le province di Verona, Vicenza e Padova. Oltre centoventimila persone vivono dentro e a ridosso dell'area rossa: trenta comuni che la Regione Veneto ha definito di "massima esposizione sanitaria". Ma se si considerano le aree arancione, gialla di "attenzione" e verde di "approfondimento", la ricerca di Pfas nell'acqua e nella catena alimentare potrebbe riguardare quasi quattrocentomila persone. Il prossimo passo è capire se gli allevamenti e le coltivazioni, alimentati o irrigati da corsi d'acqua e pozzi più superficiali rispetto a quelli della rete urbana, possono essere a loro volta contaminati.

Pfas nel sangue delle madri

Già due anni fa il gruppo di ricerca dell'Università di Padova, coordinato da Carlo Foresta, aveva pubblicato sul Journal of endocrinological investigation uno studio su 120 ragazzi ventenni, nati e residenti nelle zone esposte all'inquinamento da Pfas. È così emersa una significativa alterazione del numero e della motilità dei loro spermatozoi, un risultato ora confermato da uno studio eseguito in Danimarca su donne esposte a queste sostanze durante la gravidanza.

I ricercatori danesi hanno raccolto oltre mille campioni di sangue durante il primo trimestre di gestazione e hanno poi controllato le caratteristiche dello sperma di oltre ottocento figli di quelle mamme a diciotto anni di distanza. «È stata così dimostrata una relazione lineare tra le concentrazioni di Pfas delle madri - sottolinea il professor Foresta - e la scarsa motilità e la bassa conta degli spermatozoi dei figli».

Il gruppo di ricerca dell'Università di Padova ha rilevato come uno dei componenti della famiglia di molecole, il Pfoa (acido perfluoroottanoico), risulta presente nel liquido seminale dei giovani esposti, con concentrazioni di circa il 30% rispetto ai valori nel plasma, e dimostra l'interazione tra queste sostanze e la membrana cellulare. Negli spermatozoi questa interazione altera la fluidità della membrana e la loro capacità fecondante, interferendo con i recettori, la cui attivazione è fondamentale per lo sviluppo del processo di fecondazione.

PFAS CARTINA AGGIORNATA 21 MAGGIO 2018-2

Conseguenze su figli e nipoti

«La fertilizzazione sia naturale che in vitro, effettuata con spermatozoi contaminati da Pfas - ha detto il professor Foresta - comporta il traghettamento di queste sostanze chimiche nell'ovocita. Questi sono dati veramente inquietanti, poiché a oggi non è noto quali possano essere le conseguenze tra Pfas e sviluppo embrionale. Le interferenze così precoci nei meccanismi di fertilizzazione si aggiungono alla conoscenza secondo la quale queste sostanze sono in grado di raggiungere il feto attraverso la placenta e il cordone ombelicale, diventando così un fattore di rischio per la fase più sensibile della nostra vita, quella prenatale, in cui gli ormoni materni hanno una funzione fondamentale per lo sviluppo».

La ricerca ha ormai dimostrato gli effetti sulla salute umana dei Pfas. Ma ora si scopre che «possono colpire ben tre generazioni - ha aggiunto Foresta - partendo dall'esposizione materna in gravidanza, passando per i figli con conseguenti alterazioni riproduttive ed arrivando fino ai figli dei figli, laddove i Pfas riuscissero a collocarsi negli spermatozoi».

La vicenda

Ripercorrendo le tappe dell'inquinamento che ha colpito il Veneto, Gatti e Milioni spiegano che l'origine dell'impianto chimico di Trissino risale al 1965 come centro di ricerca delle industrie tessili Marzotto. Vent'anni dopo nasce la Miteni, dal passaggio della proprietà a una alleanza tra la giapponese Mitsubishi ed EniChem. Successivamente, nel 1997, l'azienda italiana cederà la sua quota a Mitsubishi, che a sua volta, nel 2009, vende tutte le sue azioni a una controllata della International Chemical Investors, la quale ha sede in Lussemburgo e fa capo a imprenditori svizzeri e tedeschi.

Solamente nel 2013 viene alla luce il colossale inquinamento della falda, nel corso di un'indagine dell'Istituto di ricerca sulle acque del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, e non degli enti di controllo della Regione Veneto: soltano in seguito l'Arpav parteciperà all'inchiesta e al monitoraggio. Per quanto riguarda l'acqua potabile, la situazione è ora in netto miglioramento, anche grazie all'apertura di nuovi pozzi e condutture che riforniscono i paesi veneti da zone non contaminate. Nel frattempo si è passati da 274 campioni inquinati da Pfas su 319 prelievi nel 2013 e dai 370 su 428 nel 2014 ai 75 campioni inquinati su 244 prelievi dell'ultimo aggiornamento di settembre 2022. I comuni interessati appartengono alle aziende sanitarie Scaligera (provincia di Verona), Berica (Vicenza), Euganea (Padova) e, in misura minore, Polesana (Rovigo).

«Delle 23 sostanze previste nella definizione di somma di Pfas - riferisce il rapporto di settembre della Regione Veneto - ne vengono analizzate 15 nei punti di prelievo della rete di distribuzione al consumatore. Dal 2018 al luglio 2022 i campioni analizzati di acqua erogata dalla rete acquedotto (rubinetto) sono 2.461. Per il 5% (126 campioni) sono stati analizzati 15 dei 23 Pfas. Per tutti il parametro somma di Pfas è risultato inferiore al limite definito dalla direttiva europea di 100 ng/l», l'unità di misura equivalente a un miliardesimo di grammo per litro: «Nei restanti 2.335, [per] l'1% (22 campioni) il parametro somma di Pfas supera il limite». Negli altri comuni controllati, che non sono stati raggiunti dall'inquinamento, il valore di Pfas è invece sempre zero.

La contaminazione degli abitanti è stata dimostrata anche da uno studio della Regione Veneto su un campione di seicento residenti. Il valore mediano della concentrazione nel sangue di Pfoa, la sostanza che secondo gli ultimi studi interferisce con gli spermatozoi, è venti volte più alta nelle zone inquinate rispetto al sangue della popolazione italiana. Ma tra gli ex lavoratori della Miteni, fra le 120 e le 160 persone secondo i periodi, la presenza di Pfas nelle loro vene è fino a tremila volte superiore.

Impianto venduto in India

Proprio in questi giorni una ditta sta smontando l'impianto chimico. L'ha comprato di seconda mano la Viva Life Sciences Private Limited, una società di Mumbai in India. Sei milioni, il costo dell'operazione. Davanti al Tribunale di Vicenza si celebra intanto il processo contro i manager italiani, tedeschi e giapponesi di Miteni, Mitsubishi e International Chemical Investors. Sono accusati, secondo le rispettive responsabilità, di avvelenamento di acque o sostanze alimentari, disastro doloso, gestione non autorizzata di rifiuti, inquinamento ambientale e di aver provocato o aggravato il dissesto finanzianziaro della Miteni Spa.

La Procura ha invece già chiesto e ottenuto l'archiviazione dell'indagine sugli enti di controllo regionali, per una presunta mancata sorveglianza. Sulla questione, durante una delle ultime udienze del processo, torna il maresciallo dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico, Manuel Tagliaferri, che ha partecipato all'inchiesta penale. «A nostro avviso - dice il sottufficiale nella veste di testimone - la Provincia avrebbe dovuto chiedere ad Arpav immediatamente di fare una verifica in Miteni. Io perché l'ho criticata questa cosa? Perché se Arpav fosse andata avrebbe fatto una cosa semplicissima, anche se Miteni avesse omesso determinate informazioni. Metteva una boccetta sotto, diciamo, dal rubinetto della barriera idraulica [...] faceva l'analisi sui Btf (benzotrifluoruri) [...] e magari avrebbero analizzato anche la seconda linea di produzione di Miteni, che erano i Pfas. Quindi noi avremmo potuto anticipare così nel 2010 la scoperta del caso Pfas [...]. Solo che la legge, diciamo il codice penale, prevede che per determinati reati commessi dal pubblico ufficiale si richieda il dolo e quindi, per questo, non sono stati denunciati».

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