Caso Pfas, ripartito il processo, mentre i comitati prendono di mira la Regione
Il 12 gennaio è ripreso il procedimento relativo all'inquinamento che ha colpito le province di Vicenza, Verona e Padova. Nel frattempo il coordinamento ecologista "Mamme No Pfas" punta il dito sulle misure prese da Palazzo Balbi
Nel 2008 i tecnici della società di consulenza Erm avrebbero informato i vertici di Miteni e Mitsubishi Corporation che, nella falda acquifera sottostante gli stabilimenti produttivi, era presente una concentrazione di sali perfluorurati (Dpfo) cento volte superiore rispetto alla soglia minima di potabilità dell’acqua, individuata negli Stati Uniti durante l’analogo processo che vedeva il coinvolgimento della multinazionale DuPont.
Un fatto emerso giovedì 12 gennaio in aula dinanzi alla Corte d’Assise del Tribunale di Vicenza nella deposizione di Giuseppe Filauro, ripresa dopo la pausa natalizia. È ripartito infatti il processo che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Inquinamento da Pfas che ha toccato le province di Vicenza, Verona e Padova.
Filauro – incalzato nel corso dell’udienza dalle domande del pubblico ministero e dei difensori delle parti civili, tra cui l’avvocato Angelo Merlin, che con i colleghi Marco Tonellotto e Vittore d’Acquarone assiste Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi – era all’epoca dei fatti il responsabile del team di geologi di Erm che, su incarico delle aziende, aveva il compito di studiare la possibile contaminazione delle acque che scorrevano sotto gli stabilimenti e, in particolare, scoprire se le sostanze chimiche relative ai processi produttivi stavano davvero inquinando la falda. Come emerso dagli studi effettuati e come comunicato dai tecnici di Erm ai vertici di Miteni e Mitsubishi Corporation che, in seguito, non si erano attivati né per mitigare l’inquinamento né per informare le società idriche e gli enti del territorio.
Comitati contro Regione
Al di là della stretta vicenda processuale l'affaire Miteni, in questi giorni è tornato a far parlare di sé a livello politico-amministrativo, come spiega Marco Milioni sulle colonne di Vicenzatoday.
«Non più tardi del 10 gennaio infatti il coordinamento ecologista "Mamme No Pfas" aveva puntato l'indice sulla Regione Veneto. Come? Spiegando che le misure messe in campo da quest'ultima in materia di monitoraggio sanitario dei residenti delle zone colpite dalla contaminazione, erano di scarsissimo spessore. Una critica che peraltro, in maniera clamorosa, era stata messa nero su bianco nel settembre dell'anno passato dal delegato Onu in materia di diritti umani per la fruibilità dell'ambiente Marcos Orellana. Palazzo Balbi, bacchettato sul punto anche dal consigliere regionale Cristina Guarda di Ev, si era affrettato a replicare: spiegando che in realtà una campagna di monitoraggio più estesa rispetto al passato era stata avviata, almeno sul piano amministrativo, proprio in questi giorni. Questo almeno è quanto riferisce proprio palazzo Balbi in un dispaccio diramato mercoledì. Tuttavia la presa di posizione della Regione non è piaciuta al collettivo ecologista Pfas.Land. Il quale giovedì sulla sua pagina Facebook ha accusato la Regione Veneto muovendo, alla grossa, due addebiti. Il primo riguarda i costi che debbono sostenere coloro che intendono aderire al monitoraggio. Una spesa di novanta euro, questo il rilievo, può inibire molte persone, atteso il fatto che solitamente campagne di questo tipo debbono essere gratuite. Il secondo riguarda tempistica. Pfas.Land prende di mira palazzo Balbi sospettandolo di aver dato una risposta posticcia al problema. Una risposta che sarebbe maturata solo dopo le bacchettate rifilate dalle Mamme No Pfas e dalla consigliera Guarda. In questo contesto peraltro si registrano anche le accuse dei comitati veneti, che in relazione alla querelle per la realizzazione dell'inceneritore di Fusina a Venezia, temono che quell'impianto sarà impiegato anche per la combustione dei "temibilissimi Pfas". Questi timori peraltro sono contenuti in una nota resa pubblica giovedì».