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Cronaca Legnago / Via Malon

Caso Pfas-Chemviron, il Noe contraddice lo Spisal

Mentre si moltiplicano le incognite sul futuro degli scarti prodotti dalla Miteni, la ditta di Legnago che li tratta finisce sotto i riflettori dei carabinieri ambientali che rilevano alcune criticità che non erano state evidenziate dall'Ulss 9

«L'Europa metterà al bando oltre duecento Pfas dal febbraio 2023. Qui da noi quali regole si attendono per fare prevenzione visto che il Veneto è in piena emergenza Pfas, per non parlare della siccità?». È questo uno dei passaggi chiave del dispaccio che la legnaghese Michela Zamboni ha diramato oggi 12 luglio in mattinata. Zamboni è uno dei volti più noti della rete della Mamme no Pfas, l'associazione che da anni si batte contro i temibili derivati del fluoro, i Pfas appunto, dal 2014 catapultati al centro di uno scandalo ambientale che ha interessato Veronese, Vicentino e Padovano dopo che per anni queste sostanze erano finite anche nell'acqua potabile. Ma nel suo comunicato l'attivista chiede garanzie sulla salute dei lavoratori della Chemviron, la ditta di Legnago incaricata di trattare i filtri a carbone attivo con cui i gestori del ciclo idrico integrato depurano l'acqua contaminata a causa dell'inquinamento da derivati del fluoro della falda e delle acque potabili addebitato alla Trissinese Miteni, oggi a processo.

L'affondo di Zamboni

«La falda acquifera e i terreni sono, fino a prova contraria, irrimediabilmente contaminati. La Regione Veneto - scrive la Zamboni - ha avviato un biomonitoraggio sulla popolazione maggiormente esposta e non si preoccupa di chi lavora a stretto contatto con queste sostanze tanto da non prevedere nessun monitoraggio di routine nemmeno nelle emissioni in ambiente per la Chemviron. Il che peraltro risulta dall'Autorizzazione integrata ambientale rilasciata alla ditta dalla Provincia di Verona. Perché la Regione Veneto mantiene tale condotta?».

Detto in altri termini l'attivista si chiede come mai la fabbrica di Legnago, che da anni tratta i carboni attivi con cui si depurano le acque della rete acquedottistica veneta dai Pfas non venga osservata in modo speciale dalla Regione Veneto e dagli enti collegati come Ulss, Sisal e Arpav. Quelle della Zamboni (Vicenzatoday.it aveva già affrontato l'argomento in aprile), non sono solo preoccupazioni, ma sono interrogativi ben precisi che sono scaturiti da alcuni controlli che i carabinieri ambientali del Noe di Treviso hanno effettuato sullo stabilimento legnaghese di via Malon.

Il blitz dei militari nello stabilimento

Il sopralluogo più recente è quello del 16 giugno 2022 ed è quello le cui risultanze avrebbero fatto rizzare i capelli ai dirigenti della Provincia di Verona che come altri enti è responsabile della sicurezza ambientale del territorio in cui la Chemviron insiste. Le annotazioni del Noe, che pesano come macigni, sono tra i documenti finiti agli atti degli uffici di palazzo Capuleti i cui dirigenti hanno potuto leggere con attenzione quella nota datata 17 giugno 2022 redatta dal Noe.

«Abitazioni vicine»

«Durante il sopralluogo di ieri - si legge - i militari del Noe hanno riscontrato le seguenti criticità: è stato avvertito un rumore di notevole intensità provenire dall’area dello stabilimento dove sono presenti le vasche dell'impianto per il trattamento delle acque interne. È stato poi accertato che il rumore udito era prodotto dalla pompa ad aria... installata a servizio dei tre filtri a sabbia in uscita dall'impianto di trattamento delle acque interne. Sulla base alla documentazione prodotta dal gestore l'utilizzo di tale pompa sarebbe limitato all'orario compreso dalle ore 7 alle ore 21. In merito, si evidenzia che: le abitazioni residenziali più vicine distano circa 190 metri da detta pompa ad aria; che questo Comando ha ricevuto diversi esposti riguardanti problemi di odori e rumori molesti provenienti soprattutto in orario notturno dallo stabilimento in questione».

«Accumuli di polvere e carbone»

E ancora: «La grata metallica in cima alla coclea di alimentazione a servizio del forno P18 presentava evidenti accumuli di polvere di carbone... Nel corso del sopralluogo è stato notato che le correnti d'aria calda prodotte dai forni presenti all'interno del capannone sollevavano la polvere di carbone depositata sulla grata e la disperdevano nell'ambiente interno al reparto produttivo. Come si può vedere dalle foto allegate, uno strato di polvere di carbone è stato notato anche sulla pavimentazione in cemento al di sotto della grata metallica descritta».

«Emulsione di colore nero»

Ma non è finita perché poco appresso i carabinieri descrivono un'altra scena dal sapore dickensiano: «... Sulla porzione di tetto in corrispondenza dei forni P15 e P18, nonostante il tetto fosse stato lavato poco prima con delle idropulitrici, è stata notata della polvere depositata o stratificata sia sul tetto che nelle relative grondaie... In particolare, nel tratto di grondaia vicino al camino E3 - si legge ancora - è stato misurato uno strato di tre centimetri di emulsione di colore nero... simile al bitume liquido per colore e consistenza..., dovuta alla polvere di carbone e acqua che era defluita a seguito del lavaggio... la polvere di carbone visibile ictu oculi sia sul tetto del citato capannone che sul piazzale della ditta potrebbe rappresentare una potenziale fonte di inquinamento per l'ambiente circostante, nonché un pericolo per la salute umana dei lavoratori e degli abitanti residenti».

I dubbi

Ora a fronte di una situazione come è stata descritta dai militari e con i precedenti dell'affaire Miteni come mai gli anni passati Spisal, Ulss, Provincia scaligera, Comune di Legnago e Regione Veneto non si sono occupati, ciascheduno per le sue competenze, di quanto accadeva alla Chemviron? Perché è stato necessario il solito esposto dei residenti o degli ambientalisti di turno? Sono questi gli interrogativi che traspaiono dal documento delle Mamme no Pfas. «Se non cerchi i Pfas nel sangue di quei lavoratori potenzialmente esposti perché non c'è una regola che te lo impone, i lavoratori rimangono comunque potenzialmente esposti, senza che nessuno se ne preoccupi... Il tutto mentre l'Europa mette al bando oltre duecento tipi di Pfas», una famiglia di componenti chimici, ribadisce Zamboni ai taccuini di Vicenzatoday.it, in cui le sostanze sono «migliaia e migliaia, la maggior parte delle quali sfuggono a ogni tipo di monitoraggio da parte degli enti preposti. In Italia come all'estero».

Derivati del fluoro e interferenze sul fegato 

La situazione, almeno nell'opinione pubblica occidentale, si è aggravata quando pochi giorni fa la americana Nbc, uno dei network più popolari negli Stati Uniti, nell'ambito della trasmissione di approfondimento Today ha mandato in onda un documentario, visibile anche sulla piattaforma web dell'emittente. In quel filmato si dà conto delle ultime ricerche in tema di esposizione ai Pfas da parte delle donne gravide: esposizione che aumenterebbe l'insorgenza nei feti di seri problemi al fegato.

Si chiedono analisi sui lavoratori

E così la pressione sugli enti pubblici si è fatta giorno dopo giorno più evidente tanto che il sindaco di Legnago Graziano Lorenzetti non più tardi del 5 luglio preso di mira dalle scudisciate della galassia ecologista è stato costretto a prendere carta e penna e ascrivere all'Ulss 9 e all'Arpav chiedendo di intervenire con una serie di controlli, anche sulla salute dei dipendenti Chemviron, proprio alla luce della situazione allarmante evidenziata dal Noe. In prospettiva però rimangono alcuni interrogativi. Se i carabinieri con il sopralluogo del 16 giugno hanno trovato una situazione tanto preoccupante perché lo Spisal, che poi è il servizio di contrasto agli infortuni sul lavoro che promana dall'Ulss per vero, avrebbe invece lungamente sostenuto come non ci fossero problemi di sorta? Ad ogni modo da mesi ormai la rete ecologista chiede analisi del sangue sui lavoratori. I sindacati di contro, almeno fino ad oggi, non hanno fatto sentire la propria voce in questo senso: almeno non con il vigore della rete ambientalista. «Come mai? Che cosa c'è dietro?» Si chiedono gli attivisti.

L'enigma e la missiva di Peruzzi

Infatti in una lettera del 28 dicembre 2021 indirizzata alla stessa Zamboni la quale per tempo aveva espresso tutti i suoi timori, lo Spisal rispondeva in questo modo: «Questo servizio, in data 19 novembre 2021 presente la direzione aziendale» nonché gli Rls, ossia i rappresentanti sindacali dei lavoratori con delega alle questioni di sicurezza «ha provveduto ad effettuare un sopralluogo e a richiedere documentazione specifica». In quel frangente lo Spisal dell'Ulss 9 sottolineava come non si fossero «riscontrate situazioni di irregolarità». Almeno così dettagliava la allora dirigente dello Spisal Ulss 9 Manuela Peruzzi. Pochi mesi dopo invece, il 16 giugno 2022, i carabinieri effettueranno una ispezione a sorpresa trovando di contro una situazione critica puntualmente descritta nella relazione del giorno appresso, da parecchio depositata presso gli uffici del Comune di Legnago, della provincia scaligera, dell'Ulss 9, dell'Arpav regionale nonché della Regione Veneto.

La prospettiva e gli interrogativi

A fronte delle anomalie rilevate dal Noe (non si sa ancora se queste abbiano o meno generato procedimenti di natura amministrativa o penale) rimane però una questione di fondo. Che cosa ne è stato, che cosa ne è e che cosa ne sarà del ciclo dei reflui Pfas? Che cosa ne è stato, che cosa ne è e che cosa ne sarà del ciclo dei carboni esausti con cui si sono filtrati i Pfas? Finiscono in discarica? E se sì quale o quali? Con quali effetti sull'ambiente? Che cosa ha appurato in tal senso la Commissione bicamerale ecomafie che sul punto, specie nel 2017, fu particolarmente attiva? Possono finire inceneriti? Se sì dove? Possono finire anche negli impianti di termovalorizzazione del Veneto come quello di Schio, di Padova o di Venezia-Fusina? Questi ultimi due impianti peraltro da mesi sono al centro di polemiche senza fine perché la rete ecologista veneta vede il loro possibile potenziamento come fumo negli occhi. Ma come la pensano al riguardo i vertici di Chemviron Legnago? Chi scrive ha interpellato direttamente l'azienda. Tuttavia da quest'ultima, almeno per il momento, non è giunto alcun commento.

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