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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Cologna Veneta

Lavoratori sfruttati in agricoltura, gli arresti diventano 5: cooperative e commercialista nei guai

Si è conclusa con l'esecuzione di un'altra custodia cautelare l'operazione Polvere di Stelle, che aveva portato ai primi arresti nel novembre 2020: al centro delle indagini un'azienda con sede legale a Cologna Veneta

È salito a 5 il numero di misure cautelari eseguite nel confronto di altrettanti individui, dal novembre 2020 ad oggi, nell'ambito dell'operazione Polvere di Stelle,  condotta dai carabinieri del gruppo Tutela Lavoro di Venezia e dal nucleo Ispettorato del Lavoro di Vicenza, che si è conclusa nella mattinata di lunedì 7 febbraio. Destinatario del provvedimento che lo ha confinato agli arresti domiciliari, un cittadino 27enne di nazionalità marocchina, rientrato in Italia dall'aeroporto Orio al Serio di Bergamo. 
Complessivamente, i militari della Laguna hanno fermato tre individui di nazionalità marocchina, uno di nazionalità albanese e una donna di nazionalità italiana, ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro (artt. 416 e 603 bis), reati che sarebbero stati commessi nei confronti di decine di cittadini marocchini, alcuni dei quali irregolari sul territorio nazionale.

Il provvedimento emesso dal gip del tribinale di Verona, su richiesta della Procura locale, trae origine da un'indagine avviata nel maggio 2019 e condotta dal nucleo carabinieri dell'Ispettorato del Lavoro di Vicenza, con il supporto dei colleghi del NIL scaligero, in seguito ai risultati ottenuti da una serie di ispezioni effettuate in alcune aziende africole delle province di Vicenza, Verona e Padova. Coordinata dalla dottoressa Anna Maria Zanotto, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Verona, l'attività avrebbe consentito ai militari di individuare una cooperativa operante nel settore agricolo, con sede legale a Cologna Veneta, che reclutava cittadini marocchini da impiegare come manodopera presso alcune aziende del territorio, in regime di sfruttamento.
Gli accertamenti condotti dal Gruppo Tutela Lavoro di Venezia sono stati svolti attraverso complessi servizi di osservazione e pedinamento, servendosi anche di ispezioni e acquisendo informazioni dalle testimonianze di numerosi lavoratori ritenuti sfruttati, che avrebbero permesso di far emergere le condotte delinquenziali dei 5 indagati: il titolare dell’azienda fornitrice di manodopera e i 2 figli, cittadini marocchini che si occupavano del reclutamento dei lavoratori, un suo stretto collaboratore di cittadinanza albanese, che aveva funzioni di intermediario di manodopera, e una donna italiana collaboratrice di uno studio commercialista, la quale avrebbe svolto la mansione di consulente del lavoro, consentendo alla cooperativa di evadere gli oneri contributivi da versare in favore dei dipendenti.

Secondo gli investigatori, gli indagati avrebbero di fatto costituito un’associazione per delinquere che permetteva loro di approfittare dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità dei lavoratori, versando loro una retribuzione nettamente inferiore a quella contemplata dai contratti collettivi regionali e nazionali, limitandosi spesso alla corresponsione di un compenso orario equivalente a meno della metà di quello previsto dalla norma.
Sarebbe inoltre stato accertato come in lacuni casi, per evitare i controlli di polizia, le persone sfruttate venissero fatte alloggiare in sistemazioni di fortuna prive di riscaldamento ed energia elettrica, per poi essere svegliate alle prime luci dell'alba e accompagnate con auto, a volte fatiscenti, nelle azienda agricole dove erano impiegate, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera e senza il rispetto di alcuna norma di sicurezza sui posti di lavoro, private anche dei dispostivi di protezione individuale. 

Un modus operandi che avrebbe permesso alla cooperativa con sede a Cologna Veneta di proporsi sul mercato agricolo ad un prezzo decisamente vantaggioso per le ditte committenti, che avrebbero beneficiato del reclutamento e l’impiego di manodopera irregolare, soprattutto per attività particolarmente usuranti e faticose come la raccolta di prodotti agricoli e l’allevamento di bestiame che, per la peculiare natura dell’attività, meglio si prestano al fenomeno dello sfruttamento.

Il minor prezzo offerto sul mercato sarebbe stato assicurato anche grazie ad un preciso ed ormai collaudato “sistema” illecito di abbattimento del costo della manodopera, ottenuto grazie alla complicità di una collaboratrice di uno studio di consulenza di Vicenza, che mediante la predisposizione di una falsa documentazione, avrebbe consentito alla cooperativa veronese di evitare di pagare i contributi previdenziali. La strategia che gli investigatori ritengono sia stata messa in campo dalla consulente del lavoro vicentina, la quale sarebbe stata ben al corrente dei tecnicismi e delle procedure di addebito contributivo da parte dell’INPS, avrebbe permesso di far apparire formalmente regolare la cooperativa che, mutando nel tempo la propria ragione sociale, avrebbe così continuato ad operare indisturbata sul mercato del lavoro rigenerandosi come nuova società, che corrispondeva regolari contributi previdenziali solo per una minima parte dei lavoratori alle proprie dipendenze.

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