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Cronaca Centro storico / Piazza Bra

Il terrorismo islamista sfida la Democrazia, ma le nostre armi sono adeguate?

La strage di Bruxelles ha fatto ripiombare tutta l'Europa nel terrore. In Italia come all'Estero, a Verona come a Parigi, oggi ci si interroga su come sia possibile contrastare un fenomeno così sfuggente e devastante come il terrorismo jihadista

Gli attacchi terroristici di Bruxelles hanno gettato inevitabilmente nello sconforto i cittadini di tutta Europa. Lo sgomento e la rabbia si mescolano alla sottaciuta e forse inconfessabile sensazione d'impotenza che, a cose ormai fatte, inevitabilmente rischa di prendere il sopravvento nell'animo di ciascuno. E la poco rassicurante consolazione di averla scampata, in casi come questi, appare immediatamente quale manifestazione di un egoismo davvero troppo piccolo dinanzi all'enormità della sfida cui, oggi, l'intera umanità che chiede e rivendica il diritto/dovere di vivere in una democrazia, si trova a dover affrontare.

Eppure, il dato di fatto è che a Parigi come a Bruxells, a Londra come a Verona, nessuno può davvero dirsi tranquillo, sicuro che quanto ormai siamo tristemente quasi abituati a veder accadere sugli schermi dei nostri televisori in altri luoghi, non possa in futuro riguardare proprio la nostra città. Ecco allora che un po' dappertutto ci si interroga sulle forze di polizia che dovrebbero garantire, e in molti casi ci riescono, la sicurezza di ciascuno di noi. Sono adeguate? Sono messe nelle condizioni di svolgere il loro difficile compito nel migliore dei modi? Posseggono effettivamente i mezzi, gli strumenti, le armi migliori possibili, un organico sufficientemente folto e preparato per contrastare un fenomeno così sfuggente e drammaticamente violento come il terrorismo ideologico e militare di matrice islamista?

Domande che è sicuramente giusto porsi, se è vero così come riferito dal quotidiano L'Arena, che proprio il segretario generale del Sulp, un dei più importanti Sindacati di Polizia, Silvano Filippi, non fa mistero dei suoi dubbi in proposito, rivelando come i cosiddetti corsi di addestramento e aggiornamento che alcuni gruppi speciali di forze dell'ordine intraprendono, vengono svolti semplicemente online. Certo non è tutto qui, ma anche un corso della durata di un mese con esercitazioni fisiche e con le armi, non può certo essere considerato sufficiente. Utile senza dubbio, ma bastevole a rassicurare gli animi di ciascuno decisamente un po' meno.

Dal 2001 ad oggi il Mondo è talmente cambiato sotto il profilo della sicurezza che abbiamo quasi tutti disimparato a vedere le differenze, i mutamenti che sono accorsi in questi anni nella quotidianità delle nostre vite. In Italia, fortunatamente, non esistono per il momento situazioni così critiche come quelle francesi o belghe, dove la ghettizzazione degli immigrati ha di fatto prodotto un "falsa integrazione", terreno fertile per la criminalità jihadista. Ma è chiaro che questo tipo di constatazione non possa affatto essere vissuta come tranquillizzante sino in fondo. A Verona come in tutte le altre importanti realtà urbane d'Italia, il fenomeno dei flussi migratori è questione di tutti i giorni, l'incontro con il diverso va gestito quotidianamente, la convivenza pacifica costruita passo dopo passo anche nel più piccolo gesto. Risposte oltranziste come la costruzione di nuovi muri, fisici o mentali che siano, rischiano di essere soltanto facili palliativi per la pancia, catalizzatori di consenso elettorale in grado di prospettare facili soluzioni dinanzi a problemi enormi.

Gli attentatori islamisti che giurano fedeltà al Califfato e combattono perché Daesh abbia la meglio sulle istituzioni democratiche, non sono gli Islamici. Non sono nemmeno gli Islamici radicali o "radicalizzati" come, tuttavia, purtroppo a volte si sente dire. Sono piuttosto dei "disseminatori di odio", criminali che mietono vittime, numericamente parlando, anzitutto proprio tra le popolazioni musulmane stesse.

Ecco perché la sfida che oggi ci troviamo ad affrontare, riguarda senza dubbio le forze di sicurezza, ma non solo. Concerne ciascuno di noi, la nostra capacità di riscoprire il senso di una vita democratica, per farne comprendere la bellezza anzitutto a chi storicamente e culturalmente non ha nemmeno potuto farne esperienza una sola volta. Se non saremo in grado di fare questo, se la sola risposta che saremo in grado di mettere in campo sarà quella di rispondere alla violenza "disseminando odio", allora la partita sarà inevitabilmente persa. Perché una coordinazione delle Intelligence europee è certamente necessaria, non meno però di una coordinazione delle intelligenze umane di tutta l'Europa.

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