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Cronaca

Il gruppo Biasi lascia 45 dipendenti col fiato sospeso

La storica azienda termomeccanica sparir da Verona. I sindacati: "Era come lavorare al Ministero"

Si profila un natale amaro per 45 dipendenti della Gruppo Biasi, gli ultimi rimasti dopo l’operazione di messa in liquidazione dell’azienda che fino a 5 anni fa contava 220 assunti, tra il settore termomeccanico e termoidraulico, nella sola Verona. Ieri è proseguita la trattativa tra i sindacati, l’amministratore delegato, Aldo Gava, il capo del personale, Federico Cappiotti, e il commissario liquidatore Eugenio Caponi. Le prospettive, per i 45 dipendenti sono nere. I 37 impiegati commerciali e amministrativi, più gli otto operai della Fondver, il reparto di fonderia della Biasi, rischiano di essere licenziati alla fine del processo di liquidazione, decretando la chiusura definitiva dei lavori alla Biasi di Verona. Tutto si dovrebbe trasferire a Pordenone ma solo una parte dei 45 dipendenti potrebbe finire nuovamente a libro paga negli uffici friulani.

Ciò che non potrà cambiare, nelle intenzioni della dirigenza, sarà la messa in vendita dell’edificio, il “grattacielo” di via Leopoldo Biasi, la sede degli uffici. Questo è il compito specifico del liquidatore Caponi, che dovrà ricavare circa 60 milioni di euro dalla cessione degli stabili per far fronte all’esposizione debitoria del Gruppo Biasi nei confronti delle banche. Ieri pomeriggio la trattativa è proseguita, e un’altra riunione con le parti sociali è stata convocata per venerdì 10 dicembre. Una possibile soluzione per i dipendenti sarebbe quella di confermare la propria disponibilità di trasferimento a Pordenone, anche se, come precisa il delegato Fim-Uil, Roberto Menegaldo “non riguarderà tutti e 45, ma solo una parte di loro”.

Un altro spiraglio è rappresentato dalle proposte avanzate ieri, e cioè quello di trasferire commerciali e amministrativi in una nuova sede e garantire, perlomeno, la permanenza della Biasi nel territorio Veronese. Il rammarico principale infatti sarà quello di non veder più l’insegna di un’azienda che, fino a cinque anni fa, rappresentava un punto di forza del sistema produttivo scaligero. “Lavorare per la Biasi era come lavorare per il Ministero- spiega Menegaldo- grazie a un contratto di ferro, paga adeguata, contribuzione stabile, rapporto stretto tra datori e dipendenti. Ora la famiglia Biasi è più interessata alla finanza. A quanto pare la produttività non paga”.
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