Si è spento Gino Spiazzi: deportato e testimone delle atrocità del nazifascismo
Lo storico presidente dell'Aned veronese era ricoverato da giovedì a causa di alcuni problemi cardiaci all'ospedale di Negrar, dove ieri pomeriggio ha esalato il suo ultimo respiro
Si è spento ieri pomeriggio all'ospedale di Negrar Gino Spiazzi, 90 anni, ricoverato da giovedì a causa di alcuni problemi cardiaci. Storico presidente dell'Aned veronese, Spiazzi venne deportato nel 1944 nel campo di Flossenbürg, con il numero di matricola 43.805.
Da sempre schierato contro ogni discriminazione, la voce dell'associazione degli ex deportati non aveva potuto partecipare alle celebrazioni del 25 aprile a causa dei suoi problemi di salute, che si sono aggravati nelle ultime ore. La sua ultima apparizione pubblica risale al 10 aprile, in occasione della Giornata del Deportato, quando alla scuola di San Zeno intitolata a Emma Foà, l'insegnante ebrea uccisa ad Auschwitz, Spiazzi era rimasto seduto, in silenzio, a guardare la cerimonia.
Sempre pronto a ricordare i delitti del nazifascismo, avvertendo che tutto quell'odio un giorno potrebbe ritornare, il partigiano Spiazzi nel 1944 faceva parte della Brigata Pierobo, quando aveva solo 19 anni. Venne catturato nella zona tra Lughezzano e Lugo nel corso di una missione di rifornimento armi e poi condotto al comando delle SS, nel palazzo Ina di corso Porta Nuova. Lì lo interrogarono e lo picchiarono, prima di imprigionarlo a forte San Leonardo. Al tempo chi non veniva ucciso era destinato alla deportazione e quello fu il destino che toccò al giovane Spiazzi, che dopo il campo di transito di Bolzano, finì nel lager di Flossenbürg, nel nord-est della Baviera, trasportato su un carro bestiame. Verso la fine della guerra, mentre gli Alleati avanzavano, i tedeschi bruciavano i campi di concentramento. Il giovane partigiano riuscì in quel periodo a fuggire, fingendosi morto per evitare le raffiche di mitra di un soldato nazista, e ad aspettare i soccorsi americani. Poi nel 1945 l'agognato ritorno in Italia.
Il 90enne il 3 maggio si sarebbe recato a Milano insieme a venti studenti veronesi, per il raduno degli ex deportati in occasione del settantesimo anniversario della Liberazione. Anche lì avrebbe mostrato la sua attenzione per i giovani, per coloro a cui è affidato il compito di conservare e trasmettere la memoria anche a chi verrà in seguito. Per questo motivo, riportandole da L'Arena, vi riproponiamo le parole da lui tante volte ripetute che narrano la sua storia, perché essa non vada perduta: "Io non avevo nome, ero il numero 43.805. Un triangolo rosso, come i nazisti contrassegnavano gli antifascisti, i partigiani, i disertori, gli operai in sciopero, i renitenti alla leva. Insieme a noi, altri triangoli: per gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i testimoni di Geova, gli apolidi... La guerra e il fascismo mi hanno rubato la giovinezza. Dall'Italia siamo stati deportati in 40mila e tornati in meno della metà. Oggi, nel ricordo del sangue versato da milioni di fratelli e sorelle, testimonio la loro voce per la pace e il disarmo, per la felicità dei popoli. Buon 25 aprile di Liberazione. Ora e sempre Resistenza".