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Maxi frode allo Stato per 440 milioni di euro: la guardia di finanza ne recupera il 97%

L'operazione "Free credit" ha visto la partecipazione di oltre 200 militari, portando all'esecuzione di 35 misure cautelari (tra cui 12 arresti) e più di 80 perquisizioni, toccando anche il Veneto

Una maxi frode ai danni dello Stato è al centro dell'operazione "Free credit", partita lo scorso mese di gennaio dalla guardia di finanza del Comando provinciale di Rimini, coordinata dalla Procura della Repubblica locale, con il supporto di 44 reparti competenti nei rispettivi territori. In totale hanno partecipato oltre 200 militari, per eseguire 35 misure cautelari (tra cui 12 arresti) e più di 80 perquisizioni in Emilia Romagna ed in contemporanea in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto.
Secondo le fiamme gialle infatti, un sodalizio criminale aveva base operativa a Rimina ma era allo stesso ramificato in tutto il territorio nazionale. Un gruppo che sarebbe stato composto da 56 associati e 22 prestanome, i quali sono accusati di aver frodato lo Stato italiano per 440 milioni di euro commercializzando falsi crediti di imposta, introdotti tra le misure di sostegno emanate dal Governo con il Decreto Rilancio (D.L. 34/2020), durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria da Covid-19 per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà.

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L'attività investigativa è poi proseguita con l'obiettivo di recuperare quante più risorse possibili, rafforzare il quadro investigativo e sfruttare gli esiti delle perquisizioni per il suo sviluppo. Complessivamente sono stati così sequestrati 175 dispositivi informatici, per oltre 20 terabytes di preziosissimi dati da analizzare.
Sforzo che come risultato avrebbe consentito di recuperare circa il 97% dell’ammontare della presunta frode, tra immobili, società, veicoli e disponibilità finanziarie e crediti che sono stati bloccati prima che venissero ceduti: di questi, oltre 80 milioni sarebbero stati quelli già stati immessi nel sistema di vendita, per i quali sarebbe bastato un click per farli sparire. Il totale dei crediti sequestrati, e di cui sarebbe stata impedita la vendita, ammonta a circa 305 milioni di euro.

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Nel corso delle perqsuisizioni, i finanzieri avrebbero posto particolare attenzione a ricostruire come gli indagati avessero impiegato i soldi, cercando quindi le tracce delle movimentazioni verso l’estero e di acquisto di moneta virtuale. Tra i bene sequestrati infatti vi sono criptovalute, attualmente custodite in un wallet così da impedirne la movimentazione, oltre a oro, platino e orologi di valore considerevole: questi sarebbero stati detenuti  una cassetta di sicurezza in Austria, tempestivamente perquisita e sequestrata con la collaborazione delle autorità locali, che hanno accolto un ordine investigativo europeo della Procura di Rimini e, successivamente, un ordine di congelamento emesso dal gip del tribunale romagnolo. 

Decisivo è stato il ruolo dell’Ufficio italiano presso Eurojust, l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale, che aiuta le Amministrazioni nazionali a collaborare per combattere il terrorismo e gravi forme di criminalità organizzata che interessano più di un Paese dell'UE. L’intervento di Eurojust, spiega la guardia di finanza, ha consentito di assicurare una rapida esecuzione a richieste di accertamenti bancari ed ha agevolato efficacemente il coordinamento e l’esecuzione in Austria del sequestro di beni.

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La prosecuzione delle indagini avrebbe permesso di quantificare le percentuali di guadagno e quindi il profitto dell’attività di commercializzazione dei falsi crediti confermando, secondo gli investigatori, l’ipotesi del riciclaggio a suo tempo contestata a 5 indagati, per cui il gip ha emesso un secondo decreto di sequestro preventivo per 9,7 milioni di euro che ha riguardato immobili, quote societarie e veicoli.

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