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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Fanghi "tossici" usati in agricoltura e venduti come fertilizzante: 15 indagati

Tre stabilimenti sono stati posti sotto sequestro dai Carabinieri Forestali del Gruppo di Brescia, insieme ad altri beni riconducibili a 7 società, che dal traffico illecito avrebbero guadagnato 12 milioni di euro

Oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti, 150 mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi ed altre sostanze inquinanti (l’equivalente di circa 5 mila tir), spacciati per fertilizzanti e smaltiti su circa 3 mila ettari di terreni agricoli nelle regioni Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna: sono questi i numeri dell’imponente traffico illecito di rifiuti che sarebbe stato messo in piedi tra il gennaio del 2018 e l’agosto del 2019 e su cui si sono concentrate le articolate indagini svolte dai Carabinieri Forestali del Gruppo di Brescia, coordinati dal Sostituto Procuratore della Repubblica il dottor Mauro Leo Tenaglia.

Il fulcro delle attività illecite sarebbe una società bresciana operante nel settore del recupero di rifiuti, dotata di tre stabilimenti industriali ubicati nei comuni di Calcinato, Calvisano e Quinzano d’Oglio, sottoposti a sequestro dai Carabinieri Forestali su ordine del Sostituto Procuratore della Repubblica subentrante, il dottor Teodoro Catananti, in esecuzione all’ordinanza emessa dal gip Elena Stefana, anche ai fini della successiva confisca.

Secondo quanto appurato dalle forze dell'ordine, l'azienda si occupava di ritirare, a fronte di lauti corrispettivi, i fanghi prodotti da numerosi impianti pubblici e privati di depurazione delle acque reflue urbane ed industriali, da trattare mediante un procedimento che ne garantisse l’igienizzazione e la trasformazione in sostanze fertilizzanti. Invece, per massimizzare i propri profitti, la ditta avrebbe omesso di sottoporre i fanghi contaminati al trattamento previsto, anzi, vi avrebbe aggiunto altri inquinanti, come l’acido solforico derivante dal recupero di batterie esauste.
Infine, per disfarsi di tali rifiuti e poter continuare il proprio ciclo produttivo fraudolento, li avrebbe classificati come “gessi di defecazione” e smaltiti su terreni destinati a coltivazioni agricole situati nelle provincie di Brescia, Mantova, Cremona, Milano, Pavia, Lodi, Como, Varese, Verona, Novara, Vercelli e Piacenza: a tale scopo avrebbe retribuito sei compiacenti aziende di lavorazioni rurali conto terzi (cinque bresciane ed una cremonese). 

Il meccanismo tramite il quale questa organizzazione sarebbe riuscita a smaltire a basso costo tali rifiuti, emerso anche grazie alle complesse attività di intercettazione telefonica e ambientale svolte dai Carabinieri Forestali, era piuttosto ingegnoso: secondo gli investigatori, i proprietari dei fondi venivano convinti ad accettare lo spandimento dei “gessi di defecazione” sui propri terreni con l’offerta a titolo gratuito di tali finti ammendanti, compresa la successiva aratura dei campi di cui si faceva carico la società di recupero dei rifiuti. Gli agricoltori quindi sarebbero stati allettati non tanto dalle supposte proprietà fertilizzanti del prodotto, quanto piuttosto dal risparmio sulle spese di lavorazione dei propri terreni.

Un business criminale che avrebbe fruttato alle sette società coinvolte oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti: per recuperare tali somme, i militari stanno procedendo in queste ore a sequestrare decine fra conti correnti ed altri rapporti bancari riferiti alle 15 persone indagate (tra le quali figurano due soggetti recidivi, già condannati dal Tribunale di Milano per analogo reato), oltre ad apporre i sigilli su fabbricati, terreni, autovetture e mezzi agricoli di loro proprietà, come disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari.
Il traffico di rifiuti non sarebbe però l’unico illecito emerso dalle indagini: vi è anche il reato di molestie olfattive, denunciato anche dalle centinaia di esposti e segnalazioni presentati nel tempo da Comitati e da cittadini, costretti ormai da anni a vivere barricati in casa con porte e finestre chiuse a causa dei miasmi ammorbanti prodotti durante il trasporto e lo spandimento dei fanghi, con pesanti ripercussioni sia sulla salute che sulla qualità della vita della popolazione.
È stato contestato inoltre il reato di discarica abusiva, in riferimento a tre lotti di terreno ubicati nel comune di Lonato del Garda, che sarebbero stati appositamente affittati dalla società e sistematicamente destinati all’accumulo dei finti “gessi di defecazione”, quando non erano disponibili terreni su cui effettuare il loro spandimento come “ammendanti agricoli”.

Infine è stato contestato il reato di traffico di influenze illecite ad un importante dirigente pubblico che, sfruttando le proprie relazioni con politici e funzionari apicali della Pubblica Amministrazione, avrebbe favorito la condotta criminale dell’azienda bresciana sequestrata, ottenendo in cambio incarichi di consulenza e altre regalie da parte del titolare di quest’ultima.

Il quadro emerso dalle indagini appare ancor più allarmante se si considera che l’omesso trattamento di igienizzazione dei fanghi ed il loro successivo spandimento sui terreni ha potenzialmente esposto ad un pericolo, oltre che l’ambiente, anche la salute pubblica: sin dall’inizio della pandemia dovuta al COVID-19, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato come il virus possa sopravvivere fino a 96 ore nei fluidi corporei e pertanto ha raccomandato che si intensificassero le attività di vigilanza sulla corretta esecuzione dei procedimenti di inertizzazione dei fanghi provenienti dagli impianti di depurazione, che invece in questo caso venivano completamente disattesi.

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