Rivelazione nel giorno del funerale di Ennio Trivellin. «Mio padre fu la spia che lo fece deportare»
Marco Menin ha condiviso il ricordo su Facebook. «Cercai di trovare le parole giuste per porgergli quelle scuse che mio padre non aveva trovato il coraggio di fargli prima di morire ed Ennio sciolse il mio imbarazzo con un sorriso dolcissimo»
Alle 16 di martedì scorso, 20 settembre, è stato celebrato nella chiesa di Santo Stefano a Verona il funerale di Ennio Trivellin. Un ultimo saluto che ha chiuso quasi come un cerchio un'esistenza lunga 94 anni. La cerimonia, infatti, si è tenuta nella stessa chiesa in cui Trivellin fu battezzato. E se la sua vita è stata un cerchio, Verona è stata un punto sulla circonferenza. Un punto da cui si può far partire il diametro per arrivare a Mauthausen, il campo di concentramento in cui Trivellin fu rinchiuso quando ancora non aveva compiuto 17 anni. A quell'orrore, Trivellin sopravvisse ma molti suoi amici no. E la memoria di quell'esperienza è sempre rimasta viva in colui che poi ha guidato la sezione veronese dell'Aned, l'associazione nazionale degli ex deportati nei campi nazisti.
E ad Aned di Verona è iscritto anche Marco Menin, professore oggi in pensione, che nel giorno del funerale di Trivellin ha scritto su Facebook il suo più bel ricordo dell'ex deportato veronese. Un ricordo legato anche ad una colpa del padre di Marco Menin. «Ennio Trivellin, col nome di battaglia Gervasio, era entrato nella resistenza a sedici anni: sentiva che doveva fare qualcosa per la sua patria e la sua gente, e decise di mettersi in gioco. Nell’ottobre del 1944, grazie alle informazioni di un delatore infiltrato fra i partigiani, lui e tutti i componenti del battaglione Montanari furono arrestati e deportati. Ennio fu fra i pochissimi a ritornare. Quel delatore aveva un nome che ho scoperto solo due anni fa: quello di mio padre Sergio, che quella guerra civile aveva scelto di combatterla dalla parte sbagliata della storia. Ennio l’ho incontrato solo una volta: quando mi presentai, mentre cercavo di trovare le parole giuste per porgergli quelle scuse che mio padre non aveva trovato il coraggio di fargli prima di morire, lui sciolse il mio imbarazzo con un sorriso dolcissimo che porterò con me come uno dei ricordi più cari».
«Con Trivellin scompare l’ultimo veronese testimone diretto della deportazione, e oramai è necessario capire come noi, qui e oggi, possiamo dare continuità ad una memoria fondante per la nostra democrazia - ha concluso Menin - Nella consapevolezza che era possibile fare la scelta giusta e quella sbagliata: dobbiamo rispettare le memorie di tutte le persone che hanno vissuto quella tragedia, ma senza dimenticare i crimini di chi ha scelto di riempire i vagoni che portavano ai lager».