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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Centro storico / Piazza Bra

Due o tre cose che so di lei (la Covid-19), ovvero «in medio stat vir(t)us»

«I posti di terapia intensiva in Italia sono circa 5.000, - scrive in una nota l'Associazione nazionale biotecnologi italiani - Di norma, circa il 90% è occupato da persone affette da altre patologie». Breviario contro il contagio per "cittadini semplici" al tempo del nuovo coronavirus

Un simpatico manifesto affisso in una delle città delle regioni maggiormente colpite dalla diffusione del nuovo coronavirus in Italia recita: «In media stat virus», con la scritta inserita all'interno di un televisore. L'accusa piuttosto esplicita è quella che in questi giorni molti stanno rivolgendo ai giornali, ai canali televisivi, o più in generale agli organi d'informazione, i cosiddetti media per l'appunto. Il "virus", dicono i complottisti di questa fazione, se lo sarebbero inventati i media, colpevoli di alimentare le paure per fare profitto. Ora, se da un lato le fake news purtroppo abbondano sempre e lo scatenare il panico evidentemente non è affatto una prassi utile in circostanze come queste, dall'altro lato anche fornire (illusorie) rassicurazioni eccessive o pensare che il nuovo coronavirus sia solo un'invenzione mediatica, è probabilmente un atteggiamento simmetrico ed opposto altrettanto dannoso e sbagliato.

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Vale dunque forse davvero la pena recuperare la locuzione originale degli antichi «In medio stat virtus» (la virtù sta nel mezzo), eventualmente aggiornata e distorta allo stato di cose attuale nella versione «In medio stat vir(t)us» (non ce ne vogliano troppo i latinisti), perché se è vero che tra panico e illusorie rassicurazioni è sempre bene collocarsi nel mezzo, è altrettanto vero che il virus è esattamente in mezzo a noi ed è bene dunque non dimenticarlo mai. Oggi come oggi, in un paese come il nostro la popolazione può essere suddivisa in due grandi fasce: gli scienziati da un lato, i "cittadini semplici" dall'altro. Chi scrive è un "cittadino semplice" che parla ad altri "cittadini semplici", avendo fatto però fino ad ora l'unica cosa sensata e responsabile da fare dinanzi all'epidemia da "nuovo coronavirus", e cioè ascoltare gli scienziati e comportarsi di conseguenza. Di seguito cercheremo quindi di comprendere nel modo più semplice possibile la situazione attuale nella sua inaggirabile complessità.

Poco più di una semplice influenza?

La risposta va data subito ed in modo secco: no. La Covid-19, cioè la malattia (la "d" sta per disease, in inglese appunto malattia) che può essere provocata dal nuovo coronavirus (virus che è stato chiamato "Sars-CoV-2" o "2019-nCoV"), non è una semplice influenza e nemmeno poco più di una semplice influenza. Il motivo per il quale si è venuta a creare una certa confusione è probabilmente il fatto che in alcuni casi i sintomi manifestati possono essere simili a quelli di un'influenza (febbre, tosse, raffreddore, in genere problemi alle vie respiratorie). Ciò però non deve far distogliere l'attenzione dai tratti distintivi della malattia Covid-19 che il nuovo coronavirus "Sars-CoV-2" può provocare in chi viene contagiato.

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La prima caratteristica negativa della Covid-19 la si ritrova nella percentuale di persone che necessitano di cure mediche di tipo ospedaliero e cioè «circa il 20% degli infetti», secondo quanto scrive il Dott. Giacomo Gorini (allievo del Dott. Roberto Burioni), vale a dire un numero di persone ben più alto di quanto non accada per una normale sindrome influenzale. A questo dato se ne aggiunge inoltre un altro ancor più importante: circa il 10% degli infetti totali, sempre secondo quanto scrive il Dott. Giacomo Gorini, necessita persino di cure in terapia intensiva. Questo è un dato di enorme importanza che va tenuto ben presente sempre, perché costituisce, insieme all'assenza di un vaccino specifico per contrastare la diffusione del nuovo coronavirus, il vero motivo delle tante e prolungate misure di sicurezza che stanno venendo applicate in questi giorni in Italia.

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Non esiste un vaccino specifico al momento, circa il 10% degli infetti necessita di cure in terapia intensiva e, aggiungiamo, la malattia Covid-19 si distingue inoltre da una semplice influenza in quanto si è visto che ha la tendenza a sviluppare nei malati delle polmoniti che non sono curabili attraverso gli antibiotici, in quanto di origine virale e non batterica, dunque molto più complesse da gestire per gli stessi medici che si trovano a doverle curare nei vari pazienti. Tutto questo riguarda più strettamente da vicino le persone anziane, ma anche chi si trova indipendentemente dall'età già affetto da altre patologie, o per le persone immunodepresse e, in generale, non si può comunque escludere a priori possa coinvolgere anche i soggetti giovani. 

A fronte di questo scenario, dando ovviamente per assodato che è necessario fare il possibile per salvare ogni vita umana, dalle persone più anziane e deboli a quelle più giovani e meno esposte a rischi, la vera fonte di preoccupazione attuale è legata alla tenuta del Sistema sanitario nazionale (la Regione Veneto ha recentemente, non a caso, aumentato i posti letto in tutte le Ulss), in particolare per quel che riguarda il rischio di "saturazione" dei posti disponibili nei vari ospedali in terapia intensiva. Una cosa quest'ultima che, forse, non è stata sufficientemente chiarita sin da subito al grande pubblico e ciò ha contribuito a creare una certa confusione tra chi sovrastimava la letalità del virus e chi sottostimava la complessità di gestione dell'epidemia e gli inevitabili rischi collegati. Chi sta cercando di fare massima chiarezza su questo punto nelle ultime ore sono, ancora una volta, degli scienziati, ed è sempre bene affidarsi a loro in queste fasi delicate. L'Associazione nazionale biotecnologi italiani, in particolare, ha spiegato così nei numeri la situazione attuale:

«I posti di terapia intensiva in Italia sono circa 5.000. - scrive in una nota l'Associazione nazionale biotecnologi italiani - Di norma, circa il 90% è occupato da persone affette da altre patologie. Questo significa che i posti effettivi possono essere stimati in circa 500. In Lombardia i posti letto sono 900, con una disponibilità effettiva stimata di circa 90. Il fatto che oggi i ricoverati in terapia intensiva in Lombardia per Covid-19 siano 127 indica che questa Regione sta già facendo un grande sforzo per gestire la situazione che è tuttora in una fase esponenziale. Rallentare la malattia dunque non significa solo ridurre lo stress sul sistema sanitario, - conclude l'Associazione nazionale biotecnologi italiani - ma anche permettergli di attrezzarsi predisponendo ad esempio nuovi posti per la terapia intensiva».

Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani Covid-19 coronavirus

Il grafico sull'evoluzione dell'epidemia e l'impatto sul Sistema sanitario nazionale - fonte Associazione nazionale biotecnologi italiani

Il senso civico

Chi vi scrive, se dovesse ammalarsi di Covid-19 molto probabilmente ne uscirebbe vivo e senza sviluppare gravi sintomi respiratori (così dicono finora le statistiche che rivelano, «una persona su sei con Covid-19 si ammala gravemente e sviluppa difficoltà respiratorie»). Questo tuttavia non lo esenta dal rispettare le norme e prescrizioni vigenti in questa fase, poiché il rischio è quello potenzialmente di farsi diffusori, magari "asintomatici", di un virus che per altri potrebbe invece rivelarsi fatale (soggetti con complicanze, anziani, immunodepressi etc.).

Allo stesso modo, come appena visto, se il contagio non fosse circoscritto per tempo ed il numero di coloro che necessitano di cure ospedaliere dovesse esplodere fino a superare le risorse che il Sistema sanitario nazionale può garantire, questo potrebbe mettere a repentaglio la vita anche di quei soggetti che per caratteristiche si presentano oggi come meno esposti al nuovo coronavirus. Insomma evitare la "saturazione" dei posti in terapia intensiva e, più in generale di sovraccaricare di lavoro gli ospedali e i pronto soccorsi, è un dovere che riguarda tutti i cittadini, nessuno escluso, indipendentemente dalla fascia di età e dalle loro caratteristiche, perché l'eventuale collasso del Sistema sanitario nazionale avrebbe conseguenze nefaste per chiunque. 

A che punto siamo oggi con l'epidemia?

Secondo l'Associazione nazionale biotecnologi italiani, che fa riferimento ad un report a firma di Enrico Bucci (Temple University e membro del Patto Trasversale per la Scienza - PTS) e Enzo Marinari (Università La Sapienza), «emerge con chiarezza che l’epidemia in corso è ancora nella sua fase iniziale. Il tempo di raddoppio dei casi è stato stimato essere attorno ai 2,4 giorni. Non è il momento di abbassare la guardia e sospendere le misure di mitigazione, ed anzi i ricercatori suggeriscono di espanderne alcune ove possibile». Ecco perché l'appello al "senso civico" di tutti gli italiani è oggi più che mai necessario. Per evitare che la situazione sfugga di mano è infatti necessario ascoltare e rispettare le prescrizioni che il governo predisporrà per i prossimi giorni, attuandole nella consapevolezza che ciascuno deve fare la propria parte, indipendentemente dal proprio stato di salute e dalle proprie caratteristiche (età, malattie pregresse, etc.).

La paura e l'angoscia

«Che cos’è lo stigma sociale? - si legge sul sito del Ministero della Salute - Lo stigma sociale, nel contesto della salute, è l’associazione negativa tra una persona o un gruppo di persone che hanno in comune determinate caratteristiche e una specifica malattia. In una epidemia, ciò può significare che le persone vengono etichettate, stereotipate, discriminate, allontanate e/o sono soggette a perdita di status a causa di un legame percepito con una malattia. Perché il Covid-19 sta causando tanto stigma? I motivi sono tre: è una malattia nuova di cui si sa ancora poco; le persone hanno spesso paura dell’ignoto; ed è facile associare questa paura agli "altri"». 

Si ha paura di quel che si conosce, si prova angoscia per quel che non si conosce. Il nuovo coronavirus anche in questo caso sta nel mezzo, poiché vi sono aspetti che la scienza sta celermente imparando a conoscere, altri che riechiederanno più tempo per essere studiati e la scoperta di un vaccino è evidentemente il primo tra questi. Un altro evidente fattore d'angoscia legato al nuovo coronavirus è la possibilità che possa ulteriormente mutare, in meglio (non si può escludere) così come però anche in peggio diventando un avversario più difficile da sconfiggere. 

Qual è dunque l'atteggiamento emotivo corretto da mantenere dinanzi all'epidemia? Di certo non è il panico, ma come detto più sopra nemmeno l'eccessiva ed illusoria sicumera dinanzi ai rischi e alle conseguenze del proliferare del contagio. È necessario piuttosto assumersi tutti quanti responsabilmente gli impegni che la sfida al nuovo coronavirus ci chiama, in quanto cittadini, ad affrontare. Lavarsi frequentemente le mani, rinunciare per un po' a cinema, teatri e notti brave in discoteca, ma anche accettare provvedimenti come la chiusura delle scuole, sono tutti comportamenti che richiedono certamente sacrifici, in ogni caso tollerabili e meno invasivi rispetto a quelli che gli scenari più catastrofici, eventualmente, ci imporrebbero in futuro qualora le prime pratiche di contenimento della diffusione del virus dovessero fallire. 

Le buone pratiche

Le principali buone pratiche che tutti noi siamo chiamati a rispettare sono le seguenti:

  • Lavati spesso le mani con acqua e sapone o con soluzioni a base di alcol per eliminare il virus dalle tue mani.
  • Mantieni una certa distanza – almeno due metri – dalle altre persone, in particolare quando tossiscono o starnutiscono o se hanno la febbre, perché il virus è contenuto nelle goccioline di saliva e può essere trasmesso col respiro a distanza ravvicinata
  • Evita di toccarti occhi, naso e bocca con le mani se presenti febbre, tosse o difficoltà respiratorie    

Se si presentano febbre, tosse o difficoltà respiratorie o si ha il sospetto di essere stato in stretto contatto con una persona affetta da malattia respiratoria Covid-19: 

  • Rimani in casa, non recarti al pronto soccorso ma chiama al telefono il medico di famiglia o il pediatra. Oppure chiama il numero verde regionale. Utilizza i numeri di emergenza 112/118 soltanto se strettamente necessario.  

I dieci comportamenti da seguire:

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I comportamenti corretti - Luca Zaia Facebook

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