«Quarto suicidio nel carcere di Montorio nell'ultimo anno: serve supporto psicologico»
La Camera Penale Veronese si è espressa con una nota dopo la nuova tragedia registrata nella casa circondariale: «È evidente che il carcere, così com’è strutturato oggi, non è purtroppo il luogo adatto per attuare per queste persone il fine rieducativo della pena»
«Ancora un suicidio nel carcere di Montorio, il quarto nell’ultimo anno. E da gennaio oltre sessanta sono le persone che si sono tolte la vita in cella». Inizia così la nota della Camera Penale Veronese la nuova tragedia purtroppo registrata nella casa circondariale di Verona. Episodi che starebbero diventando sempre più numerosi: «Assistiamo esterrefatti a un incremento dei casi in cui il disagio della vita detentiva diventa insopportabile oltre ogni umana comprensione, spingendo chi lo prova a compiere il gesto estremo.
Leggiamo, ancor più esterrefatti, che il problema sarebbe da individuare nel regime delle cosiddette “celle aperte”, che costituisce ormai un diritto acquisito dal 2015 per sopperire al sovraffollamento carcerario, in seguito alla condanna dell’Italia da parte della CEDU per il trattamento inumano e degradante riservato ai detenuti nelle nostre carceri, avvenuta nel 2013.
Quando leggiamo di carcere, spesse volte leggiamo argomentazioni fuorvianti, di certo suggestive per chi le legge senza avere consapevolezza o conoscenza della realtà e della quotidianità che si vive in regime di detenzione».
Secondo l'associazione, il verificarsi di questi gesti estremi è dovuto soprattutto al mancato aiuto psicologico a questi individui, spesso non in grado di affrontare determinate difficoltà: «Il problema non risiede nelle celle aperte, che – come detto – sono un diritto dei detenuti. Il problema è la carenza di risorse e strumenti in grado di sopportare il percorso psicologico delle persone recluse più in difficoltà.
E ciò, nonostante il carcere di Verona sia una delle strutture maggiormente in grado, in Italia, di seguire i detenuti, di dare attenzione in situazioni di disagio psicofisico; eppure, il fatto che anche qui nell’ultimo anno abbiamo a ben quattro casi di persone che persone che si sono tolte la vita è indicativo di uno stato di malessere generale.
Un valido aiuto dovrebbe venire dal Consiglio di Aiuto Sociale, previsto dal codice dell’ordinamento penitenziario già da diversi anni ma purtroppo mai attuato: è un organismo composto dal tribunale, dai Servizi sociali, dalle comunità assistenziali e da rappresentanti delle stesse carceri, che dovrebbe mirare a reintrodurre gradualmente nel tessuto sociale i detenuti che hanno terminato di scontare la propria condanna, ma che non hanno strumenti quali casa e/o lavoro per poter vivere senza più commettere reati.
Non va dimenticato che il 70% delle persone rinchiuse in carcere ha problemi di tossicodipendenza, e il 50% ha anche disturbi psichici».
La Camera Penale Veronese conclude indicando le figure che permetterebbero alle case circondariali di svolgere il loro compito di rieducazione del detenuto: «È evidente che il carcere, così com’è strutturato oggi, non è purtroppo il luogo adatto per attuare per queste persone il fine rieducativo della pena, e ciò anche in ragione del fatto che – al suo interno – vi è carenza di figure come psicologi, psichiatri ed educatori che possano occuparsi di loro».