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Dall'Età del Bronzo al periodo romano, nuovi ritrovamenti nell'Alto Garda

I rinvenimenti sono stati fatti nel sito archeologico di Doss Penede, a Nago, durante scavi a cui collaborano anche studenti dell'università di Verona

Vicino all'abitato di Nago, in provincia di Trento, su una terrazza naturale affacciata sul Lago di Garda, il sito archeologico di Doss Penede non smette di stupire. Durante l'ultima campagna di scavo condotta dall'università di Trento, con la Soprintendenza per i beni culturali e il Comune di Nago-Torbole, sono stati portati alla luce nuovi rinvenimenti che vanno dall'Età del Bronzo alla seconda Età del Ferro fino al periodo romano. Scoperte fatte grazie agli scavi iniziati nel 2019 e a cui hanno collaborato studenti e studentesse dell'ateneo di Trento e delle università di Verona, Ferrara, Modena e Reggio Emilia.

Studenti nel sito di Doss Penede (Foto Università di Trento - Federico Nardelli)

Doss Penede si rivela dunque una fonte preziosissima per la storia e per l'archeologia dell'Alto Garda. «Doss Penede - ha raccontato Emanuele Vaccaro, docente di archeologia classica dell'università di Trento e responsabile scientifico dello scavo - conosce tre grandi periodi di occupazione. La prima, la più antica, risale all’Età del Bronzo Recente, tra la metà del XIV secolo a.C. e il secolo successivo. Il sito si caratterizza poi per un’espansione significativa nella seconda Età del Ferro, quando il territorio altogardesano era abitato dalle popolazioni retiche. L’ultima grande occupazione si colloca tra la romanizzazione e la tarda età imperiale, all’incirca tra la metà del I secolo a.C. e gli inizi del IV secolo d.C. È un sito molto esteso, più di tre ettari, capillarmente occupati, come sembrano dimostrare i risultati della campagna 2022. Quello che abbiamo scoperto finora ci permette di ipotizzare che l’insediamento non sia nato come iniziativa spontanea di una comunità locale, ma piuttosto come progetto organico, frutto di un’iniziativa pubblica, probabilmente legata alla città di Brescia, allora Brixia».

Ritrovamenti nel sito di Doss Penede (Foto Università di Trento - Federico Nardelli)

«Questo è un luogo estremamente importante - ha aggiunto Cristina Bassi, archeologa della Soprintendenza per i Beni Culturali - In primo luogo per l’estensione, ma anche per lo stato di conservazione stupefacente e per il ruolo particolare di questo luogo rispetto alle testimonianze emerse finora nell’Alto Garda. Le prospettive di ricerca sono davvero importanti, soprattutto considerando che fino ad ora è stata indagata una minima parte dell’area. Doss Penede è anche un ottimo esempio di collaborazione fra amministrazioni, in cui ciascuna ha un ruolo specifico in base alla propria vocazione: la Soprintendenza cura il coordinamento, la supervisione e l’organizzazione; l'università di Trento mette in campo le proprie competenze e offre opportunità a studenti e studentesse; il Comune dà un grande sostegno all’iniziativa, con un impegno che non è solo economico, ma anche intellettuale e progettuale».

Scavi nel sito di Doss Penede (Foto Università di Trento - Federico Nardelli)

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