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Covid-19, ritorno alle zone colorate? Per Ristoratori Veneto «sarebbe insostenibile»

La portavoce dell'associazione, Alessia Brescia, spiega: «Dal primo lockdown a oggi abbiamo accettato tutto, mentre tasse e costi fissi rimanevano a fronte di “sostegni” che sono briciole rispetto alle perdite di fatturato»

«Un ritorno al passato sarebbe insostenibile».L’associazione Ristoratori Veneto, nata a Verona nel giugno scorso e che rappresenta circa 1.500 attività rappresentate in tutta la regione, manifesta tutta la sua «preoccupazione, sconcerto e rabbia» per le indiscrezioni e allerte che sembrano prefigurare un ritorno a breve alle zone colorate.

«Dopo quasi due anni ci sembra assurdo e paradossale dover discutere nuovamente di zone gialle e restrizioni che andrebbero a colpire sempre le stesse categorie lavorative e porterebbero di fatto i locali a smettere nuovamente di lavorare — spiega Alessia Brescia, portavoce di Ristoratori Veneto & Ho.re.ca. —. Il governo ha il dovere di pensarci bene prima di tornare indietro. La nostra categoria è stanca. Siamo professionisti con il sudore sulla fronte che ogni giorno lavorano con le proprie mani per offrire un servizio sicuro e di qualità. Noi sappiamo cosa significa servire ai tavoli o cucinare perché viviamo tutti i giorni la realtà imprenditoriale di un ristorante o di un bar. Il grembiule non lo togliamo più».

Dopo aver lanciato l’iniziativa #iononcisto, con la locandina esposta dai soci per protestare contro l’ipotesi del green pass obbligatorio per entrare in bar e ristoranti, Ristoratori Veneto & Ho.re.ca. conferma il suo dissenso anche in tema di eventuali nuove chiusure: «L’hashtag #iononcisto vale anche per nuove chiusure e nuove zone a colori, insomma non ci stiamo a fallire — spiegano da Ristoratori Veneto—. Senza una luce di ottimismo, l’Italia subirà nuovamente il contraccolpo delle strade deserte e i nostri locali pagheranno il pegno dell’isolamento in casa. Dal primo lockdown a oggi abbiamo accettato tutto: le chiusure, le riaperture con solo asporto e take-away, le spese per sanificare e mettere in sicurezza i nostri locali, di nuovo le chiusure forzate e di nuovo le riaperture a capienze limitate. Il tutto mentre tasse e costi fissi rimanevano a fronte di “sostegni” che sono briciole rispetto alle perdite di fatturato. Il diritto al lavoro non interferisce con il diritto alla salute: lo dimostra il fatto che le nostre attività, avendo seguito le regole di sicurezza indicate proprio dal Governo, non siano fonte di contagi. Se il Governo non dovesse ascoltarci la nostra protesta andrà comunque avanti senza paura».

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