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Pensioni, anche a Verona le donne percepiscono in media la metà degli uomini

La pensione di vecchiaia media nel settore privato degli uomini veronesi è 1.569,95 euro, mentre l'importo medio tra le donne è di appena 801,06 euro

Anche a Verona, le donne percepiscono in media pensioni pari alla metà di quelle degli uomini. La conferma del divario di genere prodotto negli anni è leggibile nell'ultimo aggiornamento comunica dall'Inps sulle statistiche delle pensioni appartenenti ai fondi di gestione dei lavoratori privati. E per il sindacato del pensionati Spi Cgil di Verona, la differenza è figlia del fatto che gli uomini hanno potuto beneficiare di continuità lavorativa e di carriera, potendo quindi beneficiare in seguito di una pensione mediamente dignitosa, Mentre le donne hanno dovuto farsi carico del lavoro di cura e sono state coinvolte in grandi crisi industriali e quindi per loro la situazione è critica. I dati delle donne evidenziano infatti un numero di pensioni maturate nettamente inferiore e importi quasi dimezzati rispetto agli uomini.

TABELLE DELLE PENSIONI PERCEPITE IN ITALIA, IN VENETO E NEL VERONESE ALL'1 GENNAIO 2021

Nella provincia di Verona, all'1 gennaio 2021, vengono pagate ogni mese 260.871 pensioni di importo medio di 924,81 euro. Il numero comprende 223.336 prestazioni previdenziali di importo medio mensile di 1.075,68 euro e 37.535 prestazioni assistenziali di importo medio mensile di 467,95 euro. E l'assistenza a Verona pesa per il 14,39% del totale delle pensioni, una percentuale sensibilmente inferiore alla media nazionale che è del 22,38%.
In linea con il dato nazionale, il 45% delle pensioni veronesi (116.167) vengono percepite da uomini e il restante 55% (144.704 pensioni) da donne. Il vantaggio a favore delle donne è tuttavia solo apparente: quasi una pensione femminile su tre, precisamente il 32,13%, pari a 46.495 unità, è infatti di categoria superstite (di reversibilità o indiretta) quindi mutuata dal coniuge deceduto. L'incidenza delle "superstiti", che fruttano in media circa 680 euro al mese per le donne e 480 per gli uomini, tra i maschi è assai più ridotta: è di questo tipo solo il 5,53% delle pensioni maschili.
Al contrario, la diffusione delle pensioni di vecchiaia tra le donne è molto meno frequente che tra gli uomini: se il 77,63% delle pensioni maschili veronesi è una pensione di vecchiaia, tra le donne questa percentuale si abbassa al 49,99% (comunque più alta delle media nazionale che si ferma al 40,23%). L’importo mensile medio di una pensione di vecchiaia a Verona è di 1.227,72 euro (lievemente inferiore alla media nazionale che è di 1.246,92 euro) ma, come i famosi polli di Trilussa, anche questa media nasconde grosse disparità: se gli uomini percepiscono in media 1.569,95 euro, tra le donne l’importo medio di una pensione di vecchiaia del settore privato è di appena 801,06 euro, con minimi tra le pensionate dei fondi dei lavoratori autonomi che presentano medie mensili di appena 709,42 euro.
L'Inps, pur ammettendo che a livello nazionale ben il 59,6% delle pensioni vigenti (pari a 10.608.976 unità) presenta un importo mensile inferiore a 750 euro, e che questa percentuale sale addirittura al 72,6% tra le donne, avverte che il dato non è immediatamente indicativo di povertà, dal momento che molti pensionati sono titolari di più prestazioni pensionistiche o comunque di altri redditi. L’istituto calcola che le pensioni legate a requisiti reddituali bassi, quali integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile siano in Italia 4.009.862, dunque il 22,5% del totale delle pensioni o, se si preferisce, il 43% dei trattamenti inferiori ai 750 euro mensili. «Un Paese che voglia guardare al futuro, tuttavia, dovrebbe fare un ragionamento diverso - ha commentato Adriano Filice, segretario generale Spi Cgil Verona - A rischio povertà non sono soltanto le donne a causa dei buchi contributivi accumulati a seguito del lavoro di cura, ma anche i giovani, costretti ad interruzioni della carriera lavorativa a causa della precarietà, e tutte le categorie fragili dei non autosufficienti che ricevono sostegni a dir poco inadeguati rispetto ai loro bisogni. Ribadiamo con forza l’urgenza e l’indifferibilità di un grande intervento riformatore che riconosca il lavoro di cura di genere in quanto le donne sono state e sono le più penalizzate, molte volte costrette ad interrompere il proprio rapporto di lavoro per accudire i figli e assistere i familiari fragili e obbligate ad accettare lavori part time o precari per rientrare nel mondo del lavoro. Inoltre chiediamo con forza una "pensione di garanzia" che riconosca il lavoro precario delle giovani generazioni riconoscendo anche a loro un futuro pensionistico pubblico di dignità. Dobbiamo sentirci responsabili di quello che le giovani generazioni hanno subito per un lavoro che negli anni è diventato sempre più precario. L’inserimento di una legge per la non autosufficienza tra gli obiettivi del Recovery Fund a protezione degli oltre tre milioni di italiani non autosufficienti fa ben sperare, ma la strada da fare in direzione di una maggiore equità sociale è ancora lunga».

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