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Venerdì, 29 Marzo 2024
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L'oncologa Luisa Carbognin premiata come “Veronese dell’Anno 2018”

La dottoressa sta completando, all’università di Verona, un dottorato di ricerca dedicato alla caratterizzazione del tumore al seno di istotipo lobulare, sottotipo che rappresenta circa il 15% dei tumori al seno

Il sindaco Federico Sboarina, martedì mattina, ha consegnato alla dottoressa Luisa Carbognin il riconoscimento di “Veronese dell’Anno 2018”. A causa di impegni professionali, infatti, la giovane medico, che oggi lavora al Policlinico Gemelli di Roma, non aveva potuto essere presente alla cerimonia di consegna delle pergamene che si è tenuta la settimana scorsa.

La dottoressa Carbognin, originaria di Ronco all’Adige, sta completando, all’università di Verona, un dottorato di ricerca dedicato alla caratterizzazione del tumore al seno di istotipo lobulare, sottotipo che rappresenta circa il 15% dei tumori al seno. Grazie alle sue ricerche, che hanno aperto nuove prospettive di terapia, la ricercatrice veronese è stata premiata a Chicago, lo scorso giugno, con il Merit Award dell’American Society of Clinical Oncology.

Premiati i veronesi dell'anno 2018

«Il premio ‘Veronese dell’Anno’ – ha detto il sindaco Sboarina – vuole essere il riconoscimento a chi ha saputo raggiungere grandi traguardi, anche a livello internazionale, nella normalità di tutti i giorni. Sono persone, tra cui la dottoressa Carbognin, che attraverso il proprio impegno e la propria professionalità contribuiscono a dare grande lustro a Verona e all’Italia. Questo premio, quindi, è per le nostre eccellenze silenziose, per gli eroismi quotidiani che stanno alla base dei grandi successi dei nostri concittadini. Risultati eccezionali di cui siamo estremamente orgogliosi».

La giovane oncologa ha ringraziato il sindaco e l’Amministrazione per il riconoscimento molto gradito. «Ho scelto si specializzarmi in oncologia – ha spiegato – perché mi piace la ricerca e in quest’ambito c’è ancora molto da scoprire e capire. Ma il valore aggiunto è quando si comprende l’importanza dell’aspetto sociale, quando ci si rende conto che la ricerca non può prescindere dalla persona, dalla presa in carica del paziente e, spesso, della sua famiglia. Il pensiero che ti viene e che ti dice ‘se si potesse fare qualcosa in più’ è la molla che ti spinge avanti».

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