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Martedì, 23 Aprile 2024
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Negozi cannabis light da chiudere? Come orientarsi tra i fumi di mille polemiche

Tanti gli attriti politici, ma proviamo a non fare "di tutta un'erba un fascio"

Il tema della chiusura dei negozi che vendono "cannabis light" continua ad essere di stretta attualità, ma intorno alla questione si è generata molta confusione. Proviamo dunque a dipanare i "fumi" delle controversie politiche cercando di orientarci per, semplicemente, comprendere il problema. Per farlo iniziamo da un'espressione alla quale si è ormai piuttosto abituati: «Spacciatori di morte». Affermare che la droga possa uccidere è senz'altro ragionevole in termini generali, ma si dovrebbero pur sempre fare delle distinzioni, cosa che invece raramente avviene nel discorso politico corrente. Non siamo medici, ma difficilmente troveremo qualcuno in camice bianco disposto ad affermare che uno spinello di marijuana possa, di per se stesso, condurre alla morte. Il che non vuol dire, badiamo bene, affermare che la marijuana non abbia effetti anche nocivi sull'organismo, ma, bisogna chiedersi, in quali dosi? Dopo quanto tempo? E che tipo di marijuana? E poi, non esistono forse altre sostanze che assumiamo in molti, quotidianamente e legalmente, che, parimenti, in determinate dosi e dopo un certo tempo, producono effetti nocivi sull'organismo? Pensiamo all'alcol certo, ma anche al semplice caffé, piuttosto che al tabacco. Ora, è evidente che nessuno di noi si sognerebbe mai di dare dello «spacciatore di morte» al proprio barista preferito, mentre quando si parla di marijuana si diviene immediatamente molto più sospettosi e questo avviene, con ogni probabilità, soprattutto perché in Italia la marijuana è considerata una sostanza stupefacente illegale. 

È cosa risaputa che in Olanda la stessa sostanza stupefacente non è tuttavia illegale (entro certi limiti), il che non significa che non sia considerata una sostanza stupefacente, bensì che lo Stato olandese ha deciso di adottare, almeno fino ad oggi, una politica di "gestione e controllo" diretto sulla sua produzione e diffusione nel territorio. Come scriveva anni fa Simon Kuper sul Sole24Ore, «è sbagliato pensare che lo stato olandese sia favorevole alla cannabis o alla prostituzione (legale nei Paesi Bassi). In verità, lo stato olandese è pragmatico. Preferisce che alcune attività a rischio siano sotto gli occhi di tutti (dove le si può regolamentare e tassare), mentre altri paesi le rendono clandestine, relegandole laddove prevale il disordine». Provate ad immaginare uno Stato qualsiasi dell'Europa che oggi, nel 2019, decida di dichiarare illegale ogni sostanza alcolica, a quel punto si verrebbe a creare probabilmente un mercato del vino e dei liquori clandestino (negli Usa, storicamente, ne sanno qualcosa sì...). Ora, lo sguardo che noi dall'Italia, magari proprio da Verona durante il Vinitaly, rivolgeremmo sul quell'ipotetico Stato europeo dove il vino è illegale, non dovrebbe essere poi troppo dissimile da quello che gli olandesi di oggi rivolgono agli altri Stati europei dove in materia di marijuana vige una legge proibizionistica. 

Chi ha ragione e chi ha torto tra l'Olanda di oggi e, poniamo, l'Italia? Non sta a noi dirlo e non è scopo del presente articolo prendere posizione al riguardo. Elemento interessante per chiunque voglia farsi un'opinione, può però essere il prendere in considerazione una classifica scientifica circa le sostanze ritenute maggiormente pericolose. Ne esistono ovviamente diverse, l'importante è che sia affidabile dal punto di vista medico. Quella pubblicata nel 2018 da una delle riviste mediche tra le più autorevoli, The Lancet, e divulgata anche da MedicinaOnline, si suppone lo sia. In tale classifica al primo posto vi troviamo l'eroina, al secondo la cocaina, mentre per arrivare alla cannabis si deve scendere fino all'11° posto. Il tabacco si trova invece al 9° posto, mentre per l'alcol si deve risalire fino al 5°. Per problematizzare ulteriormente la questione, a proposito di tale classifica si potrebbe notare come invece l'ecstasy che, in taluni casi di cronaca, pare abbia condotto a morte chi ne abbia fatto uso, certo magari assunta in cocktail di droghe od alcool, si posizioni soltanto al terz'ultimo posto per pericolosità media.

classifica droghe pericolosità 2018

La classifica tratta da The Lancet e divulgata da MedicinaOnline

Dopo questo noioso e pur tuttavia necessario preambolo, proviamo ad addentrarci nei cavilli della questione "cannabis light". Il tema, evidentemente, è che di marijuana è possibile trovarne un'infinità di generi e tipi, differenti per qualità ed "efficacia" dal punto di vista degli effetti stupefacenti. La cosiddetta "cannabis light" della quale oggi molto si parla e che è possibile trovare in Italia venduta legalmente in appositi negozi, è detta appunto "leggera" perché contiene un tasso di THC (cioè a dire il principio attivo che genera lo "sballo") in quantità talmente minime da non produrre effetti sulla mente. Anche qui andranno fatte delle precisazioni, ma intanto chiariamo il punto: nei negozi in Italia si vende cannabis con THC non superiore allo 0,6%. Al riguardo, il Dott. Giovanni Serpelloni, Direttore del Dipartimento delle Dipendenze Verona ULSS 9, ma docente anche in Florida e dalle posizioni solidamente contrarie alla "cannabis light", in una recente intervista a Il Mattino spiega: «Al di sotto dello 0,4% il THC non produce effetti stupefacenti». Sempre il Dott. Serpelloni rivela che «in natura la pianta produce tra il 4 e il 6% di THC». Ora, quando il Dott. Serpelloni afferma che «al di sotto dello 0,4% il THC non produce effetti stupefacenti», sa benissimo che nei negozi dove viene venduta la "cannabis light" se ne può vendere anche con THC, poniamo, allo 0,5% o 0,6%, lasciando dunque implicitamente intendere che in tal caso vi sarebbero potenziali «effetti stupefacenti» nella merce regolarmente venduta. Tuttavia, lo stesso Dott. Serpelloni sa anche che nella marijuana che si trova sul mercato nero, cioè quella effettivamente consumata per lo "sballo", piuttosto che nei Paesi dove viene venduta a scopo "ricreativo", quindi facendo leva sui suoi effetti stupefacenti, il tasso di THC contenuto è di gran lunga superiore ad ogni qual si voglia "zero virgola". Prendiamo ad esempio una ricerca accademica sulla cannabis legale venduta a scopo ricreativo nello Stato di Washington e vi scopriremo che, in media, il tasso di THC contenuto oscilla tra il 17,7% e il 23,2%. In linea di massima è possibile cioé affermare che la cannabis normalmente sfruttata per i suoi effetti stupefacenti contenga un tasso di THC ben al di sopra dello 0,6%: solitamente si indica un range che va dal 7% per qualità "fiacche" fino al 27% nei casi di qualità particolarmente forti.

Tenere presenti questi numeri è essenziale per provare ad orientarsi tra le varie posizioni. Tra quelle più radicali vi è senza dubbio quella dei consiglieri della Lega che a Verona, per sostenere le recenti uscite polemiche del leader Matteo Salvini, hanno presentato nella mattina di oggi, sabato 11 maggio, un ordine del giorno in cui si chiede di «mettere in atto tutte le possibili iniziative, secondo i sensi della legge, per controllare la diffusione dei punti vendita della cannabis light». I consiglieri hanno poi annunciato per lunedì un incontro educativo con i ragazzi dell’Istituto Cangrande, al quale dovrebbe partecipare anche lo stesso Dott. Giovanni Serpelloni. Sempre nel medesimo contesto, stamane il consigliere leghista Zelger ha dichiarato: «Non è tollerabile che la vendita di sostanze psicotrope venga effettuata davanti alle scuole e in prossimità dei luoghi più sensibili come fosse un invito a farsi le canne». Tale dichiarazione è interessante, poiché pur affermando una cosa tecnicamente non del tutto corretta, ci consente di affrontare ancora più a fondo la questione "cannabis light".

«Psicotropo» è una parola composta che deriva da altri due vocaboli, vale a dire psyché, la psiche appunto, la mente, e tropo, una parola quest'ultima che indica una direzione, o meglio il volgersi verso qualcosa, il direzionarsi verso un luogo. «Psicotropo», in sostanza, altro non vuol dire che «diretto verso la mente». Come si è visto in precedenza, la cannabis venduta nei negozi in Italia ha un tasso di THC talmente minimo da non poter essere considerata una sostanza «psicotropa», e proprio per questo ne viene concesso l'acquisto legalmente. Ciò a cui forse il consigliere Zelger stava pensando quando affermava che «non è tollerabile la vendita di sostanze psicotrope», è tuttavia una ricerca condotta dallo stesso Dott. Giovanni Serpelloni per conto dell'istituto di medicina legale dell'Università di Verona in collaborazione con gli atenei di Ferrara, Parma e Milano. In base a questo studio, infatti, è stato provato che, tramite una procedura particolare e con strumentazione apposita, è possibile estrarre, cumulando 30 grammi di prodotto acquistato in un negozio di "cannabis light", fino a 15 milligrammi di THC (sul sito di San Patrignano dove la ricerca era stata presentata si parla di 25 milligrammi di THC). Nella sua intervista a Il Mattino citata in precedenza, il Dott. Serpelloni specificava in merito che «la dose minima drogante, che produce cioè effetti psicoattivi, è di 4 milligrammi». Al riguardo, tuttavia, in un recente articolo dedicato alla polemica sui negozi di "cannabis light" che prendeva in considerazione anche la ricerca dello stesso Dott. Serpelloni, l'AGI ha fatto notare che «per arrivare a un 2,5% di THC (un sesto scarso di quanto ci sia normalmente nella cannabis illegale in Italia, fumata a scopo ricreativo) si devono acquistare 20-30 grammi di cannabis legale. Praticamente per fumare uno spinello molto leggero si dovrebbero spendere centinaia di euro». Insomma, il gioco non varrebbe poi molto la candela. In realtà, la preoccupazione di chi come i consiglieri della Lega o il Dott. Serpelloni osteggia apertamente i negozi "cannabis light", è forse anzitutto di natura pedagogica. Tali negozi sarebbero cioè "diseducativi", poiché diminuirebbero il senso del rischio nei confronti del consumo di cannabis. Qualcuno potrebbe allora sostenere che anche un'enoteca svolge altrettanto bene tale funzione nei confronti del vino. Altro tema è invece quello della cosiddetta gateway drug theory, vale a dire la teoria in base alla quale la marijuana, in alcune persone (in un'intervista il Dott. Serpelloni parla di un 15/20% dei casi), dopo l'assunzione può stimolare a livello cerebrale la ricerca di droghe a più alto potenziale.

Alla luce di tutto ciò, resta il fatto che, al momento, in Italia nei negozi "cannabis light" si vendono prodotti in modo legale, in quanto a regolamentarne la vendita è una legge specifica, la 242/2016. In realtà, anche in questo caso bisognerebbe fare le opportune specificazioni, poiché in teoria la cannabis acquistata in tali negozi non sarebbe pensata come destinata ai "fumatori". La legge in questione, infatti, consentirebbe la coltivazione di cannabis con destinazione d'uso nei seguenti ambiti: settore alimentare, settore cosmetico, settore industriale e settore bioedilizia. A rilevare il problema, tra gli altri, è stato a Verona il vicepresidente di "Famiglia e futuro" Claudio Corradi: «Nel nostro Paese la legge 242/2016 a cui ci si appella per giustificare la vendita delle infiorescenze disciplina soltanto l’uso agricolo o industriale di cannabis: fibra, semi, polveri, oli, carburanti per forniture alle industrie e alle attività artigianali. Impossibile trovare tra questi usi le infiorescenze che, anche se a basse concentrazioni di principio attivo, vengono fumate ad uso ricreativo. Un uso improprio e che sfrutta un vulnus nella legge». D'altro canto, vi è chi in questo tipo di commercio ha scelto, legittimamente, di investire e di conseguenza non può che vedere le cose anche da un altro punto di vista: «Gestisco un negozio di Cannabis Light, alimentari e cosmetici a base di canapa. - spiega un nostro lettore titolare di un negozio nel Veronese - I miei clienti sono soprattutto persone con età dai 30 ai 60 anni che cercano o prodotti per riuscire a dormire, o per altre patologie, o semplicemente per rilassarsi. I giovani difficilmente si avvicinano alla "cannabis light" perché cercano lo sballo, quindi continuano acquistare prodotti illegali ma non entrano in negozi come il mio». 

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