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Lettera di Zaia ai veneti per il 25 aprile: «Anche oggi Paese da ripensare»

Il presidente della Regione: «La domanda che i giovani della Resistenza si facevano allora è "Come vorremmo vivere domani?". È la stessa domanda di oggi»

In occasione della ricorrenza e delle celebrazioni per il 25 aprile, anniversario della Liberazione d'Italia, il presidente del Veneto Luca Zaia ha inviato una lettera aperta ai veneti.

75 anni fa l'Italia viveva il momento del riscatto, della liberazione e iniziava il cammino della rinascita e della ricostruzione - scrive Zaia - Oggi, a tre quarti di secolo di distanza, c'è una nuova ricostruzione tutta da scrivere, un Paese da reinventare. La domanda che i giovani della Resistenza si facevano allora è "Come vorremmo vivere domani?". È la stessa domanda di oggi, un Paese da ripensare.
La lotta di Liberazione fu impegno e sacrificio di popolo, un fatto corale e doloroso. Oggi come ieri avvertiamo tutti il bisogno di un clima di ritrovata fiducia e collaborazione per riuscire ad affrontare insieme questa nuova emergenza, per superare il rischio di una crisi che si preannuncia la peggiore dal dopoguerra. Non vogliamo, e non dobbiamo permettere, che questa emergenza allarghi le distanze e le disuguaglianze tra tutelati e precari, tra chi sta meglio e gli ultimi della fila.
Il primo pensiero corre oggi a chi la guerra e la Resistenza l’ha fatta due volte: la prima, allora, contro un nemico visibile, contro un esercito invasore; la seconda, oggi, contro un nemico invisibile e subdolo. Molti delle oltre 1.200 vittime venete del virus appartenevano a quella generazione che è stata protagonista degli anni della ricostruzione. Sono i nostri nonni, protagonisti di una storia di orgoglio, fatica, immigrazione, povertà, ma anche di riscatto, lavoro, intrapresa, lingua e cultura, che ha fatto grande questo Veneto, non solo nel benessere, ma soprattutto nell’aspirazione alla libertà e alla giustizia. Dobbiamo rendere onore anche a chi non è caduto allora, ma purtroppo cade oggi, con un pensiero di Seneca, preso a prestito dal De brevitate vitae: "Nessuno ti renderà gli anni, nessuno ti restituirà te stesso (...) tu sei affaccendato, la vita si affretta: e intanto sarà lì la morte, per la quale, tu voglia o no, devi avere tempo".
A loro va il nostro silenzioso ricordo e omaggio, insieme a quello che tributiamo ai tanti veneti che combatterono ieri fino a dare la vita per libertà e giustizia: medici come Flavio Busonera; sacerdoti come don Giovanni Apolloni; vescovi come monsignor Girolamo Bortignon; giovanissime staffette come Tina Anselmi; giuristi come Silvio Trentin; intellettuali come il rettore Concetto Marchesi; insegnanti di scuola come il professor Mario Todesco e tanti altri che vivono nei nomi delle nostre strade e delle nostre scuole e istituti, oltre a tutti quelli che non hanno avuto gli onori dei libri di storia ma che sono stati determinanti per l’affermazione della libertà.
"L'applauso più sentito è il solenne silenzio", scriveva Egidio Meneghetti, il farmacologo della scuola di medicina dell'ateneo patavino, che divenne rettore dell'università di Padova all'indomani della Liberazione, mentre ricordava il sacrificio di tanti studenti e docenti di quello che era l’ateneo della regione. Quella stessa università, medaglia d’oro della Resistenza per il valore militare, alla quale guardiamo oggi come punto di riferimento della ricerca scientifica e delle scienze mediche nella battaglia contro questa pandemia. Una battaglia che ci vede tutti protagonisti di un inedito percorso di resilienza e di ritrovato impegno a liberare le energie migliori per la nuova ricostruzione che ci attende.

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