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Aviaria, pochi focolai negli allevamenti ma è moria tra gli uccelli selvatici

Tante le carcasse di gabbiani e di altri volatili sulle sponde del Lago di Garda o lungo l'Adige

Nessun focolaio negli allevamenti, ma un numero crescente di casi tra gli animali selvatici.
L'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (Izsve) è l'ente sanitario di riferimento per l'influenza aviaria e in questo 2023 non ha segnalato nessun contagio da parte del virus H5N1 ad alta patogenicità (Hpai) nelle strutture in cui si allevano volatili domestici, come polli, galline o tacchini. Niente di paragonabile, dunque, alla stagione fredda tra il 2021 e il 2022, quando i focolai di aviaria negli allevamenti raggiunsero un numero record, soprattutto in provincia di Verona.
È invece in aumento la circolazione del virus tra gli uccelli selvatici. Un aumento tristemente visibile sulle sponde del Lago di Garda o del fiume Adige. Sono tante, infatti, le carcasse di gabbiani trovate sui lungadige del capoluogo o sulle spiagge gardesane delle province di Verona, Brescia e Trento. Per i selvatici trovati senza vita nei giorni scorsi è in corso l'accertamento delle autorità sanitarie, ma è molto probabile che a causare la loro morte sia stato il virus dell'aviaria.

Nell'ultimo aggiornamento, diffuso dall'Izsve il 28 febbraio scorso, si è arrivati a 105 uccelli selvatici morti per il virus H5N1. Molti di questi uccelli sono gabbiani, ma ci sono anche alzavole e germani. E Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria dell'Izsve ha spiegato: «In Italia, i casi di aviaria nell’avifauna interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il Ministero della Salute ha evidenziato come tale situazione costituisca un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici, considerato che alcune zone ad elevata densità avicola coincidono con le aree dove attualmente si rilevano casi di aviaria nei selvatici. Come Centro di referenza stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale con estrema attenzione, per evitare che si verifichi una situazione come nell'inverno 2021-2022». Una situazione in cui si verificarono più di 300 focolai negli allevamenti, mentre quest'anno i focolai accertati sono una trentina.

Ma non c'è solo il rischio di trasmissione tra uccelli selvatici e domestici. L'Izsve sta monitorando anche la possibilità che si verifichi il cosiddetto "spillover" o "salto di specie", ovvero il passaggio del virus da un animale di una specie ad un animale di un'altra specie. In questo caso, che il virus dell'aviaria passi dai volatili ai mammiferi e quindi anche alla specie umana. Passaggi di questo tipo non si sono finora verificati in Italia, ma in Spagna è stato identificato un ceppo dell'influenza aviaria in un allevamento di visoni. Il virus quindi potrebbe mutare per adattarsi anche ad altre specie, anche se gli studi finora condotti dall'Izsve indicano un'evoluzione solo parziale e non in grado di causare un contagio tra gli umani. Non si può però escludere che l'aviaria in futuro possa acquisire caratteristiche tali da renderla trasmissibile da uomo a uomo. Per questo, l'attenzione dell'Istituto zooprofilattico rimane alta.

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